Il presente articolo non intende proporre una nuova riflessione sulle funzioni – descrittiva narrativa semiotica – del corpo vulnerato nella produzione cavalleresca in lingua d’oïl, ma aspira a evidenziare il legame antropologicamente forte che unisce i simbolismi della ferita alle poetiche dell’eroismo guerriero e alle rappresentazioni dei fatti d’armi, tanto nelle scritture del Medioevo di Francia come in altre tradizioni letterarie che possono essere assunte a proficuo termine di confronto entro una visione largamente comparatistica. Com’è noto, le narrazioni epiche e romanzesche antico-francesi celebrano in forme iperbolicamente survoltate quel combattimento d’urto che costituisce la grande risorsa e il marchio di fabbrica della cavalleria pesante di epoca feudale. L’estrema violenza della carica “a fondo”, effettuata da formazioni coese di lancieri corazzati, si costella in un drammatico immaginario della scissura e della frammentazione, che esprime un esaltante ideale di potenza. D’altra parte, la perforazione e la trafittura, lo smembramento e la lacerazione sono figurazioni universali della distruttività eroica. A tutte le latitudini e sotto tutti i cieli, i campioni militari sono portatori di un’energia speciale, che si manifesta come un tremendo potere di annientamento: un sussulto di violenza squassante che spacca e riduce in pezzi. La “forza” degli eroi (nell’accezione specifica introdotta da Simone Weil, L’Iliade ou le poème de la force) non soltanto mette in subbuglio l’ordine delle schiere, ma altera e guasta l’armonia delle forme, amputa le simmetrie corporee, spezza e disgiunge l’intero, scinde e scompagina il normale assetto anatomico sovvertendo i rapporti IN/OUT (il ferro affonda nella carne, mentre gli organi interni fuoriescono dalle piaghe slabbrate). Insomma: nei modi della comunicazione epica e romanzesca la ferita esprime dolore, sofferenza e altre manifestazioni emotive di registro disforico, ma è in pari tempo lo stigma dell’eccellenza selvaggia e devastatrice dei milites. Nella cornice di questa d’indagine, che valorizza gli aspetti luminosi dell’aggressività distruttrice, si può inquadrare anche quell’affettività esultante di cui si colgono segni lessicali evidenti ogniqualvolta i testi indugino nell’illustrazione analitica di un coup d’éclat o – ancor più – di un campo di battaglia disseminato di cadaveri sconciati, brani di carne mutilata e armi ammaccate. Dalla contemplazione di simili diorami di morte promana un senso di angoscia luttuosa, ma di norma l’afflizione suscitata dal carnage si rovescia in una sconcertante euforia di massacri: le distese di corpi senza vita e la corsa furente dei cavalli scossi alimentano una corrusca felicità marziale, che appartiene alla sensibilità specifica del ceto guerriero e trova adeguati veicoli espressivi nelle retoriche dell’epopea.

Anatomy of Chivalric Destructiveness: Imagery of Injury and Culture of Clash in Old French Heroic Narrative

Barbieri, Alvaro
2022

Abstract

Il presente articolo non intende proporre una nuova riflessione sulle funzioni – descrittiva narrativa semiotica – del corpo vulnerato nella produzione cavalleresca in lingua d’oïl, ma aspira a evidenziare il legame antropologicamente forte che unisce i simbolismi della ferita alle poetiche dell’eroismo guerriero e alle rappresentazioni dei fatti d’armi, tanto nelle scritture del Medioevo di Francia come in altre tradizioni letterarie che possono essere assunte a proficuo termine di confronto entro una visione largamente comparatistica. Com’è noto, le narrazioni epiche e romanzesche antico-francesi celebrano in forme iperbolicamente survoltate quel combattimento d’urto che costituisce la grande risorsa e il marchio di fabbrica della cavalleria pesante di epoca feudale. L’estrema violenza della carica “a fondo”, effettuata da formazioni coese di lancieri corazzati, si costella in un drammatico immaginario della scissura e della frammentazione, che esprime un esaltante ideale di potenza. D’altra parte, la perforazione e la trafittura, lo smembramento e la lacerazione sono figurazioni universali della distruttività eroica. A tutte le latitudini e sotto tutti i cieli, i campioni militari sono portatori di un’energia speciale, che si manifesta come un tremendo potere di annientamento: un sussulto di violenza squassante che spacca e riduce in pezzi. La “forza” degli eroi (nell’accezione specifica introdotta da Simone Weil, L’Iliade ou le poème de la force) non soltanto mette in subbuglio l’ordine delle schiere, ma altera e guasta l’armonia delle forme, amputa le simmetrie corporee, spezza e disgiunge l’intero, scinde e scompagina il normale assetto anatomico sovvertendo i rapporti IN/OUT (il ferro affonda nella carne, mentre gli organi interni fuoriescono dalle piaghe slabbrate). Insomma: nei modi della comunicazione epica e romanzesca la ferita esprime dolore, sofferenza e altre manifestazioni emotive di registro disforico, ma è in pari tempo lo stigma dell’eccellenza selvaggia e devastatrice dei milites. Nella cornice di questa d’indagine, che valorizza gli aspetti luminosi dell’aggressività distruttrice, si può inquadrare anche quell’affettività esultante di cui si colgono segni lessicali evidenti ogniqualvolta i testi indugino nell’illustrazione analitica di un coup d’éclat o – ancor più – di un campo di battaglia disseminato di cadaveri sconciati, brani di carne mutilata e armi ammaccate. Dalla contemplazione di simili diorami di morte promana un senso di angoscia luttuosa, ma di norma l’afflizione suscitata dal carnage si rovescia in una sconcertante euforia di massacri: le distese di corpi senza vita e la corsa furente dei cavalli scossi alimentano una corrusca felicità marziale, che appartiene alla sensibilità specifica del ceto guerriero e trova adeguati veicoli espressivi nelle retoriche dell’epopea.
2022
The Wounded Body. Memory, Language and the Self from Petrarch to Shakespeare
978-3-030-91903-0
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