Lo scritto si configura come una riflessione sulla filosofia, con particolare attenzione al tema della politica. Alla base dello scritto c’è che la consapevolezza che gli orientamenti del pensiero filosofico italiani si divaricano in due direzioni che non riescono a convergere (se non al costo di banalizzare l’una direzione rispetto all’altra): chi apprezza l’illuminismo non apprezza o non sa interpretare Vico e viceversa. Io appartengo alla prima corrente in quanto pongo Vico al centro della mia riflessione su democrazia, federalismo e sulla politica. La chiave di lettura di Vico che viene qui offerta è basata sul presupposto che quattro sono gli elementi di rottura, o salti di qualità, nella riflessione filosofica di Vico: 1) la settima orazione (De Ratione) rappresenta la prima rottura rispetto alle sei Orazioni Inaugurali precedenti; 2) il De Antiquissima rappresenta una ulteriore rottura o salto di qualità in quanto Vico decide di dotarsi di una sua metafisica (queste prime sue opere sono comunque fondamentali per capire le grandi opere successive in quanto denudano il problema iniziale posto da Vico: la querelles des anciens et des modernes e il problema della conoscenza matematica); 3) lo studio sistematico del pensiero di Grozio, prima di attendere alla stesura del De Uno che è uno sviluppo conseguente alla lettura di Grozio; 4) la Scienza Nuova, come già dice il titolo, esprime insieme la consapevolezza di avere aperto una strada nuova e la scelta di ignorare del tutto la cultura politica dei suoi contemporanei per rivolgersi direttamente al passato e ai classici. Il resto è un tentativo di argomentare i punti di contatto tra Vico e Hobbes, ma anche le divergenze radicali, l’anticipazione che Vico fa di alcuni temi del pragmatismo americano, il reale significato, con riferimento all’empirismo, di verum e certum, e del verum ipsum factum. Il lavoro di uno studioso che ha una rete di relazioni sul territorio nazionale e partecipa a reti di relazione internazionali, consiste, nella maggior parte dei casi, nel preparare lavori di occasione con cui intervenire (su richieste specifiche) a questo o a quel convegno al quale viene invitato. Sono stato più volte sollecitato a scrivere un saggio sistematico su Vico e solo per un insieme di fortuite circostanze mi sono deciso a mettere per iscritto la mia lettura di quersti filosofo che cito, dal 1994, in quasi tutti i miei scritti. Dopo 22 anni dai miei primi studi sistematici su Vico; dopo aver riportato in varie opere interpretazioni parziali dell’opera di Vico; dopo essere stato cooptato nel Comitato Scientifico della Fondazione Augusto Del Noce e nel Comitato Direttivo della Fondazione Capograssi per queste interpretazioni parziali di Vico; dopo avere più volte promesso, senza mai riuscire a mantenere, al prof. Francesco Mercadante, Presidente della Fondazione Capograssi, fondazione proprietaria della testata della Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto, uno scritto interpretativo dell’intera opera di Vico; infine, dopo aver trovato in libreria un volume su Vico pubblicato, su una importante collana di filosofia, da docenti dell’Università San Raffaele di Milano (tra cui Massimo Cacciari) che presentavano una interpretazione da me non condivisa dell’opera di Vico diventa irrefrenabile l'esigenza di una recensione che, nel giro di poche settimane, si sviluppa come un saggio di 35 pagine. Ovviamente, il saggio viene immediatamente accettato e pubblicato dalla RIFD. Non contiene niente di nuovo rispetto a quello che ho scritto nei 14 anni precedenti (è del 1994 la mia pubblicazione, in volume, de La questione federalista. Zanardelli, Cattaneo e i cattolici bresciani, Torino, UTET, che contiene i risultati di una ricerca su cui ho lavorato per dieci anni e in cui sono state inserite poche pagine sull’interpretazione di Vico da parte della scuola di Giandomenico Romagnosi). Né contiene niente di meno di quello che ho continuato a scrivere negli anni successivi. È stato un segnale della raggiunta maturità di riuscire ad affrontare un tema squisitamente filsoofico. Il saggio è utile per illustrare, ai lettori, nel modo più esteso che mi è possibile, la chiave di lettura che offro nei miei saggi sia sulla democrazia, sia sul federalismo, sia sul tema dell’antipolitica. Vico non è l’unico dei “miei maggiori”, ma è certamente quello che utilizzo come chiave per la lettura degli altri (Machiavelli, Rosmini, Trentin, Elazar, Dahl, Wildavsky, Lindblom, etc.). In questo scritto, Vico viene descritto come un autore che gradatamente approda all’antipolitica, per colpa della inadeguatezza di quella categoria di “togati” che sono all’origine di tante sue sofferenze e che sono, insieme, classe dirigente politica e intellettuale.

Continuità  e discontinuità  nel pensiero di Vico

GANGEMI, GIUSEPPE
2008

Abstract

Lo scritto si configura come una riflessione sulla filosofia, con particolare attenzione al tema della politica. Alla base dello scritto c’è che la consapevolezza che gli orientamenti del pensiero filosofico italiani si divaricano in due direzioni che non riescono a convergere (se non al costo di banalizzare l’una direzione rispetto all’altra): chi apprezza l’illuminismo non apprezza o non sa interpretare Vico e viceversa. Io appartengo alla prima corrente in quanto pongo Vico al centro della mia riflessione su democrazia, federalismo e sulla politica. La chiave di lettura di Vico che viene qui offerta è basata sul presupposto che quattro sono gli elementi di rottura, o salti di qualità, nella riflessione filosofica di Vico: 1) la settima orazione (De Ratione) rappresenta la prima rottura rispetto alle sei Orazioni Inaugurali precedenti; 2) il De Antiquissima rappresenta una ulteriore rottura o salto di qualità in quanto Vico decide di dotarsi di una sua metafisica (queste prime sue opere sono comunque fondamentali per capire le grandi opere successive in quanto denudano il problema iniziale posto da Vico: la querelles des anciens et des modernes e il problema della conoscenza matematica); 3) lo studio sistematico del pensiero di Grozio, prima di attendere alla stesura del De Uno che è uno sviluppo conseguente alla lettura di Grozio; 4) la Scienza Nuova, come già dice il titolo, esprime insieme la consapevolezza di avere aperto una strada nuova e la scelta di ignorare del tutto la cultura politica dei suoi contemporanei per rivolgersi direttamente al passato e ai classici. Il resto è un tentativo di argomentare i punti di contatto tra Vico e Hobbes, ma anche le divergenze radicali, l’anticipazione che Vico fa di alcuni temi del pragmatismo americano, il reale significato, con riferimento all’empirismo, di verum e certum, e del verum ipsum factum. Il lavoro di uno studioso che ha una rete di relazioni sul territorio nazionale e partecipa a reti di relazione internazionali, consiste, nella maggior parte dei casi, nel preparare lavori di occasione con cui intervenire (su richieste specifiche) a questo o a quel convegno al quale viene invitato. Sono stato più volte sollecitato a scrivere un saggio sistematico su Vico e solo per un insieme di fortuite circostanze mi sono deciso a mettere per iscritto la mia lettura di quersti filosofo che cito, dal 1994, in quasi tutti i miei scritti. Dopo 22 anni dai miei primi studi sistematici su Vico; dopo aver riportato in varie opere interpretazioni parziali dell’opera di Vico; dopo essere stato cooptato nel Comitato Scientifico della Fondazione Augusto Del Noce e nel Comitato Direttivo della Fondazione Capograssi per queste interpretazioni parziali di Vico; dopo avere più volte promesso, senza mai riuscire a mantenere, al prof. Francesco Mercadante, Presidente della Fondazione Capograssi, fondazione proprietaria della testata della Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto, uno scritto interpretativo dell’intera opera di Vico; infine, dopo aver trovato in libreria un volume su Vico pubblicato, su una importante collana di filosofia, da docenti dell’Università San Raffaele di Milano (tra cui Massimo Cacciari) che presentavano una interpretazione da me non condivisa dell’opera di Vico diventa irrefrenabile l'esigenza di una recensione che, nel giro di poche settimane, si sviluppa come un saggio di 35 pagine. Ovviamente, il saggio viene immediatamente accettato e pubblicato dalla RIFD. Non contiene niente di nuovo rispetto a quello che ho scritto nei 14 anni precedenti (è del 1994 la mia pubblicazione, in volume, de La questione federalista. Zanardelli, Cattaneo e i cattolici bresciani, Torino, UTET, che contiene i risultati di una ricerca su cui ho lavorato per dieci anni e in cui sono state inserite poche pagine sull’interpretazione di Vico da parte della scuola di Giandomenico Romagnosi). Né contiene niente di meno di quello che ho continuato a scrivere negli anni successivi. È stato un segnale della raggiunta maturità di riuscire ad affrontare un tema squisitamente filsoofico. Il saggio è utile per illustrare, ai lettori, nel modo più esteso che mi è possibile, la chiave di lettura che offro nei miei saggi sia sulla democrazia, sia sul federalismo, sia sul tema dell’antipolitica. Vico non è l’unico dei “miei maggiori”, ma è certamente quello che utilizzo come chiave per la lettura degli altri (Machiavelli, Rosmini, Trentin, Elazar, Dahl, Wildavsky, Lindblom, etc.). In questo scritto, Vico viene descritto come un autore che gradatamente approda all’antipolitica, per colpa della inadeguatezza di quella categoria di “togati” che sono all’origine di tante sue sofferenze e che sono, insieme, classe dirigente politica e intellettuale.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/2266802
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