Questo saggio pubblicato su una prestigiosa rivista del Parlamento tedesco cerca di fare il punto sulla situazione politica italiana. Dalla pubblicazione di questo saggio è nato un invito alla Conferenza italo-tedesca che si è tenuta a Monaco. Il saggio non presenta una ricerca definitiva, ma analizza da un particolare punto di vista, limitato dalla poche pagine messe a disposizione, sia il problema dei leader populisti o antipolitici (quale era considerato nel 2004 Berlusconi dagli scientisti politici italiani), sia il ruolo delle metafore nel discorso politico italiano (la metafora del “resistere, resistere, resistere” e quella del “… dì qualcosa di…), sia il rapporto tra scienza, scienza accademica e politica, sia ancora il rapporto tra Politica e Cultura (titolo di un fortunato volume di Norberto Bobbio). Il problema sotteso allo svolgimento del saggio è quello del rapporto tra Cultura e Politica, un tema che ci riporta alla rifondazione della Scienza Politica Italiana dopo la seconda guerra mondiale. È nel volume Politica e Cultura che Bobbio accusa la filosofia idealista italiana di essere stata la cultura responsabile dell’affermazione in Italia del Fascismo. Nel saggio, si comincia con il considerare quali autori hanno formulato questa tesi. Essi sono stati, nell’ordine: John Dewey, Otto Neurath, Bertrand Russell, Norberto Bobbio e Karl Popper. Questa accusa è stata accentuata da Giovanni Sartori (che ha formulato una critica molto dura dell’atteggiamento di Croce nei confronti della democrazia). Si vanno a considerare, poi, gli scienziati politici italiani, allievi o colleghi di Bobbio e Sartori, che hanno svolto un ruolo di supporto alla nascita dei nuovi partiti politici di governo. Miglio per la Lega Nord; Urbani per Forza Italia; Fisichella per Alleanza Nazionale; etc. Sulla base di teorie esclusivamente empiriste, questi studiosi hanno solo accreditato la nascita di questi partiti. Dopo il rafforzamento dei medesimi, essi sono stati allontanati (Miglio) o emarginati (Urbani e Fisichella). Questa circostanza ha permesso di rivedere il loro ruolo di censori della cultura idealista: se questa è stata di danno alla democrazia (ma forse le responsabilità che le sono state attribuite sono eccessive), la cultura empirista della democrazia è stata incapace di influenzare a lungo la vita dei partiti e di alimentarne la capacità di costruire progetti politici credibili. La sinistra ha perso la capacità di mettere a capo dei partiti intellettuali di grande prestigio e seleziona ormai professionisti della politica con scarsa cultura accademica e culturalmente opachi. I più dei leader che la scienza politica italiana ha aiutato a presentarsi sulla scena politica (Berlusconi, Bossi) sono stati, poi, definiti antipolitici. Questo pone problemi di non secondaria rilevanza, sia nel considerare il ruolo tra Politica e Cultura, sia nel considerare il problema (se tale si può considerare) dell’antipolitica. Il problema è che, nella frenesia di togliere, secondo il programma neopositivista, la filosofia e l’avalutatività dalla scienza politica, si è ottenuto soltanto che la politica si è separata dalla cultura tout court. Oltre alla mancanza di (attenzione alla) cultura, un secondo problema caratterizza la scena politica italiana: l’assenza del riferimento a valori etici, sia nella destra, sia nella sinistra (a parte le solite retoriche, prive di effetti, tirate fuori ad ogni scandalo). In aggiunta, nella sinistra si nota il rifiuto di un vero rapporto di dialogo con i movimenti collettivi i quali vengono sopportati, come il movimento dei Girotondi, o rifiutati come espressione di antipolitica, come i comitati di mobilitazione a favore o contro questa o quella politica. Il saggio si chiude con una previsione pessimistica, rebus sic stantibus, circa i possibili risultati alle elezioni politiche del 2006. Dal punto di vista delle divisioni paradigmatiche che contraddistinguono la scienza politica odierna, il saggio si pone l’obiettivo di confrontarsi con un pubblico internazionale interessato a problematizzare il discorso politico sulla democrazia, sul federalismo e sull’antipolitica e impegnato in un dialogo critico sulle scelte paradigmatiche fondanti la “scienza politica tradizionale” (con riferimento alla tradizione italiana, ad esempio, Norberto Bobbio e i suoi allievi, Sartori e i suoi allievi). Rispetto a democrazia (analizzata solo per ciò che succede dentro il rapporto “Cultura e Politica”, da un famoso volume di Bobbio, e non dentro il rapporto “Società e Cultura”, dal titolo del capitolo conclusivo di un famoso libro di Giulio Preti – Praxis e empirismo), federalismo (ignorato o identificato con il decentramento territoriale) e antipolitica (stigmatizzato sempre, e non con dei distinguo), l’obiettivo è stato quello di realizzare delle ricerche su materiale politologico trascurato dagli scienziati politici italiani (la pubblicistica politica italiana in volumi dal 1799 al presente). La strategia è quella di costruirsi un pubblico con cui confrontarsi per ri-strutturare il proprio discorso scientifico. Questo obiettivo è sempre in corso di realizzazione attraverso vari percorsi: 1) fondare una propria rivista (Foedus che esiste ormai da 12 anni) da far arrivare a un pubblico italiano e straniero (la rivista pubblica anche saggi in inglese di autori stranieri) e in cui pubblicare saggi per opere che non rientrano negli standard di una rivista come la Rivista Italiana di Scienza Politica (esempio un saggio a quattro mani in inglese sulle metafore, presentato alla conferenza annuale della International Society for Political Psychology; esempio, la pubblicazione di tre diverse ricerche parziali, una per anno, sul tema della partecipazione, in attesa di concludere le cinque parti della ricerca e pubblicare un volume; etc.); 2) partecipare a convegni internazionali di discipline vicine, per qualche aspetto, alla scienza politica (esempio, partecipare alla costituzione di una rete internazionale come REGIMEN, Réseau d’Etudes sur la Globalisation et la Gouvernance Internationale et les Mutations de l’Etat et des Nations; etc.); 3) pubblicare in italiano e in altre lingue saggi che ri-strutturano questo o quell’aspetto della propria proposta paradigmatica approfittando delle richieste che provengono da colleghi incontrati nei convegni a cui si viene invitati come relatori (per esempio, una ricerca sui più noti “antipolitici” italiani da Machiavelli a oggi); 4) pubblicare solo su proposte editoriali che dispongono di un proprio pubblico di lettori (cosa che si riconosce dal fatto che non viene richiesto alcun contributo alla pubblicazione del volume – a queste condizioni, ho pubblicato sei antologie più una curatela sulla collana Nuovo Millennio della Gangemi Editori di Roma e una antologia, inviata come strenna natalizia, per la Giuffré Editore, etc.).

Regieren und Zivilgesellscahft in Zeiten der Regieren Berlusconi

GANGEMI, GIUSEPPE
2004

Abstract

Questo saggio pubblicato su una prestigiosa rivista del Parlamento tedesco cerca di fare il punto sulla situazione politica italiana. Dalla pubblicazione di questo saggio è nato un invito alla Conferenza italo-tedesca che si è tenuta a Monaco. Il saggio non presenta una ricerca definitiva, ma analizza da un particolare punto di vista, limitato dalla poche pagine messe a disposizione, sia il problema dei leader populisti o antipolitici (quale era considerato nel 2004 Berlusconi dagli scientisti politici italiani), sia il ruolo delle metafore nel discorso politico italiano (la metafora del “resistere, resistere, resistere” e quella del “… dì qualcosa di…), sia il rapporto tra scienza, scienza accademica e politica, sia ancora il rapporto tra Politica e Cultura (titolo di un fortunato volume di Norberto Bobbio). Il problema sotteso allo svolgimento del saggio è quello del rapporto tra Cultura e Politica, un tema che ci riporta alla rifondazione della Scienza Politica Italiana dopo la seconda guerra mondiale. È nel volume Politica e Cultura che Bobbio accusa la filosofia idealista italiana di essere stata la cultura responsabile dell’affermazione in Italia del Fascismo. Nel saggio, si comincia con il considerare quali autori hanno formulato questa tesi. Essi sono stati, nell’ordine: John Dewey, Otto Neurath, Bertrand Russell, Norberto Bobbio e Karl Popper. Questa accusa è stata accentuata da Giovanni Sartori (che ha formulato una critica molto dura dell’atteggiamento di Croce nei confronti della democrazia). Si vanno a considerare, poi, gli scienziati politici italiani, allievi o colleghi di Bobbio e Sartori, che hanno svolto un ruolo di supporto alla nascita dei nuovi partiti politici di governo. Miglio per la Lega Nord; Urbani per Forza Italia; Fisichella per Alleanza Nazionale; etc. Sulla base di teorie esclusivamente empiriste, questi studiosi hanno solo accreditato la nascita di questi partiti. Dopo il rafforzamento dei medesimi, essi sono stati allontanati (Miglio) o emarginati (Urbani e Fisichella). Questa circostanza ha permesso di rivedere il loro ruolo di censori della cultura idealista: se questa è stata di danno alla democrazia (ma forse le responsabilità che le sono state attribuite sono eccessive), la cultura empirista della democrazia è stata incapace di influenzare a lungo la vita dei partiti e di alimentarne la capacità di costruire progetti politici credibili. La sinistra ha perso la capacità di mettere a capo dei partiti intellettuali di grande prestigio e seleziona ormai professionisti della politica con scarsa cultura accademica e culturalmente opachi. I più dei leader che la scienza politica italiana ha aiutato a presentarsi sulla scena politica (Berlusconi, Bossi) sono stati, poi, definiti antipolitici. Questo pone problemi di non secondaria rilevanza, sia nel considerare il ruolo tra Politica e Cultura, sia nel considerare il problema (se tale si può considerare) dell’antipolitica. Il problema è che, nella frenesia di togliere, secondo il programma neopositivista, la filosofia e l’avalutatività dalla scienza politica, si è ottenuto soltanto che la politica si è separata dalla cultura tout court. Oltre alla mancanza di (attenzione alla) cultura, un secondo problema caratterizza la scena politica italiana: l’assenza del riferimento a valori etici, sia nella destra, sia nella sinistra (a parte le solite retoriche, prive di effetti, tirate fuori ad ogni scandalo). In aggiunta, nella sinistra si nota il rifiuto di un vero rapporto di dialogo con i movimenti collettivi i quali vengono sopportati, come il movimento dei Girotondi, o rifiutati come espressione di antipolitica, come i comitati di mobilitazione a favore o contro questa o quella politica. Il saggio si chiude con una previsione pessimistica, rebus sic stantibus, circa i possibili risultati alle elezioni politiche del 2006. Dal punto di vista delle divisioni paradigmatiche che contraddistinguono la scienza politica odierna, il saggio si pone l’obiettivo di confrontarsi con un pubblico internazionale interessato a problematizzare il discorso politico sulla democrazia, sul federalismo e sull’antipolitica e impegnato in un dialogo critico sulle scelte paradigmatiche fondanti la “scienza politica tradizionale” (con riferimento alla tradizione italiana, ad esempio, Norberto Bobbio e i suoi allievi, Sartori e i suoi allievi). Rispetto a democrazia (analizzata solo per ciò che succede dentro il rapporto “Cultura e Politica”, da un famoso volume di Bobbio, e non dentro il rapporto “Società e Cultura”, dal titolo del capitolo conclusivo di un famoso libro di Giulio Preti – Praxis e empirismo), federalismo (ignorato o identificato con il decentramento territoriale) e antipolitica (stigmatizzato sempre, e non con dei distinguo), l’obiettivo è stato quello di realizzare delle ricerche su materiale politologico trascurato dagli scienziati politici italiani (la pubblicistica politica italiana in volumi dal 1799 al presente). La strategia è quella di costruirsi un pubblico con cui confrontarsi per ri-strutturare il proprio discorso scientifico. Questo obiettivo è sempre in corso di realizzazione attraverso vari percorsi: 1) fondare una propria rivista (Foedus che esiste ormai da 12 anni) da far arrivare a un pubblico italiano e straniero (la rivista pubblica anche saggi in inglese di autori stranieri) e in cui pubblicare saggi per opere che non rientrano negli standard di una rivista come la Rivista Italiana di Scienza Politica (esempio un saggio a quattro mani in inglese sulle metafore, presentato alla conferenza annuale della International Society for Political Psychology; esempio, la pubblicazione di tre diverse ricerche parziali, una per anno, sul tema della partecipazione, in attesa di concludere le cinque parti della ricerca e pubblicare un volume; etc.); 2) partecipare a convegni internazionali di discipline vicine, per qualche aspetto, alla scienza politica (esempio, partecipare alla costituzione di una rete internazionale come REGIMEN, Réseau d’Etudes sur la Globalisation et la Gouvernance Internationale et les Mutations de l’Etat et des Nations; etc.); 3) pubblicare in italiano e in altre lingue saggi che ri-strutturano questo o quell’aspetto della propria proposta paradigmatica approfittando delle richieste che provengono da colleghi incontrati nei convegni a cui si viene invitati come relatori (per esempio, una ricerca sui più noti “antipolitici” italiani da Machiavelli a oggi); 4) pubblicare solo su proposte editoriali che dispongono di un proprio pubblico di lettori (cosa che si riconosce dal fatto che non viene richiesto alcun contributo alla pubblicazione del volume – a queste condizioni, ho pubblicato sei antologie più una curatela sulla collana Nuovo Millennio della Gangemi Editori di Roma e una antologia, inviata come strenna natalizia, per la Giuffré Editore, etc.).
2004
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