L’interazione tra libertà di circolazione delle persone ed i principi e le norme del diritto internazionale privato dell’Unione in materia di rapporti personali – in primo luogo, ma non esclusivamente, la valorizzazione dell’autonomia internazionalprivatistica dei privati - producono una significativa relativizzazione della cittadinanza nazionale e, parallelamente, mettono in luce una dimensione autonoma della cittadinanza dell’Unione, ben oltre la dimensione resa esplicita dagli articoli 20-24 TFUE, come conseguenza del forte grado di autonomia dell’individuo di cui il contesto giuridico dell’Unione facilita lo sviluppo. Anzitutto, anche per quanto attiene ai rapporti personali gli sviluppi del diritto internazionale privato dell’Unione nel nuovo millennio lasciano emergere uno spazio non trascurabile alle scelte degli individui, nella definizione del regime eteronomo applicabile. Anche al di la della portata, non illimitata, che in tale ambito è riconosciuta alla scelta della legge applicabile, si deve notare che di per sé stessa la sostituzione del criterio oggettivo della cittadinanza con quello oggettivo della residenza abituale nel diritto internazionale privato UE dei rapporti personali, determina, per come opera nel contesto dello spazio di libertà dell’Unione, l’apertura di significativi ambiti di autonomia. Infatti, anche a prescindere dal diretto riconoscimento di un potere di scelta del foro o della legge applicabile, e dalla specifica valutazione dell’ampiezza delle alternative che si aprono alla scelta dell’individuo o delle parti del rapporto, sembra innegabile che l'adozione della residenza abituale quale criterio di collegamento preponderante, tanto ai fini della giurisdizione, quanto a quelli della legge applicabile, esprima anzitutto un collegamento forte tra quelle regole e le libertà di circolazione riconosciute ai cittadini dell’Unione. La scelta del criterio della residenza abituale non determina solamente conseguenze di efficienza del sistema di amministrazione della giustizia, derivanti dalla tendenziale Gleichlauf tra forum e ius. A ben guardare, la compresenza di quei criteri di collegamento e di quelle libertà determina la coerenza tra la scelta – individuale - di spostare il centro di gravità della vita dell’individuo, nell’esercizio della libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione, ed il regime giuridico applicabile all’insieme dei rapporti personali, di cui quell’individuo è protagonista. Tale indicazione esce rafforzata dalla sentenza della Corte nella causa Mercredi , relativa al regolamento 2201/2003 (Bruxelles-II), in cui si apre la nozione di residenza abituale ad una dimensione anche volontaristica – e ciò tanto più in un contesto ampiamente problematico, per la possibile coesistenza di interessi contrapposti. Laddove poi il diritto internazionale privato dell’Unione prevede esplicitamente una scelta di legge in capo ai privati, lo fa essenzialmente per consentire loro di mantenere il legame con il proprio diritto nazionale. Vanno in tale direzione il gioco combinato degli articoli 5 e 8 del regolamento 1259/2010 (Roma-III), degli articoli 21 e 22 del regolamento 650/2012 in materia di successioni, nonché l’effetto anch’esso combinato degli articoli 22 e 26 dei regolamenti 1103/2016 e 1104/2016, in materia di regimi patrimoniali tra coniugi e nelle unioni registrate. Per l’essenziale, dunque, la scelta lasciata all’individuo è tra integrazione giuridica nell’ambiente in cui ha deciso di trasferirsi e continuità con le proprie radici e con la cultura della propria nazionalità – compreso il diritto dei rapporti di famiglia, elemento culturale per eccellenza. Il ragionamento ci conduce così al tema della cittadinanza e dell’interazione tra cittadinanza nazionale e cittadinanza dell’Unione. Se la cittadinanza nazionale infatti appare, come si è appena detto, criterio dotato di significativa stabilità, in relazione alla cittadinanza dell’Unione, si sono levate voci critiche, che hanno sottolineato la possibilità di abusi e strumentalizzazioni di tale istituto, capaci di svuotare il significato della cittadinanza nazionale anche in settori rimasti nella piena competenza degli Stati membri. Che si voglia o meno aderire a quelle critiche, è senz’altro vero che la giurisprudenza della Corte sulla cittadinanza dell’Unione ha in effetti determinato, in relazione ad alcune situazioni, un aumento del grado di libertà nell’equilibrio che costituisce l’autonomia dell’individuo, degradando corrispondentemente la potestà normativa dello Stato anche in settori non raggiunti da dirette competenze UE. Si fa riferimento qui alla giurisprudenza della Corte che desume, dai principi applicabili nell’ambito della cittadinanza dell’Unione, l’obbligo di riconoscimento del patronimico acquisito o modificato in altro Stato membro (Garcia Avello , Grunkin e Paul , Sayn-Wittgenstein ), nonché a quel passaggio della giurisprudenza comunitaria in cui si è posto un limite alla stessa decisione di ritirare la cittadinanza nazionale (Rottman ). Ora da un lato lo sviluppo da ultimo ricordato consiste in effetti in una forte limitazione della libertà degli Stati membri in un ambito che pure essi si sono espressamente riservati, in molteplici dichiarazioni anche comuni allegate ai Trattati che ribadiscono l’impostazione del diritto internazionale generale in materia – ed ha per ciò sollevato giustificate critiche. Dall’altro lato, è anche la prima linea di giurisprudenza ora menzionata che interessa qui valorizzare. Si è detto infatti che con essa si sarebbe riconosciuta, in sostanza, eccessiva latitudine all’autonomia del privato, lasciato arbitro della prevalenza di un sistema di diritto statale sull’altro, a prescindere dalle regole esistenti in materia di diritto applicabile e ciò tanto in situazioni di doppia cittadinanza (Garcia Avello), quanto in situazioni di unica cittadinanza (Grunkin e Paul) nelle quali l’individuo va consapevolmente alla ricerca dell’ulteriore libertà lasciata dallo Stato di residenza abituale in materia di mutamento del nome. Ebbene, al di là del giudizio sull’opportunità o meno di un tale sviluppo, sembra innegabile rinvenire in quelle sentenze, così come in alcune idee sul riconoscimento di pieno diritto poste alla base del Libro verde sulla libera circolazione dei documenti pubblici , se applicate in un contesto di effettiva possibilità di scelta tra i sistemi di stato civile potenzialmente concorrenti (quello dello Stato membro di residenza o quello dello Stato nazionale, tramite le rappresentanze consolari), un nuovo paradigma del diritto internazionale privato dell’Unione, frutto del diritto “forte” (senza voler abusare dell’aggettivo fondamentale) di circolazione nello spazio di libertà dell’Unione, che della cittadinanza dell’Unione è uno dei pilastri. Il paradigma in parola sembra essere quello dell’autonomia dell’individuo in relazione alla scelta tra continuità del legame nazionale, ed integrazione nel nuovo contesto dello Stato di residenza abituale, che trova il suo meccanismo di espressione in una metodologia internazionalprivatistica di riconoscimento degli status personali di cui l’individuo ha perseguito ed ottenuto l’instaurazione, piuttosto che di determinazione astratta, ex ante ed unilaterale, da parte delle diverse autorità statali, del diritto applicabile. Una precisazione ulteriore va fatta. La circolazione di cui parliamo non è necessariamente “semplice” e bilaterale – tra uno Stato di origine e uno Stato di destinazione. Essa diviene sempre più frequentemente complessa e multilaterale, in relazione ai mutamenti sociali che vedono, da un lato, i rapporti personali farsi e disfarsi con molta maggiore frequenza che in passato e, dall’altro, i rapporti di lavoro i contesti di attività economica delle persone modificarsi anch’essi con frequenza una volta sconosciuta. In tale contesto, alla natura… liquida di quegli status e di quei rapporti, si accompagna anche una corrispondente possibilità di mutamento della professio iuris direttamente o indirettamente consentita al cittadino dell’Unione. Cosicché, se da un punto di vista formale è pur vero che la cittadinanza dell’Unione si aggiunge a quella nazionale, senza sostituirsi ad essa, è però altrettanto vero che i diritti e le libertà riconosciute dalla prima, nel loro concreto esercitarsi, acquisiscono ormai una forza destabilizzante nei confronti di importanti aspetti della seconda – una forza condizionata però alla volontà dell’individuo. Cosicché il dato di sintesi, nell’interazione tra cittadinanza nazionale e cittadinanza dell’Unione, sembra essere non tanto quello della prevalenza dell’una sull’altra, quanto un complessivo aumento della sfera di autonomia dell’individuo, cittadino dell’Unione, cui il sistema riconosce il ruolo di arbitro nell’allocazione delle competenze normative tra Stato di cittadinanza (e dunque di origine) e Stato di residenza abituale (e dunque di destinazione o, meglio ancora, di circolazione).

Autonomia, libera circolazione e diritto internazionale privato dei rapporti personali: una nuova dimensione per la cittadinanza dell’Unione?

Cortese, Bernardo
2018

Abstract

L’interazione tra libertà di circolazione delle persone ed i principi e le norme del diritto internazionale privato dell’Unione in materia di rapporti personali – in primo luogo, ma non esclusivamente, la valorizzazione dell’autonomia internazionalprivatistica dei privati - producono una significativa relativizzazione della cittadinanza nazionale e, parallelamente, mettono in luce una dimensione autonoma della cittadinanza dell’Unione, ben oltre la dimensione resa esplicita dagli articoli 20-24 TFUE, come conseguenza del forte grado di autonomia dell’individuo di cui il contesto giuridico dell’Unione facilita lo sviluppo. Anzitutto, anche per quanto attiene ai rapporti personali gli sviluppi del diritto internazionale privato dell’Unione nel nuovo millennio lasciano emergere uno spazio non trascurabile alle scelte degli individui, nella definizione del regime eteronomo applicabile. Anche al di la della portata, non illimitata, che in tale ambito è riconosciuta alla scelta della legge applicabile, si deve notare che di per sé stessa la sostituzione del criterio oggettivo della cittadinanza con quello oggettivo della residenza abituale nel diritto internazionale privato UE dei rapporti personali, determina, per come opera nel contesto dello spazio di libertà dell’Unione, l’apertura di significativi ambiti di autonomia. Infatti, anche a prescindere dal diretto riconoscimento di un potere di scelta del foro o della legge applicabile, e dalla specifica valutazione dell’ampiezza delle alternative che si aprono alla scelta dell’individuo o delle parti del rapporto, sembra innegabile che l'adozione della residenza abituale quale criterio di collegamento preponderante, tanto ai fini della giurisdizione, quanto a quelli della legge applicabile, esprima anzitutto un collegamento forte tra quelle regole e le libertà di circolazione riconosciute ai cittadini dell’Unione. La scelta del criterio della residenza abituale non determina solamente conseguenze di efficienza del sistema di amministrazione della giustizia, derivanti dalla tendenziale Gleichlauf tra forum e ius. A ben guardare, la compresenza di quei criteri di collegamento e di quelle libertà determina la coerenza tra la scelta – individuale - di spostare il centro di gravità della vita dell’individuo, nell’esercizio della libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione, ed il regime giuridico applicabile all’insieme dei rapporti personali, di cui quell’individuo è protagonista. Tale indicazione esce rafforzata dalla sentenza della Corte nella causa Mercredi , relativa al regolamento 2201/2003 (Bruxelles-II), in cui si apre la nozione di residenza abituale ad una dimensione anche volontaristica – e ciò tanto più in un contesto ampiamente problematico, per la possibile coesistenza di interessi contrapposti. Laddove poi il diritto internazionale privato dell’Unione prevede esplicitamente una scelta di legge in capo ai privati, lo fa essenzialmente per consentire loro di mantenere il legame con il proprio diritto nazionale. Vanno in tale direzione il gioco combinato degli articoli 5 e 8 del regolamento 1259/2010 (Roma-III), degli articoli 21 e 22 del regolamento 650/2012 in materia di successioni, nonché l’effetto anch’esso combinato degli articoli 22 e 26 dei regolamenti 1103/2016 e 1104/2016, in materia di regimi patrimoniali tra coniugi e nelle unioni registrate. Per l’essenziale, dunque, la scelta lasciata all’individuo è tra integrazione giuridica nell’ambiente in cui ha deciso di trasferirsi e continuità con le proprie radici e con la cultura della propria nazionalità – compreso il diritto dei rapporti di famiglia, elemento culturale per eccellenza. Il ragionamento ci conduce così al tema della cittadinanza e dell’interazione tra cittadinanza nazionale e cittadinanza dell’Unione. Se la cittadinanza nazionale infatti appare, come si è appena detto, criterio dotato di significativa stabilità, in relazione alla cittadinanza dell’Unione, si sono levate voci critiche, che hanno sottolineato la possibilità di abusi e strumentalizzazioni di tale istituto, capaci di svuotare il significato della cittadinanza nazionale anche in settori rimasti nella piena competenza degli Stati membri. Che si voglia o meno aderire a quelle critiche, è senz’altro vero che la giurisprudenza della Corte sulla cittadinanza dell’Unione ha in effetti determinato, in relazione ad alcune situazioni, un aumento del grado di libertà nell’equilibrio che costituisce l’autonomia dell’individuo, degradando corrispondentemente la potestà normativa dello Stato anche in settori non raggiunti da dirette competenze UE. Si fa riferimento qui alla giurisprudenza della Corte che desume, dai principi applicabili nell’ambito della cittadinanza dell’Unione, l’obbligo di riconoscimento del patronimico acquisito o modificato in altro Stato membro (Garcia Avello , Grunkin e Paul , Sayn-Wittgenstein ), nonché a quel passaggio della giurisprudenza comunitaria in cui si è posto un limite alla stessa decisione di ritirare la cittadinanza nazionale (Rottman ). Ora da un lato lo sviluppo da ultimo ricordato consiste in effetti in una forte limitazione della libertà degli Stati membri in un ambito che pure essi si sono espressamente riservati, in molteplici dichiarazioni anche comuni allegate ai Trattati che ribadiscono l’impostazione del diritto internazionale generale in materia – ed ha per ciò sollevato giustificate critiche. Dall’altro lato, è anche la prima linea di giurisprudenza ora menzionata che interessa qui valorizzare. Si è detto infatti che con essa si sarebbe riconosciuta, in sostanza, eccessiva latitudine all’autonomia del privato, lasciato arbitro della prevalenza di un sistema di diritto statale sull’altro, a prescindere dalle regole esistenti in materia di diritto applicabile e ciò tanto in situazioni di doppia cittadinanza (Garcia Avello), quanto in situazioni di unica cittadinanza (Grunkin e Paul) nelle quali l’individuo va consapevolmente alla ricerca dell’ulteriore libertà lasciata dallo Stato di residenza abituale in materia di mutamento del nome. Ebbene, al di là del giudizio sull’opportunità o meno di un tale sviluppo, sembra innegabile rinvenire in quelle sentenze, così come in alcune idee sul riconoscimento di pieno diritto poste alla base del Libro verde sulla libera circolazione dei documenti pubblici , se applicate in un contesto di effettiva possibilità di scelta tra i sistemi di stato civile potenzialmente concorrenti (quello dello Stato membro di residenza o quello dello Stato nazionale, tramite le rappresentanze consolari), un nuovo paradigma del diritto internazionale privato dell’Unione, frutto del diritto “forte” (senza voler abusare dell’aggettivo fondamentale) di circolazione nello spazio di libertà dell’Unione, che della cittadinanza dell’Unione è uno dei pilastri. Il paradigma in parola sembra essere quello dell’autonomia dell’individuo in relazione alla scelta tra continuità del legame nazionale, ed integrazione nel nuovo contesto dello Stato di residenza abituale, che trova il suo meccanismo di espressione in una metodologia internazionalprivatistica di riconoscimento degli status personali di cui l’individuo ha perseguito ed ottenuto l’instaurazione, piuttosto che di determinazione astratta, ex ante ed unilaterale, da parte delle diverse autorità statali, del diritto applicabile. Una precisazione ulteriore va fatta. La circolazione di cui parliamo non è necessariamente “semplice” e bilaterale – tra uno Stato di origine e uno Stato di destinazione. Essa diviene sempre più frequentemente complessa e multilaterale, in relazione ai mutamenti sociali che vedono, da un lato, i rapporti personali farsi e disfarsi con molta maggiore frequenza che in passato e, dall’altro, i rapporti di lavoro i contesti di attività economica delle persone modificarsi anch’essi con frequenza una volta sconosciuta. In tale contesto, alla natura… liquida di quegli status e di quei rapporti, si accompagna anche una corrispondente possibilità di mutamento della professio iuris direttamente o indirettamente consentita al cittadino dell’Unione. Cosicché, se da un punto di vista formale è pur vero che la cittadinanza dell’Unione si aggiunge a quella nazionale, senza sostituirsi ad essa, è però altrettanto vero che i diritti e le libertà riconosciute dalla prima, nel loro concreto esercitarsi, acquisiscono ormai una forza destabilizzante nei confronti di importanti aspetti della seconda – una forza condizionata però alla volontà dell’individuo. Cosicché il dato di sintesi, nell’interazione tra cittadinanza nazionale e cittadinanza dell’Unione, sembra essere non tanto quello della prevalenza dell’una sull’altra, quanto un complessivo aumento della sfera di autonomia dell’individuo, cittadino dell’Unione, cui il sistema riconosce il ruolo di arbitro nell’allocazione delle competenze normative tra Stato di cittadinanza (e dunque di origine) e Stato di residenza abituale (e dunque di destinazione o, meglio ancora, di circolazione).
2018
Cittadinanza, cittadinanze e nuovi status: Profili internazionalistici ed europei e sviluppi nazionali
9788893913782
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