Nell’ultimo decennio, la ricerca educativa ha riconosciuto grande valore alla prospettiva della resilienza la quale definisce la capacità di riprendere uno sviluppo di vita positivo a seguito dell'aver vissuto un evento traumatico che avrebbe potuto portare ad esiti negativi. Conoscere i fattori protettivi sembra essere molto importante per chi, occupandosi di processi educativi, opera con l’obiettivo di sostenere e promuovere i processi di costruzione e sviluppo dell’identità, all’interno dei diversi contesti: famiglia, scuola, servizi, comunità locali. In particolare il concetto di resilienza sembra rivestire rilevanza nei confronti di quei bambini che vivono in una famiglia vulnerabile, o che hanno subito il trauma dell’allontanamento dalla famiglia di origine, temporaneo (affido in famiglia o in comunità) o definitivo (iter adottivo). Studiando l’esperienza traumatica vissuta dai bambini durante la Shoah nella II Guerra Mondiale, abbiamo ipotizzato la presenza di alcune affinità tra l’esperienza di questi bambini, soprattutto i cosiddetti "bambini nascosti", e quella dei bambini attualmente allontanati dalla famiglia d’origine. Se da una parte siamo consapevoli che tali esperienze sono profondamente diverse, dall’altra riteniamo sia possibile imparare dalle storie di vita dei bambini sopravvissuti per aiutare i bambini oggi. L’obiettivo della nostra indagine è stato pertanto quello di effettuare l’analisi longitudinale di alcune storie di vita di bambini sopravvissuti alla Shoah per conoscere i fattori protettivi che hanno loro permesso di sviluppare resilienza, al fine di acquisire elementi utili alla promozione di positivi processi resilienti anche nei bambini che oggi vengono allontanati dalle loro famiglie d’origine. Le ipotesi iniziali consistevano nel ritenere che: - sia possibile incrementare la comprensione dei Fattori Protettivi dello sviluppo umano attraverso l’analisi di biografie di persone resilienti, per acquisire elementi utili alla promozione della resilienza nelle situazioni di allontanamento dalla famiglia d’origine; - l’educazione possa imparare dalle storie di vita dei sopravvissuti resilienti; - esistano aspetti (assiologici, comportamentali, relazionali, cognitivi, sociali, affettivi) appartenenti alla cultura ebraica che contribuiscono alla capacità dei sopravvissuti di sviluppare resilienza; - esistano delle affinità tra le esperienze di separazione vissute dai bambini sopravvissuti e quelle dei bambini allontanati oggi dalla loro famiglia d'origine. Dal momento che l'interesse principale era incentrato sulla prospettiva soggettiva delle persone rispetto alla propria storia, la ricerca è stata condotta utilizzando un approccio narrativo biografico. Le unità di studio sono consistite nel materiale testuale relativo alle traiettorie biografiche di un gruppo di bambini sopravvissuti che hanno sviluppato resilienza, il quale è stato raccolto attraverso 19 interviste semi-strutturate a bambini sopravvissuti, soprattutto bambini nascosti, 3 deportati, 1 rifugiato (raccolte presso United States Holocaust Memorial Museum, Washington D.C., Yad Vashem, Jerusalem, e in Italia) e 2 autobiografie pubblicate. Le interviste sono durate in media 1.30 h. Il contenuto del materiale testuale raccolto è stato codificato e analizzato attraverso il software Atlas.ti. I risultati non sono certamente generalizzabili, tuttavia sembrano portare un contributo riflessivo interessante riguardo al lavoro con i minori separati attualmente dalla loro famiglia d'origine, soprattutto in riferimento alla possibilità di mantenere appartenenze multiple e aiutare i bambini a integrare le identità plurali che emergono da esse, in modo unitario all'interno della propria storia.

Traiettorie biografiche di piccole stelle. Una ricerca su resilienza ed educazione a partire da 21 storie di bambini nascosti durante la Shoah

Marco Ius
Writing – Original Draft Preparation
2009

Abstract

Nell’ultimo decennio, la ricerca educativa ha riconosciuto grande valore alla prospettiva della resilienza la quale definisce la capacità di riprendere uno sviluppo di vita positivo a seguito dell'aver vissuto un evento traumatico che avrebbe potuto portare ad esiti negativi. Conoscere i fattori protettivi sembra essere molto importante per chi, occupandosi di processi educativi, opera con l’obiettivo di sostenere e promuovere i processi di costruzione e sviluppo dell’identità, all’interno dei diversi contesti: famiglia, scuola, servizi, comunità locali. In particolare il concetto di resilienza sembra rivestire rilevanza nei confronti di quei bambini che vivono in una famiglia vulnerabile, o che hanno subito il trauma dell’allontanamento dalla famiglia di origine, temporaneo (affido in famiglia o in comunità) o definitivo (iter adottivo). Studiando l’esperienza traumatica vissuta dai bambini durante la Shoah nella II Guerra Mondiale, abbiamo ipotizzato la presenza di alcune affinità tra l’esperienza di questi bambini, soprattutto i cosiddetti "bambini nascosti", e quella dei bambini attualmente allontanati dalla famiglia d’origine. Se da una parte siamo consapevoli che tali esperienze sono profondamente diverse, dall’altra riteniamo sia possibile imparare dalle storie di vita dei bambini sopravvissuti per aiutare i bambini oggi. L’obiettivo della nostra indagine è stato pertanto quello di effettuare l’analisi longitudinale di alcune storie di vita di bambini sopravvissuti alla Shoah per conoscere i fattori protettivi che hanno loro permesso di sviluppare resilienza, al fine di acquisire elementi utili alla promozione di positivi processi resilienti anche nei bambini che oggi vengono allontanati dalle loro famiglie d’origine. Le ipotesi iniziali consistevano nel ritenere che: - sia possibile incrementare la comprensione dei Fattori Protettivi dello sviluppo umano attraverso l’analisi di biografie di persone resilienti, per acquisire elementi utili alla promozione della resilienza nelle situazioni di allontanamento dalla famiglia d’origine; - l’educazione possa imparare dalle storie di vita dei sopravvissuti resilienti; - esistano aspetti (assiologici, comportamentali, relazionali, cognitivi, sociali, affettivi) appartenenti alla cultura ebraica che contribuiscono alla capacità dei sopravvissuti di sviluppare resilienza; - esistano delle affinità tra le esperienze di separazione vissute dai bambini sopravvissuti e quelle dei bambini allontanati oggi dalla loro famiglia d'origine. Dal momento che l'interesse principale era incentrato sulla prospettiva soggettiva delle persone rispetto alla propria storia, la ricerca è stata condotta utilizzando un approccio narrativo biografico. Le unità di studio sono consistite nel materiale testuale relativo alle traiettorie biografiche di un gruppo di bambini sopravvissuti che hanno sviluppato resilienza, il quale è stato raccolto attraverso 19 interviste semi-strutturate a bambini sopravvissuti, soprattutto bambini nascosti, 3 deportati, 1 rifugiato (raccolte presso United States Holocaust Memorial Museum, Washington D.C., Yad Vashem, Jerusalem, e in Italia) e 2 autobiografie pubblicate. Le interviste sono durate in media 1.30 h. Il contenuto del materiale testuale raccolto è stato codificato e analizzato attraverso il software Atlas.ti. I risultati non sono certamente generalizzabili, tuttavia sembrano portare un contributo riflessivo interessante riguardo al lavoro con i minori separati attualmente dalla loro famiglia d'origine, soprattutto in riferimento alla possibilità di mantenere appartenenze multiple e aiutare i bambini a integrare le identità plurali che emergono da esse, in modo unitario all'interno della propria storia.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/3351869
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