La tragedia francese tra diciassettesimo e diciottesimo secolo appare programmaticamente refrattaria a rappresentare sulla scena sovrani che si macchiano di qualche colpa, in conformità con i principi dell’assolutismo che andava consolidandosi con il sostegno delle teorie filosofico-politiche moderne che, a partire, da Jean Bodin, fondavano i principi sui quali le monarchie europee avrebbero poggiato fino alla rivoluzione francese. Nei pronunciamenti dei vari critici teatrali ed eruditi francesi tra Sei e Settecento ritroviamo spesso nette prese di distanza dalla tragedia greca, frutto di una stagione politica democratica in cui veniva promossa la rappresentazione di sovrani sprovveduti e tirannici. Come sottolineavano, fra gli altri, D’Aubignac e Brumoy, la tragedia francese, prodotto di un’atmosfera culturale differente, privilegiava affetti diversi. Al contrario, la tradizione tragica italiana, molto fedele al modello greco, riproponeva con maggiore solerzia – e senza le stesse preoccupazioni – i tiranni del teatro greco. Giason de’ Nores raccomandava di prediligere soggetti di questo tipo, individuando nel genere tragico uno strumento a tutti gli effetti politico, teso a rendere i cittadini edotti degli intrighi di governo e di “ispaventargli della tirannide”. Proprio la ripresa dei trattati del Nores, all’inizio del Settecento, da parte di Gravina, parrebbe alimentare, o per lo meno appoggiare da un punto di vista teorico il ritorno alla tragedia politica che annovera fra gli autori maggiori, oltre al Gravina, Saverio Pansuti, Annibale Marchese e Antonio Conti. In virtù di questa predisposizione, nella tragedia italiana del Settecento si impone precocemente, sulla scia delle discussioni giuridiche e politiche contemporanee – e sull’onda della diffusione europea del giusnaturalismo – , la riflessione sui limiti del potere sovrano: in Francia soltanto più tardi la questione viene affrontata, ma assume una rilevanza straordinaria nel periodo pre e post-rivoluzionario. Talvolta vengono messi in scena sovrani che si fanno meri esecutori del sistema legislativo, talaltra monarchi che concedono a propria discrezione delle deroghe ad una legge giudicata troppo severa e incapace di adattarsi alle situazioni concrete; in alcuni casi i re messi in scena si mettono al di sopra della legge, in altre rivendicano la coincidenza fra legge e volontà personale del principe, in altre ancora sono vittime di soprusi da parte di congiurati che trasgrediscono la legge di cui essi sono rappresentanti.

Il sovrano e la legge nella tragedia del Settecento: un percorso tra Italia e Francia

ZUCCHI, E.
2018

Abstract

La tragedia francese tra diciassettesimo e diciottesimo secolo appare programmaticamente refrattaria a rappresentare sulla scena sovrani che si macchiano di qualche colpa, in conformità con i principi dell’assolutismo che andava consolidandosi con il sostegno delle teorie filosofico-politiche moderne che, a partire, da Jean Bodin, fondavano i principi sui quali le monarchie europee avrebbero poggiato fino alla rivoluzione francese. Nei pronunciamenti dei vari critici teatrali ed eruditi francesi tra Sei e Settecento ritroviamo spesso nette prese di distanza dalla tragedia greca, frutto di una stagione politica democratica in cui veniva promossa la rappresentazione di sovrani sprovveduti e tirannici. Come sottolineavano, fra gli altri, D’Aubignac e Brumoy, la tragedia francese, prodotto di un’atmosfera culturale differente, privilegiava affetti diversi. Al contrario, la tradizione tragica italiana, molto fedele al modello greco, riproponeva con maggiore solerzia – e senza le stesse preoccupazioni – i tiranni del teatro greco. Giason de’ Nores raccomandava di prediligere soggetti di questo tipo, individuando nel genere tragico uno strumento a tutti gli effetti politico, teso a rendere i cittadini edotti degli intrighi di governo e di “ispaventargli della tirannide”. Proprio la ripresa dei trattati del Nores, all’inizio del Settecento, da parte di Gravina, parrebbe alimentare, o per lo meno appoggiare da un punto di vista teorico il ritorno alla tragedia politica che annovera fra gli autori maggiori, oltre al Gravina, Saverio Pansuti, Annibale Marchese e Antonio Conti. In virtù di questa predisposizione, nella tragedia italiana del Settecento si impone precocemente, sulla scia delle discussioni giuridiche e politiche contemporanee – e sull’onda della diffusione europea del giusnaturalismo – , la riflessione sui limiti del potere sovrano: in Francia soltanto più tardi la questione viene affrontata, ma assume una rilevanza straordinaria nel periodo pre e post-rivoluzionario. Talvolta vengono messi in scena sovrani che si fanno meri esecutori del sistema legislativo, talaltra monarchi che concedono a propria discrezione delle deroghe ad una legge giudicata troppo severa e incapace di adattarsi alle situazioni concrete; in alcuni casi i re messi in scena si mettono al di sopra della legge, in altre rivendicano la coincidenza fra legge e volontà personale del principe, in altre ancora sono vittime di soprusi da parte di congiurati che trasgrediscono la legge di cui essi sono rappresentanti.
2018
Le voci arcane. Palcoscenici del potere nel teatro e nell’opera tra Sette e Novecento
9788843090525
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.
Pubblicazioni consigliate

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/3283350
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact