La produzione agricola industriale su larga scala e il commercio di prodotti sono sempre più connessi a fenomeni di deforestazione e degradazione delle foreste tropicali. Tale fenomeno è descritto tramite il concetto di ‘rischio di deforestazione’ o forest-risk. I prodotti agricoli i cui processi produttivi implicano deforestazione e rimozione della vegetazione autoctona, sono classificati beni a rischio deforestazione (forest risk commodities). Carne bovina, soia, olio di palma e legname – i beni a rischio deforestazione – sono considerati ‘i grandi 4’ tra le forest-risk commodities. A causa della complessità dei sistemi globali di produzione e commercio alcuni beni sono indirettamente legati a tale rischio, poiché derivano da aree deforestate senza essere essi stessi causa diretta di deforestazione. Questa dimensione del rischio viene spesso tralasciata e permane un tema secondario nel dibattito sulla deforestazione derivata dalla produzione e il commercio di beni di consumo. La distinzione tra beni con un legame causale diretto con la deforestazione e beni che includono nella propria filiera il rischio di deforestazione incide su come la responsabilità della deforestazione viene attribuita e considerata sia tramite misure legali che tramite standard volontari di auto-regolamentazione. Pertanto risulta necessario sviluppare una concettualizzazione migliore per concordare una terminologia da utilizzare sia nella letteratura accademica che in quella informale e raggiungere delle decisioni politiche basate su un approccio scientifico. Nella ricerca effettuata si è voluto espandere la concettualizzazione di deforestation risk facendo riferimento al caso delle pelli bovine (di qui in avanti semplicemente, pelli) e in particolare al caso della produzione di pelli/prodotti di conceria in Brasile. Il focus sulle pelli ha molteplici ragioni. In primo luogo, mentre il ruolo degli allevamenti zootecnici come causa di deforestazione in Brasile è soggetto ad una crescente attenzione da parte dell’opinione pubblica, la filiera di produzione delle pelli rimane ancora inesplorata. Fatta eccezione per poche imprese leader del settore dei prodotti in pelle, il dibattito sulla trasparenza di questa filiera e il rischio di deforestazione ad essa associato è praticamente assente. In secondo luogo, la filiera della pelle è di norma molto più complessa rispetto a quella della carne bovina e coinvolge numerosi attori sia a livello nazionale che internazionale, ivi compresi gli intermediari, le concerie, le case di moda, ecc. Ciò crea delle discontinuità nella tracciabilità della pelle e complica l’identificazione del rischio di deforestazione lungo la filiera. Infine, la pelle è un bene che per propria stessa natura è legato a rapporti di forza squilibrati tra gli attori della filiera. Una terza ragione per la scelta del settore della pelle è data dal fatto che, poiché la pelle è spesso considerata un prodotto di scarto secondario della carne bovina, ne consegue che gli attori coinvolti nella filiera sostengono di avere uno scarso potere di negoziazione per imporre i loro standard e delle condizioni di non-deforestazione ai produttori. Al contempo, gli attori a valle della filiera, come le case di moda, sono maggiormente esposti a rischi di natura reputazionale rispetto alle imprese del settore della carne. In conseguenza di tale situazione vi è il fatto che la pelle è un bene con costi e benefici distribuiti in maniera asimmetrica all’interno della filiera. Mentre a monte gli allevatori mancano delle risorse per rispettare standard di sostenibilità e spesso non beneficiano di nessuna compensazione economica per il pellame dei propri bovini, i prodotti finiti in pelle sono visti come beni di lusso, con elevati margini di guadagno per le aziende che li producono e commerciano. Questa ricerca impiega sia dati primari che secondari. I dati primari sono principalmente di tipo qualitativo e derivano da trentanove interviste semi-strutturate e audio-registrate condotte sotto forma sia di colloqui vis-à-vis che a distanza (video-chiamate) durante una missione in Brasile tra maggio e agosto 2018. Tali dati sono stati utilizzati prevalentemente ai fini dell’analisi del discorso (discourse analysis) presentata nel secondo capitolo e come riferimenti interpretativi e di lettura del contesto per l’analisi dei dati quantitativi secondari presentata nei rimanenti capitoli. I dati e le informazioni secondari sono stati derivati da un’estesa analisi della letteratura e analisi di dati statistici relativi a mattatoi, registri su pelli bovine grezze e semilavorate e processi di deforestazione; sono stati inoltre considerati dati geospaziali relativi alle aree deforestate e alla localizzazione dei mattatoi e delle concerie; da ultimo sono stati considerati dati relativi al commercio di pelli e prodotti derivati tra Brasile e Italia. Nessun intervallo di tempo specifico è stato selezionato a priori per l’analisi dei dati: le serie temporali sono state selezionate a seconda della disponibilità di dati e delle necessità relative alle singole tipologie di analisi impiegate. Dai risultati emerge che la filiera delle pelli ha un rischio deforestazione significativo nonostante il pellame non sia un prodotto primario dell’allevamento bovino e un fattore diretto di deforestazione. Il rischio si colloca principalmente nel legame con le attività zootecniche e di allevamento, nell’incompleta tracciabilità della filiera così come nel commercio interno e internazionale di pelle. Le pelli prodotte in Brasile e importate per essere successivamente lavorate in Italia incorporano un livello significativo di rischio di deforestazione a causa degli intensi scambi commerciali tra i due Paesi. Il rischio di deforestazione legato alle pelli è affrontato in maniera diversa dai diversi discorsi esistenti sul tema e pone in evidenza come l’articolarsi della trama di ciascun discorso comporti l’attenzione sia su aspetti visibili che invisibili rispetto alla sostenibilità, all’equità e alla legalità delle filiere in questione. I risultati mettono in risalto l’importanza del ruolo e della voce degli agricoltori di frontiera, mostrando come la loro visione e interpretazione informi un discorso politico incentrato sul tema della sopravvivenza e del sostentamento. È quindi necessaria una maggiore attenzione da parte dell’opinione pubblica sulle filiere produttive, ivi comprese quelle delle pelli e dei prodotti derivati, e in particolare sulle relazioni non eque di potere, così come sull’importanza di un’inclusione significativa di gruppi vulnerabili della popolazione. L’industria del pellame e i grandi marchi dovrebbero essere più proattivi, inviando al mercato un chiaro segnale per cui la deforestazione e altre forme di illegalità non possono essere tollerate. Una piena tracciabilità della filiera e il coinvolgimento dei produttori è imprescindibile se l’industria mira a produrre e commerciare prodotti che non siano responsabili di o coinvolti in processi di deforestazione.

Large-scale industrial agricultural production and commodity trade are increasingly linked to deforestation and forest degradation in the tropics. This link is described via the concept of ‘deforestation risk’. Agricultural products whose production or extraction involves deforestation and native vegetation clearing are classified as forest-risk commodities. Beef, soybean, palm oil, and timber - the commodities with deforestation risk - are considered the “big four” of forest-risk commodities. Due to the complexity of global production and trade systems there are commodities that possess the risk of originating from deforested areas without being direct deforestation/forest degradation drivers. This dimension of the risk is either overlooked or held as secondary in the debates about commodity-driven deforestation. Differentiation between commodities with direct causal links and those with the exposure to deforestation in their supply chain has impact on how responsibility and accountability is constructed both through legal measures and self-regulatory voluntary standards. Better conceptualization is needed to approximate the usage of the terms both in grey and academic literature and to achieve science backed policy decisions. By referring to the case of bovine leather (hereinafter just leather) and the case of Brazilian leather production we aim to expand the conceptualization of deforestation risk. We focus on leather for multiple reasons. First, while the role of cattle in driving deforestation in Brazil is subject to increasing public scrutiny, the leather commodity chain largely remains in the shadow. Except for a few leading firms in leather goods, public discussion about transparency across the leather supply chain and associated deforestation risk is mostly absent. Second, leather supply chains are more complex compared to beef and involve many national and international players, including intermediary sellers, tanneries, fashion houses, etc. This creates traceability gaps and complicates identifying deforestation risk along the chain. Third, leather is a commodity with inherently uneven power relations among the actors in the supply chain and with costs and benefits unevenly distributed across the chain. Often considered a waste or by-product to beef meat, actors in the leather supply chain argue to lack important negotiation power to impose their standards and no deforestation conditions upon producers. At the same time, downstream actors of leather supply chain, such as fashion brands, are more susceptible to reputational risks compared to that of beef. While upstream farmers lack resources to adhere to sustainability standards and hardly get any financial compensation for the skin of their cattle, finished leather products are often regarded as luxury products presenting very high price margins for producing/trading brands. This research employs both primary and secondary data. Primary data is mostly qualitative and entails thirty-nine semi-structured, recorded, and transcribed interviews, in the form of both face-to-face and video call interviews conducted during extended field visit to Brazil in May-August 2018. This data is mainly used for the discourse analysis in the second chapter and for interpretative and contextual purposes to analyse the secondary quantitative data in the other chapters. Secondary information consists of extensive literature review, statistical data on annual slaughter, bovine hide/leather registry and annual deforestation, geospatial data on deforestation, slaughterhouse and tannery locations, as well as, trade statistics on Brazilian-Italian leather trade. No specific time frame was chosen to analyse the data and time series for each data set were selected according to availability and the specific requirements of each type of analysis. The results show that bovine leather supply chains possess significant risk of embedded deforestation despite leather not being a primary product of cattle ranching and driver of deforestation. The risk reveals itself in the link with cattle ranching, incomplete supply chain traceability, as well as in interstate and international leather trade. The Brazilian-Italian bovine leather has significant level of embedded deforestation due to intensive trade relations. Different discourses articulate deforestation risk of bovine leather differently and highlight how the storylines of each discourse bring attention both to what is made visible and invisible in relation to sustainability, legitimacy, and fairness. The results emphasise the importance of the role and voice of frontier settlers, by presenting how their storylines inform a political discourse on livelihoods. There is a need for increased public scrutiny of supply chains, including the leather one, and for special attention to unequal power relations and the importance of meaningful inclusion of vulnerable groups and populations. The leather industry and big brands need to be more proactive by sending clear market signals that deforestation and other illegalities are not tolerated. Full coverage and traceability of the supply chain and engagement with the producers is necessary if the industry wants to produce and trade deforestation-free products.

Deforestation risk in bovine leather supply chain. Risk assessment through conceptualization, discourse and trade data analysis within the context of Italian-Brazilian leather trade / Mammadova, Aynur. - (2019 Dec 05).

Deforestation risk in bovine leather supply chain. Risk assessment through conceptualization, discourse and trade data analysis within the context of Italian-Brazilian leather trade

Mammadova, Aynur
2019

Abstract

Large-scale industrial agricultural production and commodity trade are increasingly linked to deforestation and forest degradation in the tropics. This link is described via the concept of ‘deforestation risk’. Agricultural products whose production or extraction involves deforestation and native vegetation clearing are classified as forest-risk commodities. Beef, soybean, palm oil, and timber - the commodities with deforestation risk - are considered the “big four” of forest-risk commodities. Due to the complexity of global production and trade systems there are commodities that possess the risk of originating from deforested areas without being direct deforestation/forest degradation drivers. This dimension of the risk is either overlooked or held as secondary in the debates about commodity-driven deforestation. Differentiation between commodities with direct causal links and those with the exposure to deforestation in their supply chain has impact on how responsibility and accountability is constructed both through legal measures and self-regulatory voluntary standards. Better conceptualization is needed to approximate the usage of the terms both in grey and academic literature and to achieve science backed policy decisions. By referring to the case of bovine leather (hereinafter just leather) and the case of Brazilian leather production we aim to expand the conceptualization of deforestation risk. We focus on leather for multiple reasons. First, while the role of cattle in driving deforestation in Brazil is subject to increasing public scrutiny, the leather commodity chain largely remains in the shadow. Except for a few leading firms in leather goods, public discussion about transparency across the leather supply chain and associated deforestation risk is mostly absent. Second, leather supply chains are more complex compared to beef and involve many national and international players, including intermediary sellers, tanneries, fashion houses, etc. This creates traceability gaps and complicates identifying deforestation risk along the chain. Third, leather is a commodity with inherently uneven power relations among the actors in the supply chain and with costs and benefits unevenly distributed across the chain. Often considered a waste or by-product to beef meat, actors in the leather supply chain argue to lack important negotiation power to impose their standards and no deforestation conditions upon producers. At the same time, downstream actors of leather supply chain, such as fashion brands, are more susceptible to reputational risks compared to that of beef. While upstream farmers lack resources to adhere to sustainability standards and hardly get any financial compensation for the skin of their cattle, finished leather products are often regarded as luxury products presenting very high price margins for producing/trading brands. This research employs both primary and secondary data. Primary data is mostly qualitative and entails thirty-nine semi-structured, recorded, and transcribed interviews, in the form of both face-to-face and video call interviews conducted during extended field visit to Brazil in May-August 2018. This data is mainly used for the discourse analysis in the second chapter and for interpretative and contextual purposes to analyse the secondary quantitative data in the other chapters. Secondary information consists of extensive literature review, statistical data on annual slaughter, bovine hide/leather registry and annual deforestation, geospatial data on deforestation, slaughterhouse and tannery locations, as well as, trade statistics on Brazilian-Italian leather trade. No specific time frame was chosen to analyse the data and time series for each data set were selected according to availability and the specific requirements of each type of analysis. The results show that bovine leather supply chains possess significant risk of embedded deforestation despite leather not being a primary product of cattle ranching and driver of deforestation. The risk reveals itself in the link with cattle ranching, incomplete supply chain traceability, as well as in interstate and international leather trade. The Brazilian-Italian bovine leather has significant level of embedded deforestation due to intensive trade relations. Different discourses articulate deforestation risk of bovine leather differently and highlight how the storylines of each discourse bring attention both to what is made visible and invisible in relation to sustainability, legitimacy, and fairness. The results emphasise the importance of the role and voice of frontier settlers, by presenting how their storylines inform a political discourse on livelihoods. There is a need for increased public scrutiny of supply chains, including the leather one, and for special attention to unequal power relations and the importance of meaningful inclusion of vulnerable groups and populations. The leather industry and big brands need to be more proactive by sending clear market signals that deforestation and other illegalities are not tolerated. Full coverage and traceability of the supply chain and engagement with the producers is necessary if the industry wants to produce and trade deforestation-free products.
5-dic-2019
La produzione agricola industriale su larga scala e il commercio di prodotti sono sempre più connessi a fenomeni di deforestazione e degradazione delle foreste tropicali. Tale fenomeno è descritto tramite il concetto di ‘rischio di deforestazione’ o forest-risk. I prodotti agricoli i cui processi produttivi implicano deforestazione e rimozione della vegetazione autoctona, sono classificati beni a rischio deforestazione (forest risk commodities). Carne bovina, soia, olio di palma e legname – i beni a rischio deforestazione – sono considerati ‘i grandi 4’ tra le forest-risk commodities. A causa della complessità dei sistemi globali di produzione e commercio alcuni beni sono indirettamente legati a tale rischio, poiché derivano da aree deforestate senza essere essi stessi causa diretta di deforestazione. Questa dimensione del rischio viene spesso tralasciata e permane un tema secondario nel dibattito sulla deforestazione derivata dalla produzione e il commercio di beni di consumo. La distinzione tra beni con un legame causale diretto con la deforestazione e beni che includono nella propria filiera il rischio di deforestazione incide su come la responsabilità della deforestazione viene attribuita e considerata sia tramite misure legali che tramite standard volontari di auto-regolamentazione. Pertanto risulta necessario sviluppare una concettualizzazione migliore per concordare una terminologia da utilizzare sia nella letteratura accademica che in quella informale e raggiungere delle decisioni politiche basate su un approccio scientifico. Nella ricerca effettuata si è voluto espandere la concettualizzazione di deforestation risk facendo riferimento al caso delle pelli bovine (di qui in avanti semplicemente, pelli) e in particolare al caso della produzione di pelli/prodotti di conceria in Brasile. Il focus sulle pelli ha molteplici ragioni. In primo luogo, mentre il ruolo degli allevamenti zootecnici come causa di deforestazione in Brasile è soggetto ad una crescente attenzione da parte dell’opinione pubblica, la filiera di produzione delle pelli rimane ancora inesplorata. Fatta eccezione per poche imprese leader del settore dei prodotti in pelle, il dibattito sulla trasparenza di questa filiera e il rischio di deforestazione ad essa associato è praticamente assente. In secondo luogo, la filiera della pelle è di norma molto più complessa rispetto a quella della carne bovina e coinvolge numerosi attori sia a livello nazionale che internazionale, ivi compresi gli intermediari, le concerie, le case di moda, ecc. Ciò crea delle discontinuità nella tracciabilità della pelle e complica l’identificazione del rischio di deforestazione lungo la filiera. Infine, la pelle è un bene che per propria stessa natura è legato a rapporti di forza squilibrati tra gli attori della filiera. Una terza ragione per la scelta del settore della pelle è data dal fatto che, poiché la pelle è spesso considerata un prodotto di scarto secondario della carne bovina, ne consegue che gli attori coinvolti nella filiera sostengono di avere uno scarso potere di negoziazione per imporre i loro standard e delle condizioni di non-deforestazione ai produttori. Al contempo, gli attori a valle della filiera, come le case di moda, sono maggiormente esposti a rischi di natura reputazionale rispetto alle imprese del settore della carne. In conseguenza di tale situazione vi è il fatto che la pelle è un bene con costi e benefici distribuiti in maniera asimmetrica all’interno della filiera. Mentre a monte gli allevatori mancano delle risorse per rispettare standard di sostenibilità e spesso non beneficiano di nessuna compensazione economica per il pellame dei propri bovini, i prodotti finiti in pelle sono visti come beni di lusso, con elevati margini di guadagno per le aziende che li producono e commerciano. Questa ricerca impiega sia dati primari che secondari. I dati primari sono principalmente di tipo qualitativo e derivano da trentanove interviste semi-strutturate e audio-registrate condotte sotto forma sia di colloqui vis-à-vis che a distanza (video-chiamate) durante una missione in Brasile tra maggio e agosto 2018. Tali dati sono stati utilizzati prevalentemente ai fini dell’analisi del discorso (discourse analysis) presentata nel secondo capitolo e come riferimenti interpretativi e di lettura del contesto per l’analisi dei dati quantitativi secondari presentata nei rimanenti capitoli. I dati e le informazioni secondari sono stati derivati da un’estesa analisi della letteratura e analisi di dati statistici relativi a mattatoi, registri su pelli bovine grezze e semilavorate e processi di deforestazione; sono stati inoltre considerati dati geospaziali relativi alle aree deforestate e alla localizzazione dei mattatoi e delle concerie; da ultimo sono stati considerati dati relativi al commercio di pelli e prodotti derivati tra Brasile e Italia. Nessun intervallo di tempo specifico è stato selezionato a priori per l’analisi dei dati: le serie temporali sono state selezionate a seconda della disponibilità di dati e delle necessità relative alle singole tipologie di analisi impiegate. Dai risultati emerge che la filiera delle pelli ha un rischio deforestazione significativo nonostante il pellame non sia un prodotto primario dell’allevamento bovino e un fattore diretto di deforestazione. Il rischio si colloca principalmente nel legame con le attività zootecniche e di allevamento, nell’incompleta tracciabilità della filiera così come nel commercio interno e internazionale di pelle. Le pelli prodotte in Brasile e importate per essere successivamente lavorate in Italia incorporano un livello significativo di rischio di deforestazione a causa degli intensi scambi commerciali tra i due Paesi. Il rischio di deforestazione legato alle pelli è affrontato in maniera diversa dai diversi discorsi esistenti sul tema e pone in evidenza come l’articolarsi della trama di ciascun discorso comporti l’attenzione sia su aspetti visibili che invisibili rispetto alla sostenibilità, all’equità e alla legalità delle filiere in questione. I risultati mettono in risalto l’importanza del ruolo e della voce degli agricoltori di frontiera, mostrando come la loro visione e interpretazione informi un discorso politico incentrato sul tema della sopravvivenza e del sostentamento. È quindi necessaria una maggiore attenzione da parte dell’opinione pubblica sulle filiere produttive, ivi comprese quelle delle pelli e dei prodotti derivati, e in particolare sulle relazioni non eque di potere, così come sull’importanza di un’inclusione significativa di gruppi vulnerabili della popolazione. L’industria del pellame e i grandi marchi dovrebbero essere più proattivi, inviando al mercato un chiaro segnale per cui la deforestazione e altre forme di illegalità non possono essere tollerate. Una piena tracciabilità della filiera e il coinvolgimento dei produttori è imprescindibile se l’industria mira a produrre e commerciare prodotti che non siano responsabili di o coinvolti in processi di deforestazione.
Deforestation risk, zero deforestation, embedded deforestation, leather, discourse analysis, supply chains, traceability, transparency, trade, risk assessment, due diligence
Deforestation risk in bovine leather supply chain. Risk assessment through conceptualization, discourse and trade data analysis within the context of Italian-Brazilian leather trade / Mammadova, Aynur. - (2019 Dec 05).
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