Il De gestis Italicorum post Henricum VII Cesarem di Albertino Mussato (1261-1329) si apre col resoconto delle reazioni alla morte dell’imperatore Enrico VII (24 agosto 1313), raccontata con dovizia di particolari a conclusione del De gestis Henrici VII Cesaris. La scomparsa di colui che era stato il protagonista e, in un certo senso, il motore della sua prima prova storiografica non fece quindi venire meno in Mussato il desiderio di narrare gli eventi più significativi del proprio tempo. Quasi senza staccare la penna dal foglio, Albertino, pur fortemente impegnato nell’azione politica, passò così dalla composizione del primo a quella del secondo e più imponente De gestis, che prosegue in quindici libri fino a registrare alcuni accadimenti del giugno 1321. Qui si offre l’edizione criticamente fondata dei libri I-VII, arricchita da note di contestualizzazione e commento, tappa intermedia di un progetto di edizione integrale dell’opera. Nei primi sette libri del De gestis Italicorum, Mussato narra le turbolente vicende d’Italia (soprattutto dell’Italia centro-settentrionale) dall’agosto 1313 ai primi mesi del 1316, riservando una posizione privilegiata alla sua Padova, impegnata in un logorante conflitto con Cangrande della Scala, destinato a protrarsi tra alti e bassi fino al 1328. La città di Antenore è tormentata al suo interno da tensioni crescenti, che hanno talvolta esiti cruentissimi, come il tumulto dell’aprile 1314: tra i personaggi che si muovono sulla scena cittadina c’è l’autore stesso, che racconta di sé in terza persona; ci sono anche il vescovo Pagano della Torre, dedicatario e interlocutore privilegiato dell’opera, e soprattutto i nobili signori Da Carrara che, sotto l’intelligente guida di Giacomo il Grande, si preparano a giocare un ruolo sempre più importante e decisivo. Ricco e articolatissimo è pure il resoconto della cruciale battaglia di Montecatini del 1315, la magnifica impresa di un altro grande ghibellino di quegli anni, Uguccione della Faggiuola, descritto con finezza di analisi politica e psicologica nella sua quasi irresistibile ascesa. Uno sguardo attento è anche rivolto alle vicende lombarde, che vedono contrapporsi i Guelfi, alla cui guida ricopre una posizione importante la famiglia del dedicatario Pagano, e Matteo Visconti, che va allargando sempre più la sua area di influenza. Di molti di questi «successus rerum» è attore non secondario Roberto d’Angiò, di cui si descrive anche una non fortunata spedizione contro la Sicilia di Federico d’Aragona. Come già si verifica nel De gestis Henrici, aperto all’insegna di Tito Livio, anche nel De gestis Italicorum Mussato si rivela debitore della tradizione storiografica antica, soprattutto per quanto riguarda i paradigmi di interpretazione morale delle vicende storiche, che risentono in particolare delle riflessioni sallustiane. Ma la storia di Roma, soprattutto della Roma repubblicana, influenza in maniera significativa pure il discorso sulle istituzioni politiche cittadine contemporanee, sul loro funzionamento, sul loro sviluppo e sul loro declino, mentre nella tessitura della prosa del Padovano riemerge più volte la memoria dei poeti antichi.

Albertino Mussato, De gestis Italicorum post Henricum VII Cesarem (libri I-VII)

Rino Modonutti
2018

Abstract

Il De gestis Italicorum post Henricum VII Cesarem di Albertino Mussato (1261-1329) si apre col resoconto delle reazioni alla morte dell’imperatore Enrico VII (24 agosto 1313), raccontata con dovizia di particolari a conclusione del De gestis Henrici VII Cesaris. La scomparsa di colui che era stato il protagonista e, in un certo senso, il motore della sua prima prova storiografica non fece quindi venire meno in Mussato il desiderio di narrare gli eventi più significativi del proprio tempo. Quasi senza staccare la penna dal foglio, Albertino, pur fortemente impegnato nell’azione politica, passò così dalla composizione del primo a quella del secondo e più imponente De gestis, che prosegue in quindici libri fino a registrare alcuni accadimenti del giugno 1321. Qui si offre l’edizione criticamente fondata dei libri I-VII, arricchita da note di contestualizzazione e commento, tappa intermedia di un progetto di edizione integrale dell’opera. Nei primi sette libri del De gestis Italicorum, Mussato narra le turbolente vicende d’Italia (soprattutto dell’Italia centro-settentrionale) dall’agosto 1313 ai primi mesi del 1316, riservando una posizione privilegiata alla sua Padova, impegnata in un logorante conflitto con Cangrande della Scala, destinato a protrarsi tra alti e bassi fino al 1328. La città di Antenore è tormentata al suo interno da tensioni crescenti, che hanno talvolta esiti cruentissimi, come il tumulto dell’aprile 1314: tra i personaggi che si muovono sulla scena cittadina c’è l’autore stesso, che racconta di sé in terza persona; ci sono anche il vescovo Pagano della Torre, dedicatario e interlocutore privilegiato dell’opera, e soprattutto i nobili signori Da Carrara che, sotto l’intelligente guida di Giacomo il Grande, si preparano a giocare un ruolo sempre più importante e decisivo. Ricco e articolatissimo è pure il resoconto della cruciale battaglia di Montecatini del 1315, la magnifica impresa di un altro grande ghibellino di quegli anni, Uguccione della Faggiuola, descritto con finezza di analisi politica e psicologica nella sua quasi irresistibile ascesa. Uno sguardo attento è anche rivolto alle vicende lombarde, che vedono contrapporsi i Guelfi, alla cui guida ricopre una posizione importante la famiglia del dedicatario Pagano, e Matteo Visconti, che va allargando sempre più la sua area di influenza. Di molti di questi «successus rerum» è attore non secondario Roberto d’Angiò, di cui si descrive anche una non fortunata spedizione contro la Sicilia di Federico d’Aragona. Come già si verifica nel De gestis Henrici, aperto all’insegna di Tito Livio, anche nel De gestis Italicorum Mussato si rivela debitore della tradizione storiografica antica, soprattutto per quanto riguarda i paradigmi di interpretazione morale delle vicende storiche, che risentono in particolare delle riflessioni sallustiane. Ma la storia di Roma, soprattutto della Roma repubblicana, influenza in maniera significativa pure il discorso sulle istituzioni politiche cittadine contemporanee, sul loro funzionamento, sul loro sviluppo e sul loro declino, mentre nella tessitura della prosa del Padovano riemerge più volte la memoria dei poeti antichi.
2018
9788884509123
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/3296476
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