Davvero si può continuare a credere – come è stato autorevolmente affermato da una longeva tradizione critica – che tra la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento l’eclissi del teatro goldoniano fu quasi totale? L’analisi di fonti archivistiche già note (ma non sufficientemente meditate) o affatto inedite, lo spoglio della fiorente pubblicistica di interesse teatrale, il reperimento di stampe-copioni impiegate da compagnie ottocentesche e la ricostruzione delle loro fisionomie, ci rivelano in realtà un panorama decisamente diverso. Un panorama in cui si stagliano da un lato – dall’alto – le voci dell’intellighenzia teatrale, che all’unisono intonano il lamento della perdita, esprimendo in termini traumatici un vero e proprio “complesso dell’abbandono”, dall’altro – dal basso – gli operatori del mercato (e il versante teatrale intrattiene con quello editoriale legami di sintomatica specularità) che altrettanto concordemente attribuiscono all’opera goldoniana il valore di un titolo stabilmente quotato. A monte del fenomeno, si intravede distintamente una pratica della scena che seppe, del testo goldoniano, illustrare le sotterranee risorse spettacolari, anche attraverso la sua manipolazione – o, per meglio dire, la scoperta della sua costitutiva flessibilità; e si deve riconoscere all’apparente ossimoro di un’esemplarità flessibile la possibilità di permanere in un contesto spettacolare tanto alieno dalla fissità. Precisamente in questo potrebbero ravvisarsi i termini del paradossale “classicismo” con cui si espresse la frequentazione attoriale dell’opera goldoniana nell’Italia ottocentesca: proprio nella proliferazione di risposte possibili, da essa sollecitate, sembrerebbe essersi definita la nascita e la versatile “identità” di un classico.
Come nasce un classico. Sulla fortuna del teatro di Carlo Goldoni tra Sette e Ottocento
Anna Scannapieco
2025
Abstract
Davvero si può continuare a credere – come è stato autorevolmente affermato da una longeva tradizione critica – che tra la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento l’eclissi del teatro goldoniano fu quasi totale? L’analisi di fonti archivistiche già note (ma non sufficientemente meditate) o affatto inedite, lo spoglio della fiorente pubblicistica di interesse teatrale, il reperimento di stampe-copioni impiegate da compagnie ottocentesche e la ricostruzione delle loro fisionomie, ci rivelano in realtà un panorama decisamente diverso. Un panorama in cui si stagliano da un lato – dall’alto – le voci dell’intellighenzia teatrale, che all’unisono intonano il lamento della perdita, esprimendo in termini traumatici un vero e proprio “complesso dell’abbandono”, dall’altro – dal basso – gli operatori del mercato (e il versante teatrale intrattiene con quello editoriale legami di sintomatica specularità) che altrettanto concordemente attribuiscono all’opera goldoniana il valore di un titolo stabilmente quotato. A monte del fenomeno, si intravede distintamente una pratica della scena che seppe, del testo goldoniano, illustrare le sotterranee risorse spettacolari, anche attraverso la sua manipolazione – o, per meglio dire, la scoperta della sua costitutiva flessibilità; e si deve riconoscere all’apparente ossimoro di un’esemplarità flessibile la possibilità di permanere in un contesto spettacolare tanto alieno dalla fissità. Precisamente in questo potrebbero ravvisarsi i termini del paradossale “classicismo” con cui si espresse la frequentazione attoriale dell’opera goldoniana nell’Italia ottocentesca: proprio nella proliferazione di risposte possibili, da essa sollecitate, sembrerebbe essersi definita la nascita e la versatile “identità” di un classico.Pubblicazioni consigliate
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.