Le vicende Welby ed Englaro vengono osservate muovendo dall’esame di due decisioni giudiziarie, la sentenza pronunziata dal G.u.p. di Roma nella vicenda Welby e la sentenza della Cassazione che ha aperto la strada all’epilogo della vicenda Englaro. Tali sentenze fanno interamente propria l’idea, condivisa, che non sussista alcun criterio razionale di demarcazione del trattamento terapeutico dal sostegno vitale, oltre che l’idea, contestata, che l’art. 32 Cost. consacri il dogma dell’autodeterminazione volontaristica in materia di trattamento terapeutico, che si esprime nel diritto soggettivo perfetto del paziente a pretendere dal medico la prestazione sanitaria invocata o rifiutata, cui corrisponde il dovere giuridico del medico di consentirne l’attuazione. Su tale terreno di ricostruzione giuridica, peraltro, viene denunziato il limite giuridico ed epistemologico della sentenza della Cassazione civile sulla vicenda Englaro, la quale ha inteso colmare la fisiologica assenza di una manifestazione di volontà attuale e giuridicamente rilevante nel senso del rifiuto del trattamento di sostegno alimentare e idrico in capo alla paziente, che versava in stato vegetativo persistente, con una inaccettabile ricostruzione induttiva di una supposta volontà presunta, a partire da una valorizzazione generale dei precedenti desideri e dichiarazioni dell’interessato. Tale chiarissima forzatura giuridica appare suggestiva del bisogno di una legislazione sul testamento biologico, sulla cui efficacia risolutiva delle vicende controverse, peraltro, si nutre più di qualche dubbio.

Una breve disamina dei casi Welby e Englaro

BERARDI, ALBERTO
2009

Abstract

Le vicende Welby ed Englaro vengono osservate muovendo dall’esame di due decisioni giudiziarie, la sentenza pronunziata dal G.u.p. di Roma nella vicenda Welby e la sentenza della Cassazione che ha aperto la strada all’epilogo della vicenda Englaro. Tali sentenze fanno interamente propria l’idea, condivisa, che non sussista alcun criterio razionale di demarcazione del trattamento terapeutico dal sostegno vitale, oltre che l’idea, contestata, che l’art. 32 Cost. consacri il dogma dell’autodeterminazione volontaristica in materia di trattamento terapeutico, che si esprime nel diritto soggettivo perfetto del paziente a pretendere dal medico la prestazione sanitaria invocata o rifiutata, cui corrisponde il dovere giuridico del medico di consentirne l’attuazione. Su tale terreno di ricostruzione giuridica, peraltro, viene denunziato il limite giuridico ed epistemologico della sentenza della Cassazione civile sulla vicenda Englaro, la quale ha inteso colmare la fisiologica assenza di una manifestazione di volontà attuale e giuridicamente rilevante nel senso del rifiuto del trattamento di sostegno alimentare e idrico in capo alla paziente, che versava in stato vegetativo persistente, con una inaccettabile ricostruzione induttiva di una supposta volontà presunta, a partire da una valorizzazione generale dei precedenti desideri e dichiarazioni dell’interessato. Tale chiarissima forzatura giuridica appare suggestiva del bisogno di una legislazione sul testamento biologico, sulla cui efficacia risolutiva delle vicende controverse, peraltro, si nutre più di qualche dubbio.
2009
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