La riflessione di al-Fārābī sulla rivelazione (waḥy), la profezia (nubuwwa) e la figura del profeta non è affatto sistematica a partire dal silenzio del Taḥṣīl al-saʿāda in cui le vie di accesso alla conoscenza della Causa Prima e del fine grazie a cui l’uomo raggiunge la sua piena felicità, sono la filosofia – conoscenza mediante intuizione certa (baṣīratun yaqīniyyatun) nell’anima del legislatore – e la religione – assenso a un’immagine imitativa mediante argomenti persuasivi nelle anime della moltitudine. Il legislatore che guida la comunità politica è un filosofo che conosce per mezzo dell’intelletto, che è eccellente nella virtù pratica e nella deliberazione ed è in grado di portare alla felicità suprema la comunità poiché inventa (iḫtaraʿa) le immagini e ne fa uno strumento educativo per la moltitudine. Anche negli Aforismi scelti la sapienza (ḥikma), ossia la conoscenza più eccellente degli esseri più eccellenti, e l’eccellenza nel deliberare di chi riesce ad approdare alla conoscenza teoretica divina, sono qualità del governante perfetto. Ad esse si devono aggiungere la capacità di persuasione (al-iqnāʿ) e di evocazione immaginativa (al-taḫiyyl). Il sapiente non ha la necessità di ricorrere alla rivelazione che, anche qualora si dia, fornisce un certo sapere di tipo pratico che il sapiente può derivare da solo dalla sua conoscenza teoretica. È certamente nei Principi delle opinioni degli abitanti della città virtuosa che al-Fārābī presenta la sua dottrina più articolata ed è in quest’opera che egli ridefinisce il concetto religioso tradizionale di rivelazione per renderla compatibile con il sapere filosofico. Egli sostiene che la rivelazione è attingibile solo dal filosofo che si è attualizzato come intelletto acquisito. La profezia, invece, distinta dalla rivelazione e a essa subordinata, realizza la possibilità di comunicare la massima conoscenza in forma simbolica agli abitanti della città virtuosa. L’Intelletto agente, infatti, comunica oltre alla facoltà razionale anche a quella immaginativa e quest’ultima è capace di imitazione riproduttiva (muḥākāt / mimēsis): può creare immagini che simboleggiano le realtà intelligibili. Al-Fārābī è tutt’altro che chiaro sul modo in cui l’Intelletto agente trasmette alla facoltà immaginativa il proprio contenuto, ma descrive dettagliatamente la ‘meccanica’ del prodursi delle visioni profetiche: i sensibili propri scelti dall’immaginazione vengono impressi prima nel senso comune, e poi nella facoltà della vista che li proietta nell’aria così che possano essere nuovamente percepiti dall’organo di senso e diventare visibili. Nella dottrina farabiana il Primo principio, Dio, non è causa della rivelazione e della profezia per il fatto che in un particolare momento del tempo e della storia si rivela all’uomo tramite un profeta intellettualmente vergine, ma per l’eterna emanazione delle intelligenze a partire da Lui. L’Intelletto agente è la causa prossima del darsi della rivelazione e della profezia in un individuo particolarmente dotato dal punto di vista delle sue facoltà psichiche: razionale e immaginativa. Il Profeta è il primo governante supremo del governo virtuoso, che ha raggiunto la perfezione grazie a un’emanazione da parte dell’Intelletto agente alla propria facoltà razionale e che utilizza la facoltà immaginativa presentando immagini appropriate e argomenti persuasivi come strumento di educazione ed edificazione del governo virtuoso. Le immagini hanno dunque un ruolo politico e religioso nell’avvicinare le comunità umane alla verità e all’agire nella verità: la maggior parte degli uomini, infatti, non è in grado di concettualizzare le realtà superiori come esse sono nella loro essenza, ma può dare assenso alla verità conosciuta per immagini. Anche nel Governo politico e nel trattato Sulla Religione la rivelazione è parte del processo conoscitivo grazie a cui il filosofo, la guida perfetta del governo virtuoso, arriva alla più alta forma di conoscenza. Dei contenuti di tale conoscenza alcuni possono arrivare a formarsi il concetto, per altri si deve ricorrere all’immaginazione grazie a cui possono conservare in sé le immagini più simili ai principi, alla felicità, al governo virtuoso. Questa è la funzione delle religioni. Le religioni virtuose assomigliano alla falsafa, ma sono ad essa subordinate in quanto suo strumento grazie a cui la filosofia realizza sé stessa quale conoscenza che ha per fine la felicità suprema non solo del filosofo, ma della comunità politica.

La rivelazione, la profezia, il Profeta e la sua facoltà immaginativa nelle opere di Abū Naṣr al-Fārābī

Cecilia Martini
2020

Abstract

La riflessione di al-Fārābī sulla rivelazione (waḥy), la profezia (nubuwwa) e la figura del profeta non è affatto sistematica a partire dal silenzio del Taḥṣīl al-saʿāda in cui le vie di accesso alla conoscenza della Causa Prima e del fine grazie a cui l’uomo raggiunge la sua piena felicità, sono la filosofia – conoscenza mediante intuizione certa (baṣīratun yaqīniyyatun) nell’anima del legislatore – e la religione – assenso a un’immagine imitativa mediante argomenti persuasivi nelle anime della moltitudine. Il legislatore che guida la comunità politica è un filosofo che conosce per mezzo dell’intelletto, che è eccellente nella virtù pratica e nella deliberazione ed è in grado di portare alla felicità suprema la comunità poiché inventa (iḫtaraʿa) le immagini e ne fa uno strumento educativo per la moltitudine. Anche negli Aforismi scelti la sapienza (ḥikma), ossia la conoscenza più eccellente degli esseri più eccellenti, e l’eccellenza nel deliberare di chi riesce ad approdare alla conoscenza teoretica divina, sono qualità del governante perfetto. Ad esse si devono aggiungere la capacità di persuasione (al-iqnāʿ) e di evocazione immaginativa (al-taḫiyyl). Il sapiente non ha la necessità di ricorrere alla rivelazione che, anche qualora si dia, fornisce un certo sapere di tipo pratico che il sapiente può derivare da solo dalla sua conoscenza teoretica. È certamente nei Principi delle opinioni degli abitanti della città virtuosa che al-Fārābī presenta la sua dottrina più articolata ed è in quest’opera che egli ridefinisce il concetto religioso tradizionale di rivelazione per renderla compatibile con il sapere filosofico. Egli sostiene che la rivelazione è attingibile solo dal filosofo che si è attualizzato come intelletto acquisito. La profezia, invece, distinta dalla rivelazione e a essa subordinata, realizza la possibilità di comunicare la massima conoscenza in forma simbolica agli abitanti della città virtuosa. L’Intelletto agente, infatti, comunica oltre alla facoltà razionale anche a quella immaginativa e quest’ultima è capace di imitazione riproduttiva (muḥākāt / mimēsis): può creare immagini che simboleggiano le realtà intelligibili. Al-Fārābī è tutt’altro che chiaro sul modo in cui l’Intelletto agente trasmette alla facoltà immaginativa il proprio contenuto, ma descrive dettagliatamente la ‘meccanica’ del prodursi delle visioni profetiche: i sensibili propri scelti dall’immaginazione vengono impressi prima nel senso comune, e poi nella facoltà della vista che li proietta nell’aria così che possano essere nuovamente percepiti dall’organo di senso e diventare visibili. Nella dottrina farabiana il Primo principio, Dio, non è causa della rivelazione e della profezia per il fatto che in un particolare momento del tempo e della storia si rivela all’uomo tramite un profeta intellettualmente vergine, ma per l’eterna emanazione delle intelligenze a partire da Lui. L’Intelletto agente è la causa prossima del darsi della rivelazione e della profezia in un individuo particolarmente dotato dal punto di vista delle sue facoltà psichiche: razionale e immaginativa. Il Profeta è il primo governante supremo del governo virtuoso, che ha raggiunto la perfezione grazie a un’emanazione da parte dell’Intelletto agente alla propria facoltà razionale e che utilizza la facoltà immaginativa presentando immagini appropriate e argomenti persuasivi come strumento di educazione ed edificazione del governo virtuoso. Le immagini hanno dunque un ruolo politico e religioso nell’avvicinare le comunità umane alla verità e all’agire nella verità: la maggior parte degli uomini, infatti, non è in grado di concettualizzare le realtà superiori come esse sono nella loro essenza, ma può dare assenso alla verità conosciuta per immagini. Anche nel Governo politico e nel trattato Sulla Religione la rivelazione è parte del processo conoscitivo grazie a cui il filosofo, la guida perfetta del governo virtuoso, arriva alla più alta forma di conoscenza. Dei contenuti di tale conoscenza alcuni possono arrivare a formarsi il concetto, per altri si deve ricorrere all’immaginazione grazie a cui possono conservare in sé le immagini più simili ai principi, alla felicità, al governo virtuoso. Questa è la funzione delle religioni. Le religioni virtuose assomigliano alla falsafa, ma sono ad essa subordinate in quanto suo strumento grazie a cui la filosofia realizza sé stessa quale conoscenza che ha per fine la felicità suprema non solo del filosofo, ma della comunità politica.
2020
Prophecy and Prophets in the Middle Ages
978-88-9290-0417
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/3358278
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