Spiántza è una città informale, generata in totale assenza di pianificazione e di proprietà, che ha assunto una forma però ben precisa, con migliaia di case autocostruite lungo la costa del Peloponneso. Una striscia abitata in un sistema di strette fasce parallele alla linea di battigia: la campagna, la pineta, l’insediamento, la spiaggia, il mare. Il toponimo proviene da scambi mercantili con i veneziani che battevano le baie antistanti l’isola di Zacinto, dominio della Repubblica Serenissima fino al 1797, mentre lo spiazzo considerato piazza del paese è tuttora chiamato Ntaravéri, certa traslitterazione di “dare-avere”, a indicare la compravendita di merci sul litorale. Secondo le stime dell’HRADE a Spiántza insistono 67.504 mq di superficie residenziale realizzati su terreni demaniali, individuando circa 28.000 proprietari abusivi . Da luogo informale di mercato, a città lineare costiera che ancora oggi, ogni agosto, diviene spazio chiassoso mediterraneo per eccellenza, ospitando mercati gitani, fiere di paese e penegirici religiosi, lungo un processo di sedimentazione di manufatti temporanei che via via hanno acquisito fattezze permanenti e definitive. Questo luogo è ovviamente molto di più che un’oscena baraccopoli spazzata dal vento e dal mare. È certamente uno di quei luoghi in evidente contrapposizione alla nostra città ipernormata, “«disincarnata», che non accetta che la nostra fisicità sia la prima architettura” , capace di rievocare dimensioni ancestrali, di integrare dinamiche sociali e politiche di sussistenza più attente alla specificità dei diversi bisogni abitativi, di sviluppare apprendimento e cooperazione, di generare maggior immunità alla crisi.

[F]orme sulla spiaggia. La città informale del Golfo di Kyparissía

Antoniadis Stefanos
2017

Abstract

Spiántza è una città informale, generata in totale assenza di pianificazione e di proprietà, che ha assunto una forma però ben precisa, con migliaia di case autocostruite lungo la costa del Peloponneso. Una striscia abitata in un sistema di strette fasce parallele alla linea di battigia: la campagna, la pineta, l’insediamento, la spiaggia, il mare. Il toponimo proviene da scambi mercantili con i veneziani che battevano le baie antistanti l’isola di Zacinto, dominio della Repubblica Serenissima fino al 1797, mentre lo spiazzo considerato piazza del paese è tuttora chiamato Ntaravéri, certa traslitterazione di “dare-avere”, a indicare la compravendita di merci sul litorale. Secondo le stime dell’HRADE a Spiántza insistono 67.504 mq di superficie residenziale realizzati su terreni demaniali, individuando circa 28.000 proprietari abusivi . Da luogo informale di mercato, a città lineare costiera che ancora oggi, ogni agosto, diviene spazio chiassoso mediterraneo per eccellenza, ospitando mercati gitani, fiere di paese e penegirici religiosi, lungo un processo di sedimentazione di manufatti temporanei che via via hanno acquisito fattezze permanenti e definitive. Questo luogo è ovviamente molto di più che un’oscena baraccopoli spazzata dal vento e dal mare. È certamente uno di quei luoghi in evidente contrapposizione alla nostra città ipernormata, “«disincarnata», che non accetta che la nostra fisicità sia la prima architettura” , capace di rievocare dimensioni ancestrali, di integrare dinamiche sociali e politiche di sussistenza più attente alla specificità dei diversi bisogni abitativi, di sviluppare apprendimento e cooperazione, di generare maggior immunità alla crisi.
2017
La città, il viaggio, il turismo. Percezione, produzione e trasformazione
9788899930028
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