This PhD research project was focused on microalgal oil production for biofuel. The work includes mostly an experimental part on microalgal species selection and optimization of growth conditions and a part of process simulation and photobioreactor design. After an overview of literature on the algal biology and cultivation and photobioreactor design, the experimental activities started with the set up of materials, methods and experimental apparatus, several microalgal species were screened, in order to select the most promising ones from an industrial point of view. In addition, an experimental apparatus was set up for optimizing growth conditions, under non-limiting CO2 supply. The effect of light and of other relevant operating variables on growth were addressed and discussed, and some suggestions to better understand the process behavior were given with respect to lipid content maximization, carbon dioxide and nitrogen supply, and illumination conditions. The possibility of exploiting mixotrophy to support algal growth overnight or in dark zones of a photobioreactor was also investigated. Finally, a continuous photobioreactor was designed and built, in order to test the feasibility of the algal biomass production in an industrial continuous process operated at steady-state. Together with experiments, a process simulation work was also carried out, by using the software Aspen Plus™. This part of the thesis was focused on the calculation of the microalgal biomass production and photobioreactor performances under different operating conditions.

La produzione di biocarburanti da biomassa sta suscitando un vivo interesse a livello internazionale e, in questo contesto, l’olio derivato da microalghe sembra essere l’unica tecnologia potenzialmente in grado di supportare la richiesta energetica di combustibili liquidi per autotrazione e sostituire, nel lungo termine, i carburanti da fonti fossili (Chisti, 2008). La produzione di biomassa algale per via fotosintetica, inoltre, ha dei notevoli vantaggi dal punto di vista ambientale, contribuendo alla diminuzione dell’immissione dei gas serra in atmosfera e all’eliminazione di sali di ammonio e fosforo dalle acque di scarico. Per microalghe s’intendono tutti gli organismi unicellulari, o di piccole dimensioni, che possiedono la clorofilla A (grazie alla quale operano fotosintesi) e che presentano un tallo non differenziato in radice-fusto-foglia. In questa classificazione vengono inglobati generalmente anche i cianobatteri, sebbene siano organismi procarioti (Mata et al., 2010). L’interesse verso questi organismi nasce, storicamente, dalla potenzialità di utilizzo per la produzione di biomassa a scopo alimentare, per la nutrizione animale e per la produzione di composti chimici, sfruttando l’energia solare. La fotosintesi, infatti, è un processo di conversione di composti inorganici e energia solare in materia organica. Gli organismi in grado di effettuare tali reazioni vengono definiti fotoautotrofi. La fotosintesi ossigenica, in particolare, può essere definita come una serie di reazioni di ossido-riduzione, nelle quali l’anidride carbonica e l’acqua sono trasformate in carboidrati e ossigeno. In presenza di macronutrienti (principalmente nitrati e fosfati, e una fonte di carbonio) e micronutrienti (principalmente metalli, utilizzati come cofattori) le microalghe sono in grado di riprodursi, generalmente mediante divisione asessuata, con una velocità notevolmente maggiore rispetto alle piante superiori terrestri. Ciò rende le microalghe particolarmente adatte alla coltivazione su larga scala per l’assorbimento della CO2 atmosferica, per la produzione di biocombustibili, per la depurazione di reflui civili e agro-zootecnici e per la produzione di biomolecole. Microalghe di varie specie vengono già prodotte a livello commerciale in molti Paesi e utilizzate, in genere, per ottenere integratori alimentari, mangimi, pigmenti, acidi grassi, ω3, biomasse per acquacoltura e per il trattamento di reflui. E’ stato osservato che alcune specie di microalghe sono in grado di accumulare grandi quantità di lipidi, che possono essere estratti ed utilizzati come oli vegetali, al pari degli oli estratti dai semi delle piante superiori. I vantaggi dell’utilizzo delle microalghe sono legati al fatto che questi organismi presentano elevate velocità di crescita, e possono essere coltivati massivamente in fotobioreattori, senza bisogno di terreni coltivabili ed eliminando, di conseguenza, il problema della competizione con risorse agricole destinate ad uso alimentare. La coltivazione di microalghe legata alla produzione di biodiesel, quindi, è una tecnologia che potrebbe avere un elevato potenziale di sviluppo, consentendo una netta riduzione delle emissioni di CO2 rispetto all’uso di combustibili fossili, senza sottrarre risorse alle coltivazioni terrestri per fini alimentari. Inoltre, dopo l’estrazione di biocombustibile, la biomassa microalgale residua potrebbe ancora essere impiegata per l’estrazione di biomolecole di interesse commerciale, per la produzione di biogas o per scopi energetici (Chisti, 2008). La scelta dei sistemi di coltura di questo tipo su larga scala è tuttora oggetto di studio (Mata et al., 2010; Grobbelaar, 2010; Ho et al., 2011). Tali sistemi si distinguono in due categorie principali: sistemi aperti (open ponds) e sistemi chiusi (fotobioreattori). Costituiti da circuiti generalmente tubolari o a pannello, i fotobioreattori presentano un grado di complessità decisamente maggiore rispetto ai sistemi aperti ma consentono uno stretto controllo dei parametri chimico-fisici e biologici della coltura e una migliore resa produttiva. Le maggiori criticità sono da imputare al controllo della temperatura e al rischio di accumulo dell'ossigeno prodotto per fotosintesi, che richiede sistemi di eliminazione di questo gas. Questi problemi limitano le dimensioni dei fotobioreattori, che attualmente sono costituiti principalmente da serpentine di lunghezza non elevata e volumi limitati. Di conseguenza il costo della produzione di microalghe è piuttosto elevato, per cui le applicazioni rimangono limitate alle sole colture massive di elevata purezza, necessarie per l'estrazione di biomolecole di alto valore commerciale o per inoculi di colture in sistemi aperti. La ricerca internazionale sta puntando sempre più l’attenzione su questa tecnologia (Pittman et al., 2011; Perez-Garcia et al., 2011; Ho et al., 2011), ma il mondo delle microalghe è tuttavia molto vasto; è, quindi, necessario scegliere accuratamente la specie più adatta dal punto di vista della velocità di riproduzione e del contenuto di lipidi su massa secca. Inoltre, è necessario tenere conto delle condizioni di coltura al fine di ottimizzare la crescita e l’accumulo di lipidi (Amaro et al., 2011). Questa tesi di dottorato si è occupata della scelta delle specie microalgali più promettenti, oggetto di interesse internazionale, e dell’ottimizzazione delle condizioni di coltura, volti alla progettazione di un fotobioreattore. A tal scopo, la parte preliminare di questo progetto di ricerca ha visto la messa a punto delle principali tecniche di coltura e analisi della crescita microalgale. Una volta messe a punto le metodiche, si è proceduto con uno screening delle specie più interessanti nell’ottica della produzione di olio vegetale, scelte dopo consultazione della bibliografia disponibile. Nannochloropsis salina, una specie marina, sembra essere la specie più adatta per la produzione di olio, mostrando la miglior combinazione di velocità cinetiche di crescita (circa 0,5 giorni-1) e di contenuto di lipidi. Infatti, il contenuto lipidico dell’alga cambia durante la fase di crescita, mostrando un significativo accumulo di lipidi in fase stazionaria corrispondente al circa 69% del peso secco. Ciò è probabilmente determinato dall’accumulo di lipidi come materiale di riserva quando le condizioni di crescita risultano limitanti. Considerando l’elevato contenuto di lipidi, questa specie mostra delle reali potenzialità dal punto di vista applicativo, e quindi è stata sottoposta ad ulteriori esperimenti di ottimizzazione delle condizioni di coltura, variando le concentrazioni di nutrienti nel mezzo di crescita e allestendo apparecchiature sperimentali in grado di fornire concentrazioni di anidride carbonica maggiori rispetto a quelle atmosferiche, risultate limitanti per una produzione significativa di biomassa. Gli esperimenti, quindi, sono stati condotti insufflando nella coltura aria arricchita al 5% di CO2 in modo tale che non fosse limitante per la crescita. Altri esperimenti sono stati finalizzati a comprendere se la concentrazione di azoto nel terreno di coltivazione fosse limitante per N. salina. Sono state quindi testate diverse concentrazioni di nitrato di sodio mantenendo la concentrazioni di CO2 del 5% nell’aria insufflata. In risultati hanno mostrato che la CO2 presente in aria è limitante per la crescita. Inoltre, sebbene con il 5% la coltura raggiunga concentrazioni più elevate in fase stazionaria rispetto alla coltura insufflata con semplice aria, il nutriente veramente limitante è chiaramente l’azoto. Infatti, in presenza di 1,5 g/L di NaNO3 (circa 20 volte la concentrazione normalmente utilizzata nei terreni di coltura) la concentrazione cellulare in fase stazionaria arriva ad un valore 4 volte maggiore di quello misurato negli altri casi. Quando l’azoto è presente in eccesso, tuttavia, il contenuto di lipidi rimane basso. Questo sembra suggerire che, effettivamente, l’aumento di lipidi sia determinato dalla carenza di azoto. Infatti, cellule raccolte per centrifugazione e risospese in un terreno povero in azoto, mostrano un aumento di fluorescenza corrispondente al 63±1% di lipidi su peso secco. Questi dati dimostrano che la deficienza di azoto in N. salina è responsabile dell’accumulo di lipidi. E’ noto, infatti, che la composizione biochimica delle microalghe può essere modificata attraverso manipolazioni ambientali, inclusa la disponibilità dei nutrienti. A questo scopo, per specifiche applicazioni, alcuni nutrienti vengono somministrati in concentrazioni limitanti. In particolare, il contenuto di lipidi in alcune alghe può variare come risultato di cambiamenti nelle condizioni di crescita o nelle caratteristiche del mezzo di coltura (Rodolfi et al., 2009; Converti et al., 2009). Il più efficiente approccio per aumentare il contenuto di lipidi nella alghe sembra essere la deficienza di azoto. In queste condizioni, la produttività della coltura è generalmente ridotta, se messa a confronto con le condizioni di nutrienti in eccesso (Rodolfi et al., 2009). Infatti, la deprivazione di azoto è generalmente associata ad una riduzione nella resa di biomassa ed ad una diminuzione della crescita. Questo spiega i risultati sperimentali ottenuti, in cui l’elevata concentrazione di nitrati, nella prima fase, stimola la crescita di biomassa, probabilmente stimolando la sintesi e l’accumulo di proteine, mentre, durante la fase limitante in azoto le alghe cominciano ad accumulare lipidi, e si registra un netto aumento della concentrazione di massa secca per cellula, fino ad una concentrazione complessiva di 4.05 g/L DW. Dal punto di vista industriale, quindi, la strategia vincente è probabilmente un approccio a due step, sperimentata con successo anche da (Rodolfi et al., 2009), con una prima fase di produzione di biomassa in terreno con sufficiente concentrazione di nutrienti (N-sufficient phase), seguita da un’induzione di accumulo lipidico attraverso deprivazione d’azoto (N-starved phase). In questa tesi è stata, inoltre, presa in considerazione la crescita mixotrofa. In colture algali a scala industriale, infatti, la crescita in fotoautotrofia potrebbe presentare alcuni limiti, legati soprattutto alla produttività. Ciò è dovuto sia alla scarsa penetrazione della luce in colture su larga scala, che è inversamente proporzionale alla densità cellulare, sia ai limiti intrinseci dell’efficienza fotosintetica delle microalghe. Per incrementare la produttività, una possibile strategia è crescere le colture in mixotrofia, esponendo quindi le alghe alla luce, ma fornendo anche un substrato organico che migliori la velocità cinetica di crescita e la resa in biomassa. L’obiettivo di questa parte del progetto di ricerca è stato di studiare gli effetti sulla crescita algale di diversi substrati organici, e di ottimizzare le condizioni di crescita mixotrofa. A tale scopo, N. salina e altre specie interessanti sono state sottoposte ad uno studio più accurato delle condizioni di crescita mixotrofa. Successivamente, è stata testata la capacità delle microalghe di utilizzare substrati organici durante i periodi di buio, in curve di crescita soggette a cicli di illuminazione giorno-notte. In generale è possibile concludere che le microalghe prese in considerazione sono in grado di aumentare le loro performance di crescita in presenza di fonti di carbonio organico addizionato al mezzo di coltura, rispetto alla sola crescita fotoautotrofa, anche se le diverse specie rispondono in modo diverso alla presenza dei vari substrati. Questa osservazione è vera però soltanto per le colture cresciute in condizioni di CO2 atmosferica. Quando la CO2 non è limitante, invece, l’aggiunta del substrato organico non solo non migliora le velocità di crescita, ma sembra inibire la crescita algale. Una possibile spiegazione del fenomeno è che, in una situazione in cui la CO2 è presente in eccesso, le microalghe preferiscano seguire la via fotosintetica, non consumando il substrato organico che, rimanendo nel mezzo di coltura, dà luogo a fenomeni di inibizione. In proposito, alcuni lavori riportano dati di inibizione della crescita in presenza di alte concentrazioni di substrati organici(Lee et al., 2007). Risultati più interessanti invece riguardano il contenuto di lipidi, che aumenta in presenza del substrato organico. Il ruolo determinante della CO2 è stato dimostrato in esperimenti in mixotrofia, in cui l’apporto di CO2 è stato interrotto nei periodi di buio. Questi esperimenti hanno dimostrato che in condizioni limitanti di anidride carbonica, e in assenza di luce, la capacità delle microalghe di consumare i composti organici viene ripristinata e la presenza del substrato aumenta la quantità di biomassa prodotta. La velocità di crescita microalgale è influenzata, inoltre, dalla disponibilità della luce che, se poco intensa, può essere limitante, mentre, se presente in eccesso, può portare a fenomeni di fotosaturazione o fotoinibizione, con una conseguente perdita in produttività (Carvalho et al., 2011; Cuaresma et al., 2011; Brindley,et al., 2011). Allo scopo di valutare l’effetto delle intensità luminose, gli esperimenti sono stati condotti in reattori a pannello sottile, appositamente progettati e costruiti. In tale sistema sono state effettuate curve di crescita a diverse intensità luminose, con particolare attenzione anche ai cicli luce-buio ad alta frequenza, che potrebbero evitare i fenomeni di fotoinibizione alle elevate intensità. I risultati mostrano che la velocità di crescita di N. salina aumenta linearmente all’aumento dell’intensità luminosa fino a valori di 150 µE m-2 s-1. In questo intervallo, quindi, la luce è da considerarsi limitante per la crescita. Oltre tali valori, invece, la velocità si assesta e le cellule mostrano segnali visibili di stress, con ingiallimento delle colture per l’accumulo di pigmenti fotoprotettori, e l’aumento del contenuto di lipidi, anche quando nel terreno è presente un elevato contenuto di azoto. Se sottoposte a cicli ad alta frequenza luce buio, ad elevate intensità, le cellule mostrano una diminuzione dei segnali di stress, suggerendo la possibilità di evitare tali fenomeni di fotosaturazione e fotoinibizione mediante mescolamento in un ipotetico fotobioreattore, che esponga ciclicamente le cellule alla superficie di esposizione, grazie a cicli di mescolamento (Zijffers et al., 2010). I risultati hanno dimostrato che la frequenza è cruciale nell’evitare fenomeni di stress, perché all’aumento dei tempi di esposizione aumentano i danni agli apparati fotosintetici, con una conseguente drastica diminuzione della produttività. Il tempo di flash light che ottimizza l’assorbimento della luce sembra essere nell’ordine dei 10 ms. Queste indicazioni devono essere prese in considerazione nella progettazione di un fotobioreattore, con particolare riguardo alle frequenze di mixing, che possono aumentare le performance di crescita esponendo alla superficie di esposizione le cellule a cicli tali da ridurre i fenomeni di foto inibizione. In questa tesi di dottorato, inoltre, sono stati effettuati degli esperimenti di screening di una specie algale d’acqua dolce, con la quale sono stati inoltre effettuati degli esperimenti volti a verificare la capacità di utilizzare fumi di combustione e azoto di acque di processo di stabilimenti industriali. Questa parte del progetto ha visto, quindi, l’identificazione di un ceppo di microalghe di acqua dolce che potesse essere usato per la produzione di olio in un impianto che utilizzi tali sottoprodotti. Dai risultati ottenuti per le specie e, assumendo rese tipiche di fotobioreattori industriali esistenti, per N. oleabundans i dati fanno ipotizzare una produttività annuale possibile di olio di circa 25 t/ha (e un limite teorico di circa 130 t/ha); mentre per B. braunii i dati sperimentali indicano una produttività possibile di circa 35 t/ha (limite teorico: circa 170 t/ha). Si è, inoltre, verificato sperimentalmente, che l’acqua di processo e i fumi disponibili da un reale stabilimento industriale consentono la crescita di N. oleabundans, pur con velocità inferiore). L’attività sperimentale di questo progetto di dottorato ha visto, inoltre, il design e la costruzione di un fotobioreattore a scala laboratorio per la produzione in continuo di biomassa. In tale reattore, configurato a pannello, è stata ottenuta la produzione di N. salina per una durata di 100 giorni complessivi, con una produttività costante di biomassa alla concentrazione di circa 1 g/L DW. Essendo in condizioni di azoto non limitante, la biomassa prodotta ha mantenuto un basso contenuto di lipidi. Come detto in precedenza, quindi, per questa specie è necessario un secondo step per l’accumulo di lipidi. L’ultima parte di questa tesi è stata dedicata a calcoli di produttività teorica di biomassa algale, mediante simulazioni con il software Aspen Plus™. Per simulare un fotobioreattore per microalghe con il software Aspen Plus, è stato necessario impostare un componente non convenzionale (la biomassa), e una subroutine in Fortran per impostare la cinetica e la stechiometria di reazione nel blocco reattore. In tal modo è stato possibile simulare il processo di produzione di biomassa algale. Dai risultati della simulazione è stato possibile, inoltre, fare delle considerazioni sulla geometria del reattore, e in particolare sulla profondità dello stesso, in grado di garantire elevati valori di produttività. E’ sempre necessario, comunque, tener conto dei vincoli termodinamici di produttività, che sono imposti dalla radiazione solare incidente. Le analisi di sensitività sul fotobioreattore hanno mostrato che, a parità di produttività, l’aumento della concentrazione di biomassa in ingresso comporta un volume di reazione minore, e tempi di permanenza minori. In sintesi, la produzione di olio vegetale da microalghe, sebbene presenti ancora alcuni aspetti che devono essere approfonditi, soprattutto per quanto riguarda le conoscenze fisiologiche e biologiche di tali organismi, sembra essere promettente. La tecnologia, infatti, pur agli albori, potrebbe dare un contributo determinante all’approvvigionamento di biocarburanti, in modo ecocompatibile ed energeticamente sostenibile.

Oil from microalgae: species selection, photobioreactor design and process optimization / Sforza, Eleonora. - (2012 Jan 24).

Oil from microalgae: species selection, photobioreactor design and process optimization

Sforza, Eleonora
2012

Abstract

La produzione di biocarburanti da biomassa sta suscitando un vivo interesse a livello internazionale e, in questo contesto, l’olio derivato da microalghe sembra essere l’unica tecnologia potenzialmente in grado di supportare la richiesta energetica di combustibili liquidi per autotrazione e sostituire, nel lungo termine, i carburanti da fonti fossili (Chisti, 2008). La produzione di biomassa algale per via fotosintetica, inoltre, ha dei notevoli vantaggi dal punto di vista ambientale, contribuendo alla diminuzione dell’immissione dei gas serra in atmosfera e all’eliminazione di sali di ammonio e fosforo dalle acque di scarico. Per microalghe s’intendono tutti gli organismi unicellulari, o di piccole dimensioni, che possiedono la clorofilla A (grazie alla quale operano fotosintesi) e che presentano un tallo non differenziato in radice-fusto-foglia. In questa classificazione vengono inglobati generalmente anche i cianobatteri, sebbene siano organismi procarioti (Mata et al., 2010). L’interesse verso questi organismi nasce, storicamente, dalla potenzialità di utilizzo per la produzione di biomassa a scopo alimentare, per la nutrizione animale e per la produzione di composti chimici, sfruttando l’energia solare. La fotosintesi, infatti, è un processo di conversione di composti inorganici e energia solare in materia organica. Gli organismi in grado di effettuare tali reazioni vengono definiti fotoautotrofi. La fotosintesi ossigenica, in particolare, può essere definita come una serie di reazioni di ossido-riduzione, nelle quali l’anidride carbonica e l’acqua sono trasformate in carboidrati e ossigeno. In presenza di macronutrienti (principalmente nitrati e fosfati, e una fonte di carbonio) e micronutrienti (principalmente metalli, utilizzati come cofattori) le microalghe sono in grado di riprodursi, generalmente mediante divisione asessuata, con una velocità notevolmente maggiore rispetto alle piante superiori terrestri. Ciò rende le microalghe particolarmente adatte alla coltivazione su larga scala per l’assorbimento della CO2 atmosferica, per la produzione di biocombustibili, per la depurazione di reflui civili e agro-zootecnici e per la produzione di biomolecole. Microalghe di varie specie vengono già prodotte a livello commerciale in molti Paesi e utilizzate, in genere, per ottenere integratori alimentari, mangimi, pigmenti, acidi grassi, ω3, biomasse per acquacoltura e per il trattamento di reflui. E’ stato osservato che alcune specie di microalghe sono in grado di accumulare grandi quantità di lipidi, che possono essere estratti ed utilizzati come oli vegetali, al pari degli oli estratti dai semi delle piante superiori. I vantaggi dell’utilizzo delle microalghe sono legati al fatto che questi organismi presentano elevate velocità di crescita, e possono essere coltivati massivamente in fotobioreattori, senza bisogno di terreni coltivabili ed eliminando, di conseguenza, il problema della competizione con risorse agricole destinate ad uso alimentare. La coltivazione di microalghe legata alla produzione di biodiesel, quindi, è una tecnologia che potrebbe avere un elevato potenziale di sviluppo, consentendo una netta riduzione delle emissioni di CO2 rispetto all’uso di combustibili fossili, senza sottrarre risorse alle coltivazioni terrestri per fini alimentari. Inoltre, dopo l’estrazione di biocombustibile, la biomassa microalgale residua potrebbe ancora essere impiegata per l’estrazione di biomolecole di interesse commerciale, per la produzione di biogas o per scopi energetici (Chisti, 2008). La scelta dei sistemi di coltura di questo tipo su larga scala è tuttora oggetto di studio (Mata et al., 2010; Grobbelaar, 2010; Ho et al., 2011). Tali sistemi si distinguono in due categorie principali: sistemi aperti (open ponds) e sistemi chiusi (fotobioreattori). Costituiti da circuiti generalmente tubolari o a pannello, i fotobioreattori presentano un grado di complessità decisamente maggiore rispetto ai sistemi aperti ma consentono uno stretto controllo dei parametri chimico-fisici e biologici della coltura e una migliore resa produttiva. Le maggiori criticità sono da imputare al controllo della temperatura e al rischio di accumulo dell'ossigeno prodotto per fotosintesi, che richiede sistemi di eliminazione di questo gas. Questi problemi limitano le dimensioni dei fotobioreattori, che attualmente sono costituiti principalmente da serpentine di lunghezza non elevata e volumi limitati. Di conseguenza il costo della produzione di microalghe è piuttosto elevato, per cui le applicazioni rimangono limitate alle sole colture massive di elevata purezza, necessarie per l'estrazione di biomolecole di alto valore commerciale o per inoculi di colture in sistemi aperti. La ricerca internazionale sta puntando sempre più l’attenzione su questa tecnologia (Pittman et al., 2011; Perez-Garcia et al., 2011; Ho et al., 2011), ma il mondo delle microalghe è tuttavia molto vasto; è, quindi, necessario scegliere accuratamente la specie più adatta dal punto di vista della velocità di riproduzione e del contenuto di lipidi su massa secca. Inoltre, è necessario tenere conto delle condizioni di coltura al fine di ottimizzare la crescita e l’accumulo di lipidi (Amaro et al., 2011). Questa tesi di dottorato si è occupata della scelta delle specie microalgali più promettenti, oggetto di interesse internazionale, e dell’ottimizzazione delle condizioni di coltura, volti alla progettazione di un fotobioreattore. A tal scopo, la parte preliminare di questo progetto di ricerca ha visto la messa a punto delle principali tecniche di coltura e analisi della crescita microalgale. Una volta messe a punto le metodiche, si è proceduto con uno screening delle specie più interessanti nell’ottica della produzione di olio vegetale, scelte dopo consultazione della bibliografia disponibile. Nannochloropsis salina, una specie marina, sembra essere la specie più adatta per la produzione di olio, mostrando la miglior combinazione di velocità cinetiche di crescita (circa 0,5 giorni-1) e di contenuto di lipidi. Infatti, il contenuto lipidico dell’alga cambia durante la fase di crescita, mostrando un significativo accumulo di lipidi in fase stazionaria corrispondente al circa 69% del peso secco. Ciò è probabilmente determinato dall’accumulo di lipidi come materiale di riserva quando le condizioni di crescita risultano limitanti. Considerando l’elevato contenuto di lipidi, questa specie mostra delle reali potenzialità dal punto di vista applicativo, e quindi è stata sottoposta ad ulteriori esperimenti di ottimizzazione delle condizioni di coltura, variando le concentrazioni di nutrienti nel mezzo di crescita e allestendo apparecchiature sperimentali in grado di fornire concentrazioni di anidride carbonica maggiori rispetto a quelle atmosferiche, risultate limitanti per una produzione significativa di biomassa. Gli esperimenti, quindi, sono stati condotti insufflando nella coltura aria arricchita al 5% di CO2 in modo tale che non fosse limitante per la crescita. Altri esperimenti sono stati finalizzati a comprendere se la concentrazione di azoto nel terreno di coltivazione fosse limitante per N. salina. Sono state quindi testate diverse concentrazioni di nitrato di sodio mantenendo la concentrazioni di CO2 del 5% nell’aria insufflata. In risultati hanno mostrato che la CO2 presente in aria è limitante per la crescita. Inoltre, sebbene con il 5% la coltura raggiunga concentrazioni più elevate in fase stazionaria rispetto alla coltura insufflata con semplice aria, il nutriente veramente limitante è chiaramente l’azoto. Infatti, in presenza di 1,5 g/L di NaNO3 (circa 20 volte la concentrazione normalmente utilizzata nei terreni di coltura) la concentrazione cellulare in fase stazionaria arriva ad un valore 4 volte maggiore di quello misurato negli altri casi. Quando l’azoto è presente in eccesso, tuttavia, il contenuto di lipidi rimane basso. Questo sembra suggerire che, effettivamente, l’aumento di lipidi sia determinato dalla carenza di azoto. Infatti, cellule raccolte per centrifugazione e risospese in un terreno povero in azoto, mostrano un aumento di fluorescenza corrispondente al 63±1% di lipidi su peso secco. Questi dati dimostrano che la deficienza di azoto in N. salina è responsabile dell’accumulo di lipidi. E’ noto, infatti, che la composizione biochimica delle microalghe può essere modificata attraverso manipolazioni ambientali, inclusa la disponibilità dei nutrienti. A questo scopo, per specifiche applicazioni, alcuni nutrienti vengono somministrati in concentrazioni limitanti. In particolare, il contenuto di lipidi in alcune alghe può variare come risultato di cambiamenti nelle condizioni di crescita o nelle caratteristiche del mezzo di coltura (Rodolfi et al., 2009; Converti et al., 2009). Il più efficiente approccio per aumentare il contenuto di lipidi nella alghe sembra essere la deficienza di azoto. In queste condizioni, la produttività della coltura è generalmente ridotta, se messa a confronto con le condizioni di nutrienti in eccesso (Rodolfi et al., 2009). Infatti, la deprivazione di azoto è generalmente associata ad una riduzione nella resa di biomassa ed ad una diminuzione della crescita. Questo spiega i risultati sperimentali ottenuti, in cui l’elevata concentrazione di nitrati, nella prima fase, stimola la crescita di biomassa, probabilmente stimolando la sintesi e l’accumulo di proteine, mentre, durante la fase limitante in azoto le alghe cominciano ad accumulare lipidi, e si registra un netto aumento della concentrazione di massa secca per cellula, fino ad una concentrazione complessiva di 4.05 g/L DW. Dal punto di vista industriale, quindi, la strategia vincente è probabilmente un approccio a due step, sperimentata con successo anche da (Rodolfi et al., 2009), con una prima fase di produzione di biomassa in terreno con sufficiente concentrazione di nutrienti (N-sufficient phase), seguita da un’induzione di accumulo lipidico attraverso deprivazione d’azoto (N-starved phase). In questa tesi è stata, inoltre, presa in considerazione la crescita mixotrofa. In colture algali a scala industriale, infatti, la crescita in fotoautotrofia potrebbe presentare alcuni limiti, legati soprattutto alla produttività. Ciò è dovuto sia alla scarsa penetrazione della luce in colture su larga scala, che è inversamente proporzionale alla densità cellulare, sia ai limiti intrinseci dell’efficienza fotosintetica delle microalghe. Per incrementare la produttività, una possibile strategia è crescere le colture in mixotrofia, esponendo quindi le alghe alla luce, ma fornendo anche un substrato organico che migliori la velocità cinetica di crescita e la resa in biomassa. L’obiettivo di questa parte del progetto di ricerca è stato di studiare gli effetti sulla crescita algale di diversi substrati organici, e di ottimizzare le condizioni di crescita mixotrofa. A tale scopo, N. salina e altre specie interessanti sono state sottoposte ad uno studio più accurato delle condizioni di crescita mixotrofa. Successivamente, è stata testata la capacità delle microalghe di utilizzare substrati organici durante i periodi di buio, in curve di crescita soggette a cicli di illuminazione giorno-notte. In generale è possibile concludere che le microalghe prese in considerazione sono in grado di aumentare le loro performance di crescita in presenza di fonti di carbonio organico addizionato al mezzo di coltura, rispetto alla sola crescita fotoautotrofa, anche se le diverse specie rispondono in modo diverso alla presenza dei vari substrati. Questa osservazione è vera però soltanto per le colture cresciute in condizioni di CO2 atmosferica. Quando la CO2 non è limitante, invece, l’aggiunta del substrato organico non solo non migliora le velocità di crescita, ma sembra inibire la crescita algale. Una possibile spiegazione del fenomeno è che, in una situazione in cui la CO2 è presente in eccesso, le microalghe preferiscano seguire la via fotosintetica, non consumando il substrato organico che, rimanendo nel mezzo di coltura, dà luogo a fenomeni di inibizione. In proposito, alcuni lavori riportano dati di inibizione della crescita in presenza di alte concentrazioni di substrati organici(Lee et al., 2007). Risultati più interessanti invece riguardano il contenuto di lipidi, che aumenta in presenza del substrato organico. Il ruolo determinante della CO2 è stato dimostrato in esperimenti in mixotrofia, in cui l’apporto di CO2 è stato interrotto nei periodi di buio. Questi esperimenti hanno dimostrato che in condizioni limitanti di anidride carbonica, e in assenza di luce, la capacità delle microalghe di consumare i composti organici viene ripristinata e la presenza del substrato aumenta la quantità di biomassa prodotta. La velocità di crescita microalgale è influenzata, inoltre, dalla disponibilità della luce che, se poco intensa, può essere limitante, mentre, se presente in eccesso, può portare a fenomeni di fotosaturazione o fotoinibizione, con una conseguente perdita in produttività (Carvalho et al., 2011; Cuaresma et al., 2011; Brindley,et al., 2011). Allo scopo di valutare l’effetto delle intensità luminose, gli esperimenti sono stati condotti in reattori a pannello sottile, appositamente progettati e costruiti. In tale sistema sono state effettuate curve di crescita a diverse intensità luminose, con particolare attenzione anche ai cicli luce-buio ad alta frequenza, che potrebbero evitare i fenomeni di fotoinibizione alle elevate intensità. I risultati mostrano che la velocità di crescita di N. salina aumenta linearmente all’aumento dell’intensità luminosa fino a valori di 150 µE m-2 s-1. In questo intervallo, quindi, la luce è da considerarsi limitante per la crescita. Oltre tali valori, invece, la velocità si assesta e le cellule mostrano segnali visibili di stress, con ingiallimento delle colture per l’accumulo di pigmenti fotoprotettori, e l’aumento del contenuto di lipidi, anche quando nel terreno è presente un elevato contenuto di azoto. Se sottoposte a cicli ad alta frequenza luce buio, ad elevate intensità, le cellule mostrano una diminuzione dei segnali di stress, suggerendo la possibilità di evitare tali fenomeni di fotosaturazione e fotoinibizione mediante mescolamento in un ipotetico fotobioreattore, che esponga ciclicamente le cellule alla superficie di esposizione, grazie a cicli di mescolamento (Zijffers et al., 2010). I risultati hanno dimostrato che la frequenza è cruciale nell’evitare fenomeni di stress, perché all’aumento dei tempi di esposizione aumentano i danni agli apparati fotosintetici, con una conseguente drastica diminuzione della produttività. Il tempo di flash light che ottimizza l’assorbimento della luce sembra essere nell’ordine dei 10 ms. Queste indicazioni devono essere prese in considerazione nella progettazione di un fotobioreattore, con particolare riguardo alle frequenze di mixing, che possono aumentare le performance di crescita esponendo alla superficie di esposizione le cellule a cicli tali da ridurre i fenomeni di foto inibizione. In questa tesi di dottorato, inoltre, sono stati effettuati degli esperimenti di screening di una specie algale d’acqua dolce, con la quale sono stati inoltre effettuati degli esperimenti volti a verificare la capacità di utilizzare fumi di combustione e azoto di acque di processo di stabilimenti industriali. Questa parte del progetto ha visto, quindi, l’identificazione di un ceppo di microalghe di acqua dolce che potesse essere usato per la produzione di olio in un impianto che utilizzi tali sottoprodotti. Dai risultati ottenuti per le specie e, assumendo rese tipiche di fotobioreattori industriali esistenti, per N. oleabundans i dati fanno ipotizzare una produttività annuale possibile di olio di circa 25 t/ha (e un limite teorico di circa 130 t/ha); mentre per B. braunii i dati sperimentali indicano una produttività possibile di circa 35 t/ha (limite teorico: circa 170 t/ha). Si è, inoltre, verificato sperimentalmente, che l’acqua di processo e i fumi disponibili da un reale stabilimento industriale consentono la crescita di N. oleabundans, pur con velocità inferiore). L’attività sperimentale di questo progetto di dottorato ha visto, inoltre, il design e la costruzione di un fotobioreattore a scala laboratorio per la produzione in continuo di biomassa. In tale reattore, configurato a pannello, è stata ottenuta la produzione di N. salina per una durata di 100 giorni complessivi, con una produttività costante di biomassa alla concentrazione di circa 1 g/L DW. Essendo in condizioni di azoto non limitante, la biomassa prodotta ha mantenuto un basso contenuto di lipidi. Come detto in precedenza, quindi, per questa specie è necessario un secondo step per l’accumulo di lipidi. L’ultima parte di questa tesi è stata dedicata a calcoli di produttività teorica di biomassa algale, mediante simulazioni con il software Aspen Plus™. Per simulare un fotobioreattore per microalghe con il software Aspen Plus, è stato necessario impostare un componente non convenzionale (la biomassa), e una subroutine in Fortran per impostare la cinetica e la stechiometria di reazione nel blocco reattore. In tal modo è stato possibile simulare il processo di produzione di biomassa algale. Dai risultati della simulazione è stato possibile, inoltre, fare delle considerazioni sulla geometria del reattore, e in particolare sulla profondità dello stesso, in grado di garantire elevati valori di produttività. E’ sempre necessario, comunque, tener conto dei vincoli termodinamici di produttività, che sono imposti dalla radiazione solare incidente. Le analisi di sensitività sul fotobioreattore hanno mostrato che, a parità di produttività, l’aumento della concentrazione di biomassa in ingresso comporta un volume di reazione minore, e tempi di permanenza minori. In sintesi, la produzione di olio vegetale da microalghe, sebbene presenti ancora alcuni aspetti che devono essere approfonditi, soprattutto per quanto riguarda le conoscenze fisiologiche e biologiche di tali organismi, sembra essere promettente. La tecnologia, infatti, pur agli albori, potrebbe dare un contributo determinante all’approvvigionamento di biocarburanti, in modo ecocompatibile ed energeticamente sostenibile.
24-gen-2012
This PhD research project was focused on microalgal oil production for biofuel. The work includes mostly an experimental part on microalgal species selection and optimization of growth conditions and a part of process simulation and photobioreactor design. After an overview of literature on the algal biology and cultivation and photobioreactor design, the experimental activities started with the set up of materials, methods and experimental apparatus, several microalgal species were screened, in order to select the most promising ones from an industrial point of view. In addition, an experimental apparatus was set up for optimizing growth conditions, under non-limiting CO2 supply. The effect of light and of other relevant operating variables on growth were addressed and discussed, and some suggestions to better understand the process behavior were given with respect to lipid content maximization, carbon dioxide and nitrogen supply, and illumination conditions. The possibility of exploiting mixotrophy to support algal growth overnight or in dark zones of a photobioreactor was also investigated. Finally, a continuous photobioreactor was designed and built, in order to test the feasibility of the algal biomass production in an industrial continuous process operated at steady-state. Together with experiments, a process simulation work was also carried out, by using the software Aspen Plus™. This part of the thesis was focused on the calculation of the microalgal biomass production and photobioreactor performances under different operating conditions.
microalgae biofuels photobioreactor
Oil from microalgae: species selection, photobioreactor design and process optimization / Sforza, Eleonora. - (2012 Jan 24).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/3421970
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