Lo studio si occupa delle conseguenze della morte del fallito in corso di fallimento. Si precisa anzitutto che per i beni non compresi nel patrimonio fallimentare – e tali sono non solo quelli indicati all'art.46 della legge fallimentare, ma anche quelli acquistati dal fallito durante il fallimento e dei quali il curatore abbia respinto l'acquisto – trovano applicazione le norme generali, quelle che troverebbero applicazione se il de cuius non fosse stato dichiarato fallito. Per i beni “compresi nel fallimento” il problema viene affrontato sotto il profilo processuale sottolineando come la procedura continui ed individuando i soggetti con i quali continua. Da un punto di vista sostanziale ci si è chiesti – sempre per i beni compresi nel fallimento – se siano inopponibili/inefficaci per il ceto creditorio solo gli atti di disposizione posti in essere dal fallito, oppure anche ogni vicenda che coinvolga il fallito, come è – appunto - la morte. Ci si è chiesti poi se la sterilizzazione della situazione patrimoniale al momento della dichiarazione di fallimento valga anche ad escludere che possa maturare in corso di fallimento, in danno al ceto creditorio, la prescrizione di un credito facente parte del patrimonio fallimentare; e se, sempre in danno al ceto creditorio e a favore di un terzo, possa maturare in corso di fallimento l'usucapione di un bene già compreso nel patrimonio fallimentare. Problemi tutti affrontati anche confrontando le soluzioni prospettate nel caso di fallimento con quelle proposte per l'espropriazione singolare. Sempre dal punto di vista sostanziale, si sono esaminate la posizione del chiamato all'eredità - sottolineando come in questo caso ci possa essere applicazione dell'art. 485 cod. civ. - nonché la posizione di chi abbia accettato con beneficio d'inventario (in particolare per quanto riguarda l'onere di procedere comunque alla redazione dell'inventario e il suo contenuto). Si è infine considerata la posizione di chi sia divenuto erede puro e semplice del fallito e, in quanto tale, responsabile con tutti i suoi beni dei debiti del de cuius. Ci si è in particolare domandati come i creditori del de cuius possano trovare soddisfazione sui beni personali dell'erede (escludendo che ci sia l'attrazione di questi beni nel fallimento) e, di contro, se e come i creditori dell'erede possano trovare soddisfazione sui beni del fallito defunto.

Morte del fallito in corso di fallimento (poi morte del debitore in pendenza della liquidazione giudiziale)

Annalisa Lorenzetto
2020

Abstract

Lo studio si occupa delle conseguenze della morte del fallito in corso di fallimento. Si precisa anzitutto che per i beni non compresi nel patrimonio fallimentare – e tali sono non solo quelli indicati all'art.46 della legge fallimentare, ma anche quelli acquistati dal fallito durante il fallimento e dei quali il curatore abbia respinto l'acquisto – trovano applicazione le norme generali, quelle che troverebbero applicazione se il de cuius non fosse stato dichiarato fallito. Per i beni “compresi nel fallimento” il problema viene affrontato sotto il profilo processuale sottolineando come la procedura continui ed individuando i soggetti con i quali continua. Da un punto di vista sostanziale ci si è chiesti – sempre per i beni compresi nel fallimento – se siano inopponibili/inefficaci per il ceto creditorio solo gli atti di disposizione posti in essere dal fallito, oppure anche ogni vicenda che coinvolga il fallito, come è – appunto - la morte. Ci si è chiesti poi se la sterilizzazione della situazione patrimoniale al momento della dichiarazione di fallimento valga anche ad escludere che possa maturare in corso di fallimento, in danno al ceto creditorio, la prescrizione di un credito facente parte del patrimonio fallimentare; e se, sempre in danno al ceto creditorio e a favore di un terzo, possa maturare in corso di fallimento l'usucapione di un bene già compreso nel patrimonio fallimentare. Problemi tutti affrontati anche confrontando le soluzioni prospettate nel caso di fallimento con quelle proposte per l'espropriazione singolare. Sempre dal punto di vista sostanziale, si sono esaminate la posizione del chiamato all'eredità - sottolineando come in questo caso ci possa essere applicazione dell'art. 485 cod. civ. - nonché la posizione di chi abbia accettato con beneficio d'inventario (in particolare per quanto riguarda l'onere di procedere comunque alla redazione dell'inventario e il suo contenuto). Si è infine considerata la posizione di chi sia divenuto erede puro e semplice del fallito e, in quanto tale, responsabile con tutti i suoi beni dei debiti del de cuius. Ci si è in particolare domandati come i creditori del de cuius possano trovare soddisfazione sui beni personali dell'erede (escludendo che ci sia l'attrazione di questi beni nel fallimento) e, di contro, se e come i creditori dell'erede possano trovare soddisfazione sui beni del fallito defunto.
2020
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