Il lavoro, considerando anche le esperienze austriaca, tedesca, francese e spagnola, riflette sulla compatibilità con la libertà di pensiero di norme che reprimono espressioni di idee razziste e xenofobe, indipendentemente dal prodursi di un risultato, anche di solo pericolo, apprezzabile in modo obiettivo: disposizione esemplare è l’art. 3, lett. a, l. 654/1975, modificata con l. 85/2006, che punisce chi “propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico”; disposizione esemplare, ma non unica, rientrando essa in un insieme già numeroso, che mostra la tendenza ad ampliarsi, soprattutto con la punizione di vari negazionismi. L’analisi porta ad escludere che tali norme siano giustificate da limiti interni alla libertà di pensiero, o dal divieto costituzionale di ricostituzione del partito fascista, come pure dal principio costituzionale di eguaglianza, nei suoi vari significati; il richiamo alla tutela della dignità umana - spesso operato a sostegno della incriminazione delle manifestazioni di pensiero - è vagliato criticamente, mettendo in dubbio la frequente contrapposizione tra diritti di libertà e dignità dell’uomo. Nemmeno la Convenzione di New York del 1965 contro le discriminazioni razziali e la CEDU sono ritenute decisive per superare i dubbi di costituzionalità. Il saggio dà conto anche del progetto di decisione quadro europea sfociato nella Decisione quadro 2008/913/GAI “sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale”, analizzandone i possibili riflessi sull’ordinamento nazionale. In chiusura si prospetta la tesi che le norme sulla punizione del mero pensiero razzista valgano a distogliere l’attenzione dalle discriminazioni che, anche per effetto di regole e prassi pubbliche, varie categorie di soggetti subiscono nel godimento concreto di diritti civili e sociali.

Libertà di pensiero e manifestazione di opinioni razziste e xenofobe

AMBROSI, ANDREA
2008

Abstract

Il lavoro, considerando anche le esperienze austriaca, tedesca, francese e spagnola, riflette sulla compatibilità con la libertà di pensiero di norme che reprimono espressioni di idee razziste e xenofobe, indipendentemente dal prodursi di un risultato, anche di solo pericolo, apprezzabile in modo obiettivo: disposizione esemplare è l’art. 3, lett. a, l. 654/1975, modificata con l. 85/2006, che punisce chi “propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico”; disposizione esemplare, ma non unica, rientrando essa in un insieme già numeroso, che mostra la tendenza ad ampliarsi, soprattutto con la punizione di vari negazionismi. L’analisi porta ad escludere che tali norme siano giustificate da limiti interni alla libertà di pensiero, o dal divieto costituzionale di ricostituzione del partito fascista, come pure dal principio costituzionale di eguaglianza, nei suoi vari significati; il richiamo alla tutela della dignità umana - spesso operato a sostegno della incriminazione delle manifestazioni di pensiero - è vagliato criticamente, mettendo in dubbio la frequente contrapposizione tra diritti di libertà e dignità dell’uomo. Nemmeno la Convenzione di New York del 1965 contro le discriminazioni razziali e la CEDU sono ritenute decisive per superare i dubbi di costituzionalità. Il saggio dà conto anche del progetto di decisione quadro europea sfociato nella Decisione quadro 2008/913/GAI “sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale”, analizzandone i possibili riflessi sull’ordinamento nazionale. In chiusura si prospetta la tesi che le norme sulla punizione del mero pensiero razzista valgano a distogliere l’attenzione dalle discriminazioni che, anche per effetto di regole e prassi pubbliche, varie categorie di soggetti subiscono nel godimento concreto di diritti civili e sociali.
2008
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/2267301
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