Il Salento è ormai perennemente indicata come zona infetta nelle cartografie di contenimento del batterio da quarantena Xylella fastidiosa. La malattia ha aperto un dibattito circa la natura del paesaggio: da una parte si faceva riferimento ad una storia millenaria di relazione con gli olivi attraverso una naturalizzazione del paesaggio rappresentata dalla parola ‘bosco’; dall’altra invece la diffusione di un patogeno cosmopolita come Xylella ha rafforzato la memoria storica delle trasformazioni dell’olivicoltura nell’ultimo secolo, identificate e rappresentate attraverso il termine ‘monocoltura’ (Collettivo Epidemia, 2019). Le relazioni tra domestico e selvatico sono state richiamate sia per comprendere la diffusione della patogenesi (Ciervo 2015, 2018), sia per la ricerca della ‘cura’ attraverso l’identificazione di cultivar resistenti (Boscia 2018). Nella fenomenologia della risposta istituzionale caratterizzata da un approccio produttivista (Bandiera 2020), da una parte la monocoltura è scenografia indiscussa dell’attività agricola, nonostante favorisca e produca la diffusione rapida del patogeno; dall’altra è nella permanenza di specie e ibridazioni, domesticate e non, che risiede l’ultima speranza di una soluzione - sempre intensiva - alla patogenesi. In ognuno di questi casi, l’ecologia delle pratiche agricole (Stengers 2010) è interessata da una rinnovata attenzione agli spazi di cura/gestione e abbandono che producono. Al di fuori del paradigma estrattivista, tuttavia, il confine tra cura e abbandono si configura in maniera radicalmente differente, riformulato attraverso concezioni alternative della relazione tra umani e non-umani (Pluig de la Bellacasa 2017). Il selvatico, relegato ai margini dei campi, lungo i muretti sul bordo delle strade, si sprigiona quando la redditività non consente più politiche di pulizia immunologica. Gli ulivi abbandonati, al centro dei campi, ritornano al loro stato arbustivo. Tuttavia non tutto il selvatico risulta improduttivo per il paradigma estrattivista: sia perchè l’abbandono e il disastro alimentano la speculazione sui suoli, sia per la possibilità di appropriazione del lavoro di ibridazione in questi decenni, proprio ai margini dei campi. L’olivo autoctono resistente a Xylella, infatti, è stato finalmente rinvenuto, proprio sul bordo di una strada nei pressi di Presicce. Brevettando il genoma dell’olivo salvifico, l’imprenditore si appropria del lavoro del selvatico, fino ad allora disprezzato e marginalizzato. Prospettive opposte, tuttavia, sono offerte dalle pratiche artistiche e/o agroecologiche di numerosi collettivi locali (Descola 2021), che mostrano nuove eco-corrispondenze (Ingold 2018) e alleanze con i non umani. Alternativo al dominio degli umani, in questo contributo ci proponiamo di ragionare sul concetto formulato da Michael Taussig di Mastery of the Non-Mastery (2021), prendendo in considerazione la domesticazione dell’olivo e la ‘mobilità’ del selvatico (Tsing 2015). Il selvatico ed il domestico appaiono in una co-operazione dalle prospettive inedite. I rapporti tra domesticazione e inselvatichimento illuminano politicamente le modalità con cui il linguaggio natural culturale delle nostre società attraversa di taglio sia l’organizzazione della materia della modernità che le possibilità trasformative del reincanto della natura.

La crisi della domesticità. Il futuro del Salento tra bosco e monocultura

Enrico Milazzo;Michele Bandiera
2022

Abstract

Il Salento è ormai perennemente indicata come zona infetta nelle cartografie di contenimento del batterio da quarantena Xylella fastidiosa. La malattia ha aperto un dibattito circa la natura del paesaggio: da una parte si faceva riferimento ad una storia millenaria di relazione con gli olivi attraverso una naturalizzazione del paesaggio rappresentata dalla parola ‘bosco’; dall’altra invece la diffusione di un patogeno cosmopolita come Xylella ha rafforzato la memoria storica delle trasformazioni dell’olivicoltura nell’ultimo secolo, identificate e rappresentate attraverso il termine ‘monocoltura’ (Collettivo Epidemia, 2019). Le relazioni tra domestico e selvatico sono state richiamate sia per comprendere la diffusione della patogenesi (Ciervo 2015, 2018), sia per la ricerca della ‘cura’ attraverso l’identificazione di cultivar resistenti (Boscia 2018). Nella fenomenologia della risposta istituzionale caratterizzata da un approccio produttivista (Bandiera 2020), da una parte la monocoltura è scenografia indiscussa dell’attività agricola, nonostante favorisca e produca la diffusione rapida del patogeno; dall’altra è nella permanenza di specie e ibridazioni, domesticate e non, che risiede l’ultima speranza di una soluzione - sempre intensiva - alla patogenesi. In ognuno di questi casi, l’ecologia delle pratiche agricole (Stengers 2010) è interessata da una rinnovata attenzione agli spazi di cura/gestione e abbandono che producono. Al di fuori del paradigma estrattivista, tuttavia, il confine tra cura e abbandono si configura in maniera radicalmente differente, riformulato attraverso concezioni alternative della relazione tra umani e non-umani (Pluig de la Bellacasa 2017). Il selvatico, relegato ai margini dei campi, lungo i muretti sul bordo delle strade, si sprigiona quando la redditività non consente più politiche di pulizia immunologica. Gli ulivi abbandonati, al centro dei campi, ritornano al loro stato arbustivo. Tuttavia non tutto il selvatico risulta improduttivo per il paradigma estrattivista: sia perchè l’abbandono e il disastro alimentano la speculazione sui suoli, sia per la possibilità di appropriazione del lavoro di ibridazione in questi decenni, proprio ai margini dei campi. L’olivo autoctono resistente a Xylella, infatti, è stato finalmente rinvenuto, proprio sul bordo di una strada nei pressi di Presicce. Brevettando il genoma dell’olivo salvifico, l’imprenditore si appropria del lavoro del selvatico, fino ad allora disprezzato e marginalizzato. Prospettive opposte, tuttavia, sono offerte dalle pratiche artistiche e/o agroecologiche di numerosi collettivi locali (Descola 2021), che mostrano nuove eco-corrispondenze (Ingold 2018) e alleanze con i non umani. Alternativo al dominio degli umani, in questo contributo ci proponiamo di ragionare sul concetto formulato da Michael Taussig di Mastery of the Non-Mastery (2021), prendendo in considerazione la domesticazione dell’olivo e la ‘mobilità’ del selvatico (Tsing 2015). Il selvatico ed il domestico appaiono in una co-operazione dalle prospettive inedite. I rapporti tra domesticazione e inselvatichimento illuminano politicamente le modalità con cui il linguaggio natural culturale delle nostre società attraversa di taglio sia l’organizzazione della materia della modernità che le possibilità trasformative del reincanto della natura.
2022
Atti del Convegno XXXIII Congresso Geografico Italiano, Geografie in Movimento
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