Il lavoro prende spunto dalla sentenza n. 370 del 2006, mediante la quale la Corte costituzionale respinge le censure avanzate nei confronti della legge della Provincia autonoma di Trento istitutiva del consiglio delle autonomie locali, basate sull’assunto che tale organo, costituzionalmente necessario, si sarebbe dovuto disciplinare con «fonte statutaria e non con fonte legislativa ordinaria», calcando quanto stabilito dall’art. 123 Cost. per le regioni ordinarie. Ma il tema generale esaminato è quello dei limiti entro cui la riforma del regionalismo operata con la l. cost. 3/2001 si applica alle autonomie differenziate, sostituendo i corrispondenti disposti degli statuti speciali. Lo scritto condivide sia l’affermazione che gli enti destinatari della clausola di maggiore autonomia di cui all’art. 10 l. cost. 3/2001 siano le sole regioni e provincie autonome e non gli enti locali minori, sia l’opinione per cui la potestà statutaria di cui all’art. 123 Cost. non si presta ad un giudizio di comparazione, in termini di maggiore o minore autonomia, con la potestà che si esplica nella c.d. legge statutaria, prevista per quasi tutte le regioni speciali e per le province autonome; esso suggerisce peraltro una via per fare in modo che gli enti locali radicati nel territorio delle regioni speciali non rimangano del tutto estranei alla valorizzazione che la riforma costituzionale ha operato per i corrispondenti enti delle regioni di diritto comune. Allargando il campo di osservazione, lo scritto critica l’idea che la adozione della c.d. legge statutaria sia per le autonomie speciali solo facoltativa; la doverosità di tale fonte è sostenuta sulla base di una molteplicità di argomenti, attinenti tanto alla funzionalità della forma di governo di quelle realtà, quanto alla garanzia dei diritti di partecipazione che gli statuti speciali attribuiscono alla porzione di popolo stanziata sul territorio. Il lavoro esamina infine due questioni, risolvendole entrambe in senso positivo: la prima, se le c.d. leggi statutarie siano competenti (per quanto non vi siano tenute) ad istituire e regolare i consigli delle autonomie locali, con ricadute di rilievo circa la garanzia e la giustiziabilità delle norme che definiscono il ruolo dei consigli stessi, particolarmente nei casi in cui essi intervengono nel procedimento legislativo regionale/provinciale; la seconda, se - nei casi in cui gli statuti nulla dispongano - ai consigli delle autonomie possa essere attribuito il diritto di iniziativa legislativa (possibilità negata dal governo). Le tesi sostenute risultano riflesse nella l. prov. Bolzano 8 febbraio 2010, n. 4, di “Istituzione e disciplina del Consiglio dei Comuni”.

I consigli delle autonomie locali nelle Regioni e Province speciali: la questione della fonte competente

AMBROSI, ANDREA
2007

Abstract

Il lavoro prende spunto dalla sentenza n. 370 del 2006, mediante la quale la Corte costituzionale respinge le censure avanzate nei confronti della legge della Provincia autonoma di Trento istitutiva del consiglio delle autonomie locali, basate sull’assunto che tale organo, costituzionalmente necessario, si sarebbe dovuto disciplinare con «fonte statutaria e non con fonte legislativa ordinaria», calcando quanto stabilito dall’art. 123 Cost. per le regioni ordinarie. Ma il tema generale esaminato è quello dei limiti entro cui la riforma del regionalismo operata con la l. cost. 3/2001 si applica alle autonomie differenziate, sostituendo i corrispondenti disposti degli statuti speciali. Lo scritto condivide sia l’affermazione che gli enti destinatari della clausola di maggiore autonomia di cui all’art. 10 l. cost. 3/2001 siano le sole regioni e provincie autonome e non gli enti locali minori, sia l’opinione per cui la potestà statutaria di cui all’art. 123 Cost. non si presta ad un giudizio di comparazione, in termini di maggiore o minore autonomia, con la potestà che si esplica nella c.d. legge statutaria, prevista per quasi tutte le regioni speciali e per le province autonome; esso suggerisce peraltro una via per fare in modo che gli enti locali radicati nel territorio delle regioni speciali non rimangano del tutto estranei alla valorizzazione che la riforma costituzionale ha operato per i corrispondenti enti delle regioni di diritto comune. Allargando il campo di osservazione, lo scritto critica l’idea che la adozione della c.d. legge statutaria sia per le autonomie speciali solo facoltativa; la doverosità di tale fonte è sostenuta sulla base di una molteplicità di argomenti, attinenti tanto alla funzionalità della forma di governo di quelle realtà, quanto alla garanzia dei diritti di partecipazione che gli statuti speciali attribuiscono alla porzione di popolo stanziata sul territorio. Il lavoro esamina infine due questioni, risolvendole entrambe in senso positivo: la prima, se le c.d. leggi statutarie siano competenti (per quanto non vi siano tenute) ad istituire e regolare i consigli delle autonomie locali, con ricadute di rilievo circa la garanzia e la giustiziabilità delle norme che definiscono il ruolo dei consigli stessi, particolarmente nei casi in cui essi intervengono nel procedimento legislativo regionale/provinciale; la seconda, se - nei casi in cui gli statuti nulla dispongano - ai consigli delle autonomie possa essere attribuito il diritto di iniziativa legislativa (possibilità negata dal governo). Le tesi sostenute risultano riflesse nella l. prov. Bolzano 8 febbraio 2010, n. 4, di “Istituzione e disciplina del Consiglio dei Comuni”.
2007
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