Attorno alla bancarotta preferenziale si snoda una delle questioni più delicate del diritto penale fallimentare: quella concernente la regolamentazione del rapporto fra i casi in cui in capo all’imprenditore commerciale sussista l’obbligo di eseguire un pagamento, da un lato, e il divieto nascente dall’art. 216, III co., R.D. n. 267/1942, dall’altro, che vieta di eseguire pagamenti a favore di un creditore e, correlativamente, a danno degli altri. La bancarotta preferenziale è contraddistinta, a livello strutturale, da una scarsa connotazione degli elementi di fattispecie che rende non facile, tramite l’esegesi del dato testuale, l’individuazione del significato più pertinente da attribuire alla disposizione. Invero, essa eleva a reato comportamenti (si pensi all’esecuzione di pagamenti) che di per sé dovrebbero considerarsi non solo leciti ma altresì dovuti, rappresentando il puntuale adempimento di un obbligo. Il discrimen tra lecito e illecito è dato dallo scopo, esplicitamente richiesto dalla norma, “di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi”: è il dolo specifico a fare la differenza. L’esilità dei profili strutturali della bancarotta preferenziale, che non rappresentano oggetto di approfondimento nella pubblicazione in questione, ha sempre comportato la necessità di rapportarsi all’istituto dell’azione revocatoria fallimentare, allocato all’art. 67 L.F. Tradizionalmente, si è ravvisata continuità di presupposti tra la situazione considerata dall’art. 67 e quella in cui è eretto il divieto dell’art. 216 III co., da ascriversi alla coeva creazione del rimedio civilistico e del presidio penalistico, onde il secondo era conformato in modo compatibile e, spesso, complementare al primo: compatibile perché la revoca o la revocabilità di un pagamento non esclude affatto la configurabilità del delitto di bancarotta preferenziale; complementare poiché l’originaria fisionomia dell’azione revocatoria di cui all’art. 67 permetteva di intravedere i tratti oggettivi della previsione penale che, per assurgere a giuridica rilevanza, seleziona quindi le condotte per il tramite dell’elemento soggettivo. Tale relazione, tuttavia, sembra essersi assai stemperata, se non addirittura interrotta, per opera della riforma attuata dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito nella legge 14 maggio 2005, n. 80, la quale, nell’ampio contesto della riscrittura delle procedure concorsuali, ha inciso profondamente sulla disciplina dell’azione revocatoria fallimentare, comprimendone in misura rilevante la sfera di prensione. Prima della riforma, l’art. 67 consentiva di individuare i pagamenti che mettevano oggettivamente in pericolo la soddisfazione paritaria della massa creditoria; oggi, invece, è molto problematico tracciare siffatto collegamento. In mancanza di una ristrutturazione che abbia correlativamente investito anche l’elemento oggettivo del delitto di cui all’art. 216 III co., è quindi indispensabile soppesare - e in tal senso muove la pubblicazione - gli effetti che la riforma del 2005 ha comportato sul finitimo versante penale, cercando di saggiare l’ambito applicativo riservato alla bancarotta preferenziale.

La bancarotta preferenziale dopo la riforma dell'azione revocatoria fallimentare: riflessi problematici.

ZAMBUSI, ANGELO
2009

Abstract

Attorno alla bancarotta preferenziale si snoda una delle questioni più delicate del diritto penale fallimentare: quella concernente la regolamentazione del rapporto fra i casi in cui in capo all’imprenditore commerciale sussista l’obbligo di eseguire un pagamento, da un lato, e il divieto nascente dall’art. 216, III co., R.D. n. 267/1942, dall’altro, che vieta di eseguire pagamenti a favore di un creditore e, correlativamente, a danno degli altri. La bancarotta preferenziale è contraddistinta, a livello strutturale, da una scarsa connotazione degli elementi di fattispecie che rende non facile, tramite l’esegesi del dato testuale, l’individuazione del significato più pertinente da attribuire alla disposizione. Invero, essa eleva a reato comportamenti (si pensi all’esecuzione di pagamenti) che di per sé dovrebbero considerarsi non solo leciti ma altresì dovuti, rappresentando il puntuale adempimento di un obbligo. Il discrimen tra lecito e illecito è dato dallo scopo, esplicitamente richiesto dalla norma, “di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi”: è il dolo specifico a fare la differenza. L’esilità dei profili strutturali della bancarotta preferenziale, che non rappresentano oggetto di approfondimento nella pubblicazione in questione, ha sempre comportato la necessità di rapportarsi all’istituto dell’azione revocatoria fallimentare, allocato all’art. 67 L.F. Tradizionalmente, si è ravvisata continuità di presupposti tra la situazione considerata dall’art. 67 e quella in cui è eretto il divieto dell’art. 216 III co., da ascriversi alla coeva creazione del rimedio civilistico e del presidio penalistico, onde il secondo era conformato in modo compatibile e, spesso, complementare al primo: compatibile perché la revoca o la revocabilità di un pagamento non esclude affatto la configurabilità del delitto di bancarotta preferenziale; complementare poiché l’originaria fisionomia dell’azione revocatoria di cui all’art. 67 permetteva di intravedere i tratti oggettivi della previsione penale che, per assurgere a giuridica rilevanza, seleziona quindi le condotte per il tramite dell’elemento soggettivo. Tale relazione, tuttavia, sembra essersi assai stemperata, se non addirittura interrotta, per opera della riforma attuata dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito nella legge 14 maggio 2005, n. 80, la quale, nell’ampio contesto della riscrittura delle procedure concorsuali, ha inciso profondamente sulla disciplina dell’azione revocatoria fallimentare, comprimendone in misura rilevante la sfera di prensione. Prima della riforma, l’art. 67 consentiva di individuare i pagamenti che mettevano oggettivamente in pericolo la soddisfazione paritaria della massa creditoria; oggi, invece, è molto problematico tracciare siffatto collegamento. In mancanza di una ristrutturazione che abbia correlativamente investito anche l’elemento oggettivo del delitto di cui all’art. 216 III co., è quindi indispensabile soppesare - e in tal senso muove la pubblicazione - gli effetti che la riforma del 2005 ha comportato sul finitimo versante penale, cercando di saggiare l’ambito applicativo riservato alla bancarotta preferenziale.
2009
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/2381766
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