In un inno a Zeus, il filosofo Cleante afferma che l'inno è un dovere di natura per ogni uomo. Egli assegna a quella natura la comunanza con il divino e una facoltà specifica: l'«echou mimema» - una misteriosa interpolazione che, rimandando alla sfera della voce, motiva il canto dell'inno. Nei suoi scritti filosofici, Epitteto, qualche secolo più avanti, sosterrà che è in quanto essere dotato di linguaggio («logos») che l’uomo non può non inneggiare a Zeus. Similmente, già Platone era stato definito in tempi antichi il più «capace tra i compositori di inni» (Menandro I), ed egli stesso aveva indicato nell’inno a Eros il più compiuto esempio di filosofia. L'inno, scriveva nella Repubblica, è la sola forma di poesia che sia «ammessa» nella polis a venire (Resp. 607 a). In tempi a noi recenti, al mondo moderno è stata diagnosticata un’irreparabile «perdita dell’inno» (Bailly), nonostante un poeta assai avveduto avesse indicato nella lode, ciò che in ogni tempo significa l’inno, la natura più profonda del linguaggio dell’uomo (Rilke). Che cos’è un inno e perché esso continua a dimorare in latenza tra le meditazioni che si attardano sul linguaggio, al punto da farsi momento privilegiato della filosofia? Tre sezioni, dedicate all’analisi della questione nel mondo antico, esplorano la sua natura più propria, alleggerendolo dalle sovradeterminazioni esegetiche che lo schiacciano ora sotto il peso dell’encomio ora sotto quello della preghiera. L’inno è ritrovato nella sua genericità di composizione poetica che nulla giudica e nulla richiede, ma solo dice. La ricerca dei suoi elementi propri trasporta lo studio nel regno della filosofia della parola: l’innico dimora nel nome, nell’epiteto, nell’epidissi del proprio linguaggio. Esso è nella vocazione e nella nominazione, e nel punto in cui queste, festive, si incontrano. L’ultimo gruppo di riflessioni non abbandona l’orizzonte disvelato ma prova ad estendere la questione a un problema la cui soluzione non ha cessato di interpellarci: qual è la forma che la filosofia, resasi cosciente del proprio debito nei confronti della parola innica, ha in ogni tempo cercato di riafferrare?

Inno e filosofia nel mondo antico / Hymnes et philosophie dans l'Antiquité grecque

Di Vita, Nicoletta
2018

Abstract

In un inno a Zeus, il filosofo Cleante afferma che l'inno è un dovere di natura per ogni uomo. Egli assegna a quella natura la comunanza con il divino e una facoltà specifica: l'«echou mimema» - una misteriosa interpolazione che, rimandando alla sfera della voce, motiva il canto dell'inno. Nei suoi scritti filosofici, Epitteto, qualche secolo più avanti, sosterrà che è in quanto essere dotato di linguaggio («logos») che l’uomo non può non inneggiare a Zeus. Similmente, già Platone era stato definito in tempi antichi il più «capace tra i compositori di inni» (Menandro I), ed egli stesso aveva indicato nell’inno a Eros il più compiuto esempio di filosofia. L'inno, scriveva nella Repubblica, è la sola forma di poesia che sia «ammessa» nella polis a venire (Resp. 607 a). In tempi a noi recenti, al mondo moderno è stata diagnosticata un’irreparabile «perdita dell’inno» (Bailly), nonostante un poeta assai avveduto avesse indicato nella lode, ciò che in ogni tempo significa l’inno, la natura più profonda del linguaggio dell’uomo (Rilke). Che cos’è un inno e perché esso continua a dimorare in latenza tra le meditazioni che si attardano sul linguaggio, al punto da farsi momento privilegiato della filosofia? Tre sezioni, dedicate all’analisi della questione nel mondo antico, esplorano la sua natura più propria, alleggerendolo dalle sovradeterminazioni esegetiche che lo schiacciano ora sotto il peso dell’encomio ora sotto quello della preghiera. L’inno è ritrovato nella sua genericità di composizione poetica che nulla giudica e nulla richiede, ma solo dice. La ricerca dei suoi elementi propri trasporta lo studio nel regno della filosofia della parola: l’innico dimora nel nome, nell’epiteto, nell’epidissi del proprio linguaggio. Esso è nella vocazione e nella nominazione, e nel punto in cui queste, festive, si incontrano. L’ultimo gruppo di riflessioni non abbandona l’orizzonte disvelato ma prova ad estendere la questione a un problema la cui soluzione non ha cessato di interpellarci: qual è la forma che la filosofia, resasi cosciente del proprio debito nei confronti della parola innica, ha in ogni tempo cercato di riafferrare?
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/3346824
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