Lo scritto riassume le tormentate vicende dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, dapprima ammessa in via pretoria dal giudice amministrativo, poi bandita dal legislatore nel 2004, con il varo del codice dei beni culturali e del paesaggio, e, quindi, nuovamente consentita, ma entro limiti assai ristretti, dalla novella del 2006. Scartata l’idea, pure accolta da autorevole giurisprudenza, che l’abolizione dell’istituto fosse legata al passaggio dal regime autorizzatorio ad esaurimento, disciplinato dall’art. 159, al nuovo regime previsto dall’art. 146 del codice, l’autore ne afferma l’immediata applicabilità e indica nondimeno le ragioni per le quali un generalizzato divieto di sanatoria appare insoddisfacente: tra tutte, egli vede in particolare l’irragionevolezza di ordinare la distruzione di opere e beni ritenuti compatibili con il paesaggio e certamente autorizzabili e ricostruibili una volta demoliti. Comprendendo che i motivi per i quali il legislatore si è alfine risolto a vietare in via generalizzata il rilascio postumo dell’autorizzazione risiedono nel timore che gli enti locali, a cui la funzione autorizzatoria è sovente delegata dalle regioni, possano risultare piuttosto tolleranti e ben disposti nei confronti dei propri cittadini che non si siano premurati di chiedere in anticipo il rilascio della necessaria autorizzazione, l’autore suggerisce di valorizzare il ruolo di controllo preventivo delle soprintendenze, di distinguere il piano della responsabilità penale del trasgressore da quello della sanabilità dell’opera ritenuta compatibile con i valori paesaggistici tutelati e di individuare criteri oggettivi di quantificazione delle sanzioni pecuniarie alternative al ripristino.

Osservazioni critiche in merito al divieto di rilasciare l'autorizzazione paesaggistica in sanatoria sancito dall'art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio

CALEGARI, ALESSANDRO
2008

Abstract

Lo scritto riassume le tormentate vicende dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, dapprima ammessa in via pretoria dal giudice amministrativo, poi bandita dal legislatore nel 2004, con il varo del codice dei beni culturali e del paesaggio, e, quindi, nuovamente consentita, ma entro limiti assai ristretti, dalla novella del 2006. Scartata l’idea, pure accolta da autorevole giurisprudenza, che l’abolizione dell’istituto fosse legata al passaggio dal regime autorizzatorio ad esaurimento, disciplinato dall’art. 159, al nuovo regime previsto dall’art. 146 del codice, l’autore ne afferma l’immediata applicabilità e indica nondimeno le ragioni per le quali un generalizzato divieto di sanatoria appare insoddisfacente: tra tutte, egli vede in particolare l’irragionevolezza di ordinare la distruzione di opere e beni ritenuti compatibili con il paesaggio e certamente autorizzabili e ricostruibili una volta demoliti. Comprendendo che i motivi per i quali il legislatore si è alfine risolto a vietare in via generalizzata il rilascio postumo dell’autorizzazione risiedono nel timore che gli enti locali, a cui la funzione autorizzatoria è sovente delegata dalle regioni, possano risultare piuttosto tolleranti e ben disposti nei confronti dei propri cittadini che non si siano premurati di chiedere in anticipo il rilascio della necessaria autorizzazione, l’autore suggerisce di valorizzare il ruolo di controllo preventivo delle soprintendenze, di distinguere il piano della responsabilità penale del trasgressore da quello della sanabilità dell’opera ritenuta compatibile con i valori paesaggistici tutelati e di individuare criteri oggettivi di quantificazione delle sanzioni pecuniarie alternative al ripristino.
2008
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