This research deal with the question of judgment in the work of Hannah Arendt. It represents the incomplete part of her oeuvre and a debated issue in scholarship. The task of the research, then, is twofold: reconstructive and interpretative. The first chapter analyzes Arendt's reading of Plato and Socrates. In the fifties she develops the conceptual framework of her later account of judgment. Both her reflections on philosophy/politics and on judgment can be considered as attempts to think the relationship between man in the plural and man in the singular. Socrates discovered a mode of philosophizing that did not oppose the life of the thinker and the life of the citizen. Through his figure, she offers an alternative conception of philosophy and its relation to politics. The second section deals with Arendt's political reading of Kant's third Critique and suggests a distinction between political, historical and moral judgment, in order to understand the complexity of functions and meanings of the faculty of judgment itself. If the spectator is the man who judges, we can identify different kinds of spectators. This part of the research is concerned with political judgment and challenges the idea that Arendt has two different theories of judgment: while she underlines different aspects of judgment, she never depoliticizes it. Actor and spectator are two complementary modes of relating to common world, rather than mutually exclusive roles. The third chapter focuses on the ethical aspects of Arendt's work and on moral judgment; it addresses the question of evil, the duality of socratic thinking and its moral effects, the responsibility and the relationship between morality and politics. Once the autonomy involved in moral judgment is seriously taken into account, the conclusive remarks seek to reconsider the category of singularity in relation with plurality in the practice of judgment.

La ricerca riguarda la questione del giudizio in Hannah Arendt, la parte incompiuta e uno degli aspetti più controversi della sua opera. L'intento è quindi duplice, ricostruttivo e interpretativo. Il lavoro si compone di tre sezioni. La prima si rivolge soprattutto agli anni Cinquanta della produzione arendtiana. In quel periodo, infatti, Arendt appronta la cornice concettuale del suo successivo itinerario intellettuale, al punto che la riflessione sul giudizio può essere considerata come l'ultima espressione del tentativo di pensare la relazione fra l'uomo posto al singolare e l'uomo posto al plurale. All'interpretazione fortemente critica di Platone, Arendt contrappone la positività  della figura di Socrate, al fine delineare un diverso modo di concepire e praticare la filosofia rispetto a quello divenuto egemone nella tradizione della filosofia occidentale e, di conseguenza, una possibile conciliazione fra modo di vita filosofico e politico. Il secondo capitolo si propone di mostrare la legittimità  della distinzione fra giudizio politico, storico e morale, al fine di comprendere la complessità  di significati e funzioni che Arendt andava attribuendo alla facoltà  del giudizio. Il capitolo prende in esame la dimensione prettamente politica del giudicare. La chiave utilizzata per approcciare la multiforme facoltà  giudicativa è quella della figura dello spettatore, la quale rappresenta l'uomo colto nell'esercizio della sua facoltà  di giudicare. Se si danno diverse modalità  di giudizio, a seconda degli ambiti dell'umana esperienza coinvolti, vi saranno anche diverse tipologie di spettatorialità. Questa parte del lavoro si confronta con l'interpretazione politica che Arendt offre della terza Critica kantiana. Uno degli intenti perseguiti è quello di mostrare l'insostenibilità  della lettura che ha visto in Arendt la presenza di due diverse teorie del giudizio (una che lo considera facoltà  relativa alla vita politica e un'altra come componente della vita mentale). Pur riconoscendo differenze e oscillazioni, si è cercato di evidenziare la fondamentale e simbiotica relazione esistente fra l'attore e lo spettatore, nonché una certa unità  di fondo nel percorso arendtiano, che non si è mai tradotto in una depoliticizzazione della facoltà  di giudicare. L'ultima parte del lavoro prende in considerazione l'aspetto morale del pensiero arendtiano, cercando di evidenziare che cosa significhi giudicare moralmente. Si sono esaminate le questioni relative al male, alla dualità  insita nel pensiero e ai suoi effetti etico-politici, all'insegnamento morale socratico e allo spettatore interiore, nonché ai complessi e problematici rapporti che Arendt tratteggia fra il dominio dell'etica e quello della politica. Considerato l'accento che Arendt pone, nella sua interpretazione del giudizio morale, sul giudicare a partire da sé, ossia sull'autonomia in esso implicata, ci si chiede, in sede di conclusione, in che termini sia legittimo parlare di un momento singolare, oltre che plurale, nell'attività  giudicativa, avanzando infine la proposta di riconsiderare, nella questione del giudizio, accanto alla categoria della pluralità, anche la dimensione della singolarità.

Judging. Origini e articolazioni dell'indagine sul giudizio di Hannah Arendt / Brugnaro, Davide. - (2018 Jul 17).

Judging. Origini e articolazioni dell'indagine sul giudizio di Hannah Arendt

Brugnaro, Davide
2018

Abstract

La ricerca riguarda la questione del giudizio in Hannah Arendt, la parte incompiuta e uno degli aspetti più controversi della sua opera. L'intento è quindi duplice, ricostruttivo e interpretativo. Il lavoro si compone di tre sezioni. La prima si rivolge soprattutto agli anni Cinquanta della produzione arendtiana. In quel periodo, infatti, Arendt appronta la cornice concettuale del suo successivo itinerario intellettuale, al punto che la riflessione sul giudizio può essere considerata come l'ultima espressione del tentativo di pensare la relazione fra l'uomo posto al singolare e l'uomo posto al plurale. All'interpretazione fortemente critica di Platone, Arendt contrappone la positività  della figura di Socrate, al fine delineare un diverso modo di concepire e praticare la filosofia rispetto a quello divenuto egemone nella tradizione della filosofia occidentale e, di conseguenza, una possibile conciliazione fra modo di vita filosofico e politico. Il secondo capitolo si propone di mostrare la legittimità  della distinzione fra giudizio politico, storico e morale, al fine di comprendere la complessità  di significati e funzioni che Arendt andava attribuendo alla facoltà  del giudizio. Il capitolo prende in esame la dimensione prettamente politica del giudicare. La chiave utilizzata per approcciare la multiforme facoltà  giudicativa è quella della figura dello spettatore, la quale rappresenta l'uomo colto nell'esercizio della sua facoltà  di giudicare. Se si danno diverse modalità  di giudizio, a seconda degli ambiti dell'umana esperienza coinvolti, vi saranno anche diverse tipologie di spettatorialità. Questa parte del lavoro si confronta con l'interpretazione politica che Arendt offre della terza Critica kantiana. Uno degli intenti perseguiti è quello di mostrare l'insostenibilità  della lettura che ha visto in Arendt la presenza di due diverse teorie del giudizio (una che lo considera facoltà  relativa alla vita politica e un'altra come componente della vita mentale). Pur riconoscendo differenze e oscillazioni, si è cercato di evidenziare la fondamentale e simbiotica relazione esistente fra l'attore e lo spettatore, nonché una certa unità  di fondo nel percorso arendtiano, che non si è mai tradotto in una depoliticizzazione della facoltà  di giudicare. L'ultima parte del lavoro prende in considerazione l'aspetto morale del pensiero arendtiano, cercando di evidenziare che cosa significhi giudicare moralmente. Si sono esaminate le questioni relative al male, alla dualità  insita nel pensiero e ai suoi effetti etico-politici, all'insegnamento morale socratico e allo spettatore interiore, nonché ai complessi e problematici rapporti che Arendt tratteggia fra il dominio dell'etica e quello della politica. Considerato l'accento che Arendt pone, nella sua interpretazione del giudizio morale, sul giudicare a partire da sé, ossia sull'autonomia in esso implicata, ci si chiede, in sede di conclusione, in che termini sia legittimo parlare di un momento singolare, oltre che plurale, nell'attività  giudicativa, avanzando infine la proposta di riconsiderare, nella questione del giudizio, accanto alla categoria della pluralità, anche la dimensione della singolarità.
17-lug-2018
This research deal with the question of judgment in the work of Hannah Arendt. It represents the incomplete part of her oeuvre and a debated issue in scholarship. The task of the research, then, is twofold: reconstructive and interpretative. The first chapter analyzes Arendt's reading of Plato and Socrates. In the fifties she develops the conceptual framework of her later account of judgment. Both her reflections on philosophy/politics and on judgment can be considered as attempts to think the relationship between man in the plural and man in the singular. Socrates discovered a mode of philosophizing that did not oppose the life of the thinker and the life of the citizen. Through his figure, she offers an alternative conception of philosophy and its relation to politics. The second section deals with Arendt's political reading of Kant's third Critique and suggests a distinction between political, historical and moral judgment, in order to understand the complexity of functions and meanings of the faculty of judgment itself. If the spectator is the man who judges, we can identify different kinds of spectators. This part of the research is concerned with political judgment and challenges the idea that Arendt has two different theories of judgment: while she underlines different aspects of judgment, she never depoliticizes it. Actor and spectator are two complementary modes of relating to common world, rather than mutually exclusive roles. The third chapter focuses on the ethical aspects of Arendt's work and on moral judgment; it addresses the question of evil, the duality of socratic thinking and its moral effects, the responsibility and the relationship between morality and politics. Once the autonomy involved in moral judgment is seriously taken into account, the conclusive remarks seek to reconsider the category of singularity in relation with plurality in the practice of judgment.
Hannah Arendt, giudizio, judgment, Urteilskraft, facoltà  di giudizio, Socrate, Kant, giudizio politico, giudizio morale
Judging. Origini e articolazioni dell'indagine sul giudizio di Hannah Arendt / Brugnaro, Davide. - (2018 Jul 17).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/3425375
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