Il presente lavoro , che rispetta l’approccio socio-costruzionista elaborato in Salvini, Testoni, Zamperini (2002), affronta il problema relativo alla revisione in senso proibizionista del DPR 390/90 in discussione in Parlamento con la bozza di disegno di legge secondo la versione del 13.11.2003 . L’articolo intende mostrare come il problema della tossicodipendenza nella società occidentale contemporanea sia un referente simbolico di crisi, ossia si accede ad esso nel dibattito politico per costruire rappresentazioni di una paura – quella provata verso tossicodipendente e il suo mondo – che, per quanto profonda, risulta sostenibile. Ricordando quanto indicato da Galimberti (2002), secondo cui la differenza tra paura e angoscia si gioca all’interno del credere di poter o non poter dominare il pericolo e che per gestire la prima la si riduce all’ambito della seconda, viene ipotizzato che siffatta operazione abbia una funzione difensiva perché permette di creare rappresentazioni ritenute gestibili per proteggersi dall’angoscia più radicale evocata da quanto di realmente pericoloso viene percepito come incontrollabile. Ma questa operazione giocata a livello di rappresentazione ha un costo elevato sulla realtà sociale, che viene pagato dai tossicodipendenti ai quali è dunque attribuita la funzione di capro espiatorio. Lasciando sullo sfondo le modalità con cui il potere dominante facilita e asseconda la costruzione della rappresentazione del “tossicodipendente da punire” per produrre effetti rassicuranti sulla popolazione, si considerano i problemi che derivano per il lavoro terapeutico allorquando tali posizioni politiche invalidino l’intervento di solidarietà sociale. In particolare si considera la vanificazione dell’intervento in Comunità Terapeutica [CT], passando attraverso le considerazioni relative alla fiducia messa in gioco nella relazione di cura, ove – nel rispetto della prospettiva della riduzione del danno – è invece lasciato al tossicodipendente il tempo per attribuire “in prima persona” il senso della propria astinenza per un progetto di vita diverso da quello prodotto dalla coazione all’identità deviante.

L'INASPERIMENTO DELLA PUNIBILITA' DELLA TOSSICODIPENDENZA E L'INVALIDAZIONE DEL LAVORO PSICOTERAPEUTICO

TESTONI, INES;
2005

Abstract

Il presente lavoro , che rispetta l’approccio socio-costruzionista elaborato in Salvini, Testoni, Zamperini (2002), affronta il problema relativo alla revisione in senso proibizionista del DPR 390/90 in discussione in Parlamento con la bozza di disegno di legge secondo la versione del 13.11.2003 . L’articolo intende mostrare come il problema della tossicodipendenza nella società occidentale contemporanea sia un referente simbolico di crisi, ossia si accede ad esso nel dibattito politico per costruire rappresentazioni di una paura – quella provata verso tossicodipendente e il suo mondo – che, per quanto profonda, risulta sostenibile. Ricordando quanto indicato da Galimberti (2002), secondo cui la differenza tra paura e angoscia si gioca all’interno del credere di poter o non poter dominare il pericolo e che per gestire la prima la si riduce all’ambito della seconda, viene ipotizzato che siffatta operazione abbia una funzione difensiva perché permette di creare rappresentazioni ritenute gestibili per proteggersi dall’angoscia più radicale evocata da quanto di realmente pericoloso viene percepito come incontrollabile. Ma questa operazione giocata a livello di rappresentazione ha un costo elevato sulla realtà sociale, che viene pagato dai tossicodipendenti ai quali è dunque attribuita la funzione di capro espiatorio. Lasciando sullo sfondo le modalità con cui il potere dominante facilita e asseconda la costruzione della rappresentazione del “tossicodipendente da punire” per produrre effetti rassicuranti sulla popolazione, si considerano i problemi che derivano per il lavoro terapeutico allorquando tali posizioni politiche invalidino l’intervento di solidarietà sociale. In particolare si considera la vanificazione dell’intervento in Comunità Terapeutica [CT], passando attraverso le considerazioni relative alla fiducia messa in gioco nella relazione di cura, ove – nel rispetto della prospettiva della riduzione del danno – è invece lasciato al tossicodipendente il tempo per attribuire “in prima persona” il senso della propria astinenza per un progetto di vita diverso da quello prodotto dalla coazione all’identità deviante.
2005
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