Nell'articolo, l'autore parte dalla considerazione del parere 1/03, reso dalla sessione plenaria della Corte di Giustizia UE il 7 febbraio 2007, relativamente alla competenza a concludere la nuova convenzione di Lugano, e ne verifica criticamente gli assunti teorici e le conseguenze, sia nell'ambito del diritto internazionale privato dell'Unione, sia nell'ambito della più generale definizione delle competenze esterne dell'Unione in relazione a quelle dei suoi Stati membri. L'autore si confronta in particolare con l’affermata globalità del c.d. sistema di Bruxelles in materia di riparto della giurisdizione, per sottolinearne invece il carattere non completo. Ciò in ragione della perdurante libertà degli Stati membri di stabilire l’ambito della propria giurisdizione nei confronti dei soggetti domiciliati nel territorio di uno Stato terzo (sezione II). Anche l’assunto dell’applicabilità del sistema regolamentare alle controversie che non presentino elementi di transnazionalità comunitari è sottoposto a vaglio critico. Ciò consente di confermare la correttezza di tale assunto, pur mettendo in luce alcune sostanziali deficienze dell’approccio ermeneutico seguito sul punto dalla Corte (sezione III). Ciò posto, si passa quindi alla verifica degli ulteriori argomenti valorizzati nel parere e di quelli, invece, a torto trascurati per affermare il rischio d’incidenza del regime convenzionale della giurisdizione su quello posto dalla fonte comunitaria (sezione IV). Infine, l’analisi del parere nella parte in cui affronta la disciplina del riconoscimento delle sentenze (sezione V) consente di riconsiderare lo stato di evoluzione della giurisprudenza relativa al riparto delle competenze esterne da un punto di vista più generale (VI, conclusioni). In esito all'approfondita analisi svolta, l'autore constata anzitutto che, se le conclusioni raggiunte dalla Corte in materia di giurisdizione possono ragionevolmente conciliarsi con l’operare dei criteri dell’incidenza e del pregiudizio al buon funzionamento del sistema, ciò non si può dire, con altrettanta sicurezza, con riferimento alla materia del riconoscimento. Troverebbero allora conferma quelle voci che hanno pronosticato l’abbandono progressivo della giurisprudenza AETS, a favore di un diverso criterio di giudizio, alla cui stregua la competenza esclusiva delle istituzioni comunitarie si dovrebbe estendere anche ai settori normativamente «prossimi» a quelli oggetto di norme comuni. Soprattutto, però, l'autore osserva che l'analisi svolta, più che portare all’emersione certa ed univoca di una nuova regola di giudizio in materia di relazioni esterne, manifesta piuttosto un certo disorientamento della Corte di fronte al sistema del regolamento 44/2001, ed una valutazione imprecisa dei rapporti di questo con il sistema convenzionale, nonché con i sistemi nazionali. Se si accede alla valutazione critica condotta a tale proposito nelle pagine che precedono, appare allora possibile riconsiderare la portata più generale del parere. Il compito che la Corte si è assegnata in tale occasione, in effetti, appare in sé chiaro. Si trattava di difendere la necessaria coerenza del sistema comunitario, così come la Corte dimostrava d’intenderlo: un sistema normativo coerente ed autosufficiente, necessariamente onnicomprensivo, ed indivisibile: principio di per sé condivisibile. Rimane però che, nel caso di specie, la Corte non sembra essersi basata su una corretta valutazione della natura e dell'oggetto delle disposizioni comunitarie in questione. Pertanto, conclude l'autore, il parere 1/03 non andrebbe letto come una rivoluzionaria tappa nell’espansione delle competenze esterne dell'Unione, bensì soltanto la decisione presa da un giudice troppo attento ai principi, e poco al terreno nel quale essi devono mettere radici.

Sui rapporti tra regolamento Bruxelles I, sistemi nazionali e convenzione di Lugano nell'ottica delle relazioni esterne. Considerazioni critiche a margine del parere 1/03 e della recente giurisprudenza comunitaria

CORTESE, BERNARDO
2008

Abstract

Nell'articolo, l'autore parte dalla considerazione del parere 1/03, reso dalla sessione plenaria della Corte di Giustizia UE il 7 febbraio 2007, relativamente alla competenza a concludere la nuova convenzione di Lugano, e ne verifica criticamente gli assunti teorici e le conseguenze, sia nell'ambito del diritto internazionale privato dell'Unione, sia nell'ambito della più generale definizione delle competenze esterne dell'Unione in relazione a quelle dei suoi Stati membri. L'autore si confronta in particolare con l’affermata globalità del c.d. sistema di Bruxelles in materia di riparto della giurisdizione, per sottolinearne invece il carattere non completo. Ciò in ragione della perdurante libertà degli Stati membri di stabilire l’ambito della propria giurisdizione nei confronti dei soggetti domiciliati nel territorio di uno Stato terzo (sezione II). Anche l’assunto dell’applicabilità del sistema regolamentare alle controversie che non presentino elementi di transnazionalità comunitari è sottoposto a vaglio critico. Ciò consente di confermare la correttezza di tale assunto, pur mettendo in luce alcune sostanziali deficienze dell’approccio ermeneutico seguito sul punto dalla Corte (sezione III). Ciò posto, si passa quindi alla verifica degli ulteriori argomenti valorizzati nel parere e di quelli, invece, a torto trascurati per affermare il rischio d’incidenza del regime convenzionale della giurisdizione su quello posto dalla fonte comunitaria (sezione IV). Infine, l’analisi del parere nella parte in cui affronta la disciplina del riconoscimento delle sentenze (sezione V) consente di riconsiderare lo stato di evoluzione della giurisprudenza relativa al riparto delle competenze esterne da un punto di vista più generale (VI, conclusioni). In esito all'approfondita analisi svolta, l'autore constata anzitutto che, se le conclusioni raggiunte dalla Corte in materia di giurisdizione possono ragionevolmente conciliarsi con l’operare dei criteri dell’incidenza e del pregiudizio al buon funzionamento del sistema, ciò non si può dire, con altrettanta sicurezza, con riferimento alla materia del riconoscimento. Troverebbero allora conferma quelle voci che hanno pronosticato l’abbandono progressivo della giurisprudenza AETS, a favore di un diverso criterio di giudizio, alla cui stregua la competenza esclusiva delle istituzioni comunitarie si dovrebbe estendere anche ai settori normativamente «prossimi» a quelli oggetto di norme comuni. Soprattutto, però, l'autore osserva che l'analisi svolta, più che portare all’emersione certa ed univoca di una nuova regola di giudizio in materia di relazioni esterne, manifesta piuttosto un certo disorientamento della Corte di fronte al sistema del regolamento 44/2001, ed una valutazione imprecisa dei rapporti di questo con il sistema convenzionale, nonché con i sistemi nazionali. Se si accede alla valutazione critica condotta a tale proposito nelle pagine che precedono, appare allora possibile riconsiderare la portata più generale del parere. Il compito che la Corte si è assegnata in tale occasione, in effetti, appare in sé chiaro. Si trattava di difendere la necessaria coerenza del sistema comunitario, così come la Corte dimostrava d’intenderlo: un sistema normativo coerente ed autosufficiente, necessariamente onnicomprensivo, ed indivisibile: principio di per sé condivisibile. Rimane però che, nel caso di specie, la Corte non sembra essersi basata su una corretta valutazione della natura e dell'oggetto delle disposizioni comunitarie in questione. Pertanto, conclude l'autore, il parere 1/03 non andrebbe letto come una rivoluzionaria tappa nell’espansione delle competenze esterne dell'Unione, bensì soltanto la decisione presa da un giudice troppo attento ai principi, e poco al terreno nel quale essi devono mettere radici.
2008
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