Il problema del riconoscimento dei diritti delle popolazioni aborigene sulle proprie terre ancestrali pone un problema di fondo alla concezione moderna dello ius dicere come funzione della sovranità, presupposto ineliminabile dello Stato costituzionale, cui appartengono due principi: il primato della legge e la definizione legislativa dei diritti di proprietà sulle cose. Quest’ultimo aspetto può essere storicamente interpretato come una funzione dell’accentramento dei poteri che si traduce nella concezione moderna della sovranità, atteso che attraverso questo processo si raggiunge la netta separazione tra poteri pubblici e legittimazioni private sul territorio. Questo equilibrio è però messo in crisi allorché un ordinamento costituzionale, basato sul primato della legge, entra in conflitto con un ordinamento integralmente consuetudinario, come quello di una comunità indigena, soprattutto quando deve accertarne l’identità rispetto a un territorio. La crisi si manifesta sotto due profili: 1. la consuetudine indigena è un ordinamento primario, che si identifica con la ragione stessa di esistere della comunità: la consuetudine indigena non può essere quindi accertata come fatto da cui far discendere conseguenze volute dalla legge, ma è piuttosto la legge dello Stato a dover individuare delle norme di conflitto con la consuetudine. 2. il rapporto giuridico tra popolazione indigena e territorio è parte del proprio ordinamento primario, perché la comunità è individuata a partire dal rapporto con la terra ancestrale, che ogni membro ha diritto di usare, in modo esclusivo rispetto ai terzi; non esiste quindi la possibilità di autonomizzare il soggetto comunità dalla relazione giuridica che essa ha sul proprio territorio, che presenta i tipici caratteri della proprietà collettiva. Nella mia tesi, le cause della crisi sono da ricercarsi nel fatto che gli ordinamenti integralmente consuetudinari non possono essere separati dal proprio ius dicere: la funzione di risoluzione di conflitti mediante norme giuridiche che devono essere individuate a partire dallo stesso fatto di causa. Nell’ordinamento di diritto comune la iurisdictio era la dimensione processuale della consuetudine, caratteristica che consentiva di risolvere i conflitti in materia di diritti reali – di titolarità individuale come collettiva - in via contenziosa, onerando ciascuna comunità della prova della consuetudine che la legava alle proprie terre. Gli ordinamenti attuali si sforzano di mantenere l’equilibrio tradizionale del sistema costituzionale attribuendo l’accertamento dei diritti indigeni alla funzione amministrativa. E’ la tendenza osservabile nella giurisprudenza latino-americana, sia in sede di Corte Interamericana dei diritti umani, sia in sede nazionale. Sul primo profilo, è agevole notare come importanti sentenze (Comunidad Mayagna (Sumo) Awas Tingni vs. Nicaragua; Comunidad Indígena Yakye Axa vs. Paraguay) ribadiscano il carattere di proprietà collettiva del rapporto tra comunità indigene e territorio, ma allo stesso tempo attribuiscono agli Stati l’obbligo di una tutela senza porre il problema dell’accertamento della proprietà, che si identifica con quello dell’individuazione della comunità. Sul secondo, può essere citata una sentenza del Tribunal Constitucional del Peru del 2010, che rigetta una domanda di incostituzionalità di un decreto legislativo con cui si disponeva la lottizzazione di “terre abbandonate”, interpretando lo stesso in modo da escludere che esso si applichi alle terre di proprietà collettiva indigena, ma senza specificare i criteri per la sua individuazione come diritto, disinteressandosi del problema principale del decreto: attribuire alla pubblica amministrazione l’individuazione dello spazio giuridico della comunità, vanificando così ogni spazio di tutela effettiva. Questa viene raggiunta – sempre secondo la mia tesi – solo ove l’accertamento dei diritti collettivi venga operato dal giudice, nel contraddittorio tra le parti, con una cognizione della specifica consuetudine indigena come ordinamento. E’ quanto accade nell’ordinamento canadese dopo alcune importanti pronunce della Supreme Court, da Delgamuukw v. B.C. del 1997 e, soprattutto, Tsilhqot’in Nation v. B.C. del 2014.

La proprietà collettiva indigena e la sua dimensione di ius dicere

Raffaele Volante
Writing – Original Draft Preparation
2018

Abstract

Il problema del riconoscimento dei diritti delle popolazioni aborigene sulle proprie terre ancestrali pone un problema di fondo alla concezione moderna dello ius dicere come funzione della sovranità, presupposto ineliminabile dello Stato costituzionale, cui appartengono due principi: il primato della legge e la definizione legislativa dei diritti di proprietà sulle cose. Quest’ultimo aspetto può essere storicamente interpretato come una funzione dell’accentramento dei poteri che si traduce nella concezione moderna della sovranità, atteso che attraverso questo processo si raggiunge la netta separazione tra poteri pubblici e legittimazioni private sul territorio. Questo equilibrio è però messo in crisi allorché un ordinamento costituzionale, basato sul primato della legge, entra in conflitto con un ordinamento integralmente consuetudinario, come quello di una comunità indigena, soprattutto quando deve accertarne l’identità rispetto a un territorio. La crisi si manifesta sotto due profili: 1. la consuetudine indigena è un ordinamento primario, che si identifica con la ragione stessa di esistere della comunità: la consuetudine indigena non può essere quindi accertata come fatto da cui far discendere conseguenze volute dalla legge, ma è piuttosto la legge dello Stato a dover individuare delle norme di conflitto con la consuetudine. 2. il rapporto giuridico tra popolazione indigena e territorio è parte del proprio ordinamento primario, perché la comunità è individuata a partire dal rapporto con la terra ancestrale, che ogni membro ha diritto di usare, in modo esclusivo rispetto ai terzi; non esiste quindi la possibilità di autonomizzare il soggetto comunità dalla relazione giuridica che essa ha sul proprio territorio, che presenta i tipici caratteri della proprietà collettiva. Nella mia tesi, le cause della crisi sono da ricercarsi nel fatto che gli ordinamenti integralmente consuetudinari non possono essere separati dal proprio ius dicere: la funzione di risoluzione di conflitti mediante norme giuridiche che devono essere individuate a partire dallo stesso fatto di causa. Nell’ordinamento di diritto comune la iurisdictio era la dimensione processuale della consuetudine, caratteristica che consentiva di risolvere i conflitti in materia di diritti reali – di titolarità individuale come collettiva - in via contenziosa, onerando ciascuna comunità della prova della consuetudine che la legava alle proprie terre. Gli ordinamenti attuali si sforzano di mantenere l’equilibrio tradizionale del sistema costituzionale attribuendo l’accertamento dei diritti indigeni alla funzione amministrativa. E’ la tendenza osservabile nella giurisprudenza latino-americana, sia in sede di Corte Interamericana dei diritti umani, sia in sede nazionale. Sul primo profilo, è agevole notare come importanti sentenze (Comunidad Mayagna (Sumo) Awas Tingni vs. Nicaragua; Comunidad Indígena Yakye Axa vs. Paraguay) ribadiscano il carattere di proprietà collettiva del rapporto tra comunità indigene e territorio, ma allo stesso tempo attribuiscono agli Stati l’obbligo di una tutela senza porre il problema dell’accertamento della proprietà, che si identifica con quello dell’individuazione della comunità. Sul secondo, può essere citata una sentenza del Tribunal Constitucional del Peru del 2010, che rigetta una domanda di incostituzionalità di un decreto legislativo con cui si disponeva la lottizzazione di “terre abbandonate”, interpretando lo stesso in modo da escludere che esso si applichi alle terre di proprietà collettiva indigena, ma senza specificare i criteri per la sua individuazione come diritto, disinteressandosi del problema principale del decreto: attribuire alla pubblica amministrazione l’individuazione dello spazio giuridico della comunità, vanificando così ogni spazio di tutela effettiva. Questa viene raggiunta – sempre secondo la mia tesi – solo ove l’accertamento dei diritti collettivi venga operato dal giudice, nel contraddittorio tra le parti, con una cognizione della specifica consuetudine indigena come ordinamento. E’ quanto accade nell’ordinamento canadese dopo alcune importanti pronunce della Supreme Court, da Delgamuukw v. B.C. del 1997 e, soprattutto, Tsilhqot’in Nation v. B.C. del 2014.
2018
Ius dicere in a globalized world. A comparative overview
978-88-94885-96-5
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/3283936
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