Il testo, che introduce una raccolta di saggi curata dall’autore sui movimenti del 1968 in Italia ed in Europa, intende fornire un quadro generale interpretativo entro cui collocare l’“anno dei movimenti”, partendo dalla questione: come mai “scoppia” il ’68 in occidente, proprio nel corso di un periodo di crescita economica e di diffusione del benessere senza precedenti? Dopo una ricognizione delle principali interpretazioni sul 1968, il saggio, prendendo in considerazione i principali Paesi del mondo a capitalismo avanzato (Stati Uniti, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia), intende mostrare come il ’68 sia stato caratterizzato da una forte una dimensione operaia, spesso misconosciuta, altrettanto importante di quella studentesca e forse più significativa per quanto riguarda gli esiti. La conflittualità nelle relazioni industriali, dopo aver conosciuto in alcuni Paesi un’impennata all’inizio degli anni Sessanta ed essere ritornata a bassi livelli subito dopo, ricominciò a crescere nella seconda metà del decennio (in questo senso la mobilitazione operaia precedette quella studentesca) ed esplose più o meno, con differenze tra i diversi casi nazionali, in contemporanea con quella studentesca. In questa prospettiva il ’68 segna il momento in cui vengono prepotentemente alla ribalta le contraddizioni e i limiti di quella che è stata definita “età dell’oro” del capitalismo occidentale. L’ondata di conflittualità che attraversò i luoghi di lavoro tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta rappresentò il tentativo di riequilibrare i rapporti capitale-lavoro in un contesto che vedeva sgretolarsi i termini del patto sociale postbellico e nel quale era diventato difficile accettare le limitazioni e i sacrifici imposti dalle esigenze della ricostruzione e della crescita, quando questa crescita sembrava assumere le sembianze di una prospettiva incerta e comunque non premiante per i lavoratori. Movimento studentesco e movimento operaio non procedettero separati. Il tratto che li accomunò, e che rappresentò la radice più profonda delle proteste sessantottesche, fu la contestazione dell’autoritarismo, nelle università, nelle scuole e nelle fabbriche. In definitiva il tema dell’antiautoritarismo fornisce una chiave di lettura unitaria per rivolte studentesche e proteste operaie e per questa via consente di collocare il ’68 entro coordinate storiche definite, la crisi dell’età dell’oro. In questo senso si può dire che il ’68, le cui lotte sociali accelerarono, senza volerlo, un processo di “migrazione” dell’industria verso la semi-periferia del sistema economico mondiale e di spostamento di ingenti masse di denaro verso impieghi speculativi, fu il catalizzatore della fine del fordismo-taylorismo (che in realtà, più che scomparire, si spostò fuori dalle sue aree di origine) e della nascita di quella che oggi si definisce globalizzazione.

Il '68 e la crisi dell'età dell'oro

PETRINI, FRANCESCO
2007

Abstract

Il testo, che introduce una raccolta di saggi curata dall’autore sui movimenti del 1968 in Italia ed in Europa, intende fornire un quadro generale interpretativo entro cui collocare l’“anno dei movimenti”, partendo dalla questione: come mai “scoppia” il ’68 in occidente, proprio nel corso di un periodo di crescita economica e di diffusione del benessere senza precedenti? Dopo una ricognizione delle principali interpretazioni sul 1968, il saggio, prendendo in considerazione i principali Paesi del mondo a capitalismo avanzato (Stati Uniti, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia), intende mostrare come il ’68 sia stato caratterizzato da una forte una dimensione operaia, spesso misconosciuta, altrettanto importante di quella studentesca e forse più significativa per quanto riguarda gli esiti. La conflittualità nelle relazioni industriali, dopo aver conosciuto in alcuni Paesi un’impennata all’inizio degli anni Sessanta ed essere ritornata a bassi livelli subito dopo, ricominciò a crescere nella seconda metà del decennio (in questo senso la mobilitazione operaia precedette quella studentesca) ed esplose più o meno, con differenze tra i diversi casi nazionali, in contemporanea con quella studentesca. In questa prospettiva il ’68 segna il momento in cui vengono prepotentemente alla ribalta le contraddizioni e i limiti di quella che è stata definita “età dell’oro” del capitalismo occidentale. L’ondata di conflittualità che attraversò i luoghi di lavoro tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta rappresentò il tentativo di riequilibrare i rapporti capitale-lavoro in un contesto che vedeva sgretolarsi i termini del patto sociale postbellico e nel quale era diventato difficile accettare le limitazioni e i sacrifici imposti dalle esigenze della ricostruzione e della crescita, quando questa crescita sembrava assumere le sembianze di una prospettiva incerta e comunque non premiante per i lavoratori. Movimento studentesco e movimento operaio non procedettero separati. Il tratto che li accomunò, e che rappresentò la radice più profonda delle proteste sessantottesche, fu la contestazione dell’autoritarismo, nelle università, nelle scuole e nelle fabbriche. In definitiva il tema dell’antiautoritarismo fornisce una chiave di lettura unitaria per rivolte studentesche e proteste operaie e per questa via consente di collocare il ’68 entro coordinate storiche definite, la crisi dell’età dell’oro. In questo senso si può dire che il ’68, le cui lotte sociali accelerarono, senza volerlo, un processo di “migrazione” dell’industria verso la semi-periferia del sistema economico mondiale e di spostamento di ingenti masse di denaro verso impieghi speculativi, fu il catalizzatore della fine del fordismo-taylorismo (che in realtà, più che scomparire, si spostò fuori dalle sue aree di origine) e della nascita di quella che oggi si definisce globalizzazione.
2007
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