Il presente contributo discute della contraddizione relative al trattamento della tossicodipendenza in comunità terapeutica [CT], tra la sua gestione nell’ottica dell’inasprimento della punibilità voluto dalle recenti volontà politiche di revisione del DPR 390/90 (proposta del 13.11.2003) e l’intenzione terapeutica. In particolare si considera la questione inerente al fondamento del contratto psico-terapeutico e la dialettica fiducia/sfiducia. Il perno della trattazione si erige sul concetto di “progettualità” e indica alcuni risultati di una ricerca sul campo, compiuta su tossicodipendenti IUDs, afferenti a CT del Sud Italia (un gruppo in alternativa al carcere e un gruppo senza pendenze giudiziarie), le cui risposte, rilevate con intervista semistrutturata, sono state sottoposte ad analisi del contenuto qualitativo-quantitativa. In particolare si vuole definire quanto l’intervento alternativo al carcere in CT possa essere una effettiva opportunità di riabilitazione sociale oppure una drammatica mistificazione dell’intento terapeutico. La definizione dell’una o dell’altra eventualità dipende dall’orizzonte simbolico, sostanzialmente definito dalla legge, in cui la società inscrive l’intervento. Poiché il tossicodipendente è colui che subisce una destituzione dal legame fiduciario sociale, riteniamo che qualsiasi distorsione dell’azione terapeutica nei suoi confronti non sia altro che una collusione con le condizioni grazie alla quali la tossicodipendenza persiste. Poiché riteniamo che la cultura psicologica sia tenuta a denunciare ogni operazione sociale che invalidi i suoi presupposti di intervento, questo articolo si pone come una dissimulazione delle attuali volontà di inasprimento delle politiche proibizioniste che intendano restaurare forme ormai storicamente superate di gestione repressiva della psicoterapia.

I RISCHI DEL PROIBIZIONISMO NELLA PROPOSTA DI REVISIONE DEL DPR 390/90. L'IMPORTANZA DELLA CURA COME PROGETO TRA DIGNITA' E FIDUCIA

TESTONI, INES;
2004

Abstract

Il presente contributo discute della contraddizione relative al trattamento della tossicodipendenza in comunità terapeutica [CT], tra la sua gestione nell’ottica dell’inasprimento della punibilità voluto dalle recenti volontà politiche di revisione del DPR 390/90 (proposta del 13.11.2003) e l’intenzione terapeutica. In particolare si considera la questione inerente al fondamento del contratto psico-terapeutico e la dialettica fiducia/sfiducia. Il perno della trattazione si erige sul concetto di “progettualità” e indica alcuni risultati di una ricerca sul campo, compiuta su tossicodipendenti IUDs, afferenti a CT del Sud Italia (un gruppo in alternativa al carcere e un gruppo senza pendenze giudiziarie), le cui risposte, rilevate con intervista semistrutturata, sono state sottoposte ad analisi del contenuto qualitativo-quantitativa. In particolare si vuole definire quanto l’intervento alternativo al carcere in CT possa essere una effettiva opportunità di riabilitazione sociale oppure una drammatica mistificazione dell’intento terapeutico. La definizione dell’una o dell’altra eventualità dipende dall’orizzonte simbolico, sostanzialmente definito dalla legge, in cui la società inscrive l’intervento. Poiché il tossicodipendente è colui che subisce una destituzione dal legame fiduciario sociale, riteniamo che qualsiasi distorsione dell’azione terapeutica nei suoi confronti non sia altro che una collusione con le condizioni grazie alla quali la tossicodipendenza persiste. Poiché riteniamo che la cultura psicologica sia tenuta a denunciare ogni operazione sociale che invalidi i suoi presupposti di intervento, questo articolo si pone come una dissimulazione delle attuali volontà di inasprimento delle politiche proibizioniste che intendano restaurare forme ormai storicamente superate di gestione repressiva della psicoterapia.
2004
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