La gestione del capitale intellettuale è diventata un tema di interesse strategico per molte imprese e ha aperto nuove e interessanti sfide per il management delle risorse umane. Le cause sono numerose, note e si possono sinteticamente riassumere nel fatto che la creazione di ricchezza dipende sempre più dal «development and astute deployment and utilization of intangible assets, of which knowledge, competence, and intellectual property» e anche «other intangibles such as brands, reputations, and customer relationships» sono le più sgnificative (Teece, 2000, p. 3). In altri termini, l’urgenza di sviluppare specifiche pratiche manageriali per gestire il capitale intellettuale è una delle conseguenze dell’economia della conoscenza. Le coordinate dell’argomento sono abbastanza consolidate in letteratura. Il capitale intellettuale si divide in tre parti: umano, relazionale, strutturale (Lipparini, 2002). Il capitale umano è costituito dalle competenze delle persone, nelle loro diverse componenti e articolazioni, il cui valore può essere amplificato (o ridotto) dall’ambiente organizzativo in cui sono inserite, dalla capacità di utilizzarle in contesti diversi e di riorientarle, trasformarle e integrarle anche con le risorse e i beni complementari esterni all’impresa. Il capitale relazionale, invece, fa riferimento al valore generato dal complesso delle relazioni che l’organizzazione dinamicamente attiva al proprio interno e con gli attori esterni (clienti, fornitori, concorrenti, finanziatori, partner, istituzioni di ricerca). Tali relazioni si trasformano in una forma di capitale nel momento in cui non si limitano a compensare temporaneamente la mancanza di risorse, ma diventano un mezzo per sostenere la formazione di conoscenza collettiva, in una logica di apprendimento reciproco. Il capitale strutturale, infine, identifica l’infrastruttura tecnica e organizzativa, che ha un effetto leva sul capitale umano, permettendogli di esprimere tutto il suo potenziale, e svolge un ruolo indispensabile nella creazione dei meccanismi per trasformare il network di relazioni in vero e proprio capitale relazionale. Concretamente, nel capitale strutturale si ritrovano i brevetti di proprietà, le architetture informatiche e i contenuti informativi (software, databases, manuali), le routine organizzative e le pratiche manageriali. Pur essendo concettualmente distinte, è dall’interazione tra le tre componenti che scaturisce il valore. I tre casi presentati (SIT Group, Galvene e Visionest) permettono di mettere a fuoco la reciproca influenza tra capitale umano, relazionale e strutturale e di individuare gli indicatori per stimare l’impatto qualitativo che essa ha sul valore. Sotto questo ombrello generale, di seguito vengono approfonditi tre fenomeni, che collegano il capitale intellettuale alla gestione delle risorse umane e alla strategia d’impresa.

Capitale intellettuale e gestione strategica delle risorse umane

GUBITTA, PAOLO;GIANECCHINI, MARTINA
2006

Abstract

La gestione del capitale intellettuale è diventata un tema di interesse strategico per molte imprese e ha aperto nuove e interessanti sfide per il management delle risorse umane. Le cause sono numerose, note e si possono sinteticamente riassumere nel fatto che la creazione di ricchezza dipende sempre più dal «development and astute deployment and utilization of intangible assets, of which knowledge, competence, and intellectual property» e anche «other intangibles such as brands, reputations, and customer relationships» sono le più sgnificative (Teece, 2000, p. 3). In altri termini, l’urgenza di sviluppare specifiche pratiche manageriali per gestire il capitale intellettuale è una delle conseguenze dell’economia della conoscenza. Le coordinate dell’argomento sono abbastanza consolidate in letteratura. Il capitale intellettuale si divide in tre parti: umano, relazionale, strutturale (Lipparini, 2002). Il capitale umano è costituito dalle competenze delle persone, nelle loro diverse componenti e articolazioni, il cui valore può essere amplificato (o ridotto) dall’ambiente organizzativo in cui sono inserite, dalla capacità di utilizzarle in contesti diversi e di riorientarle, trasformarle e integrarle anche con le risorse e i beni complementari esterni all’impresa. Il capitale relazionale, invece, fa riferimento al valore generato dal complesso delle relazioni che l’organizzazione dinamicamente attiva al proprio interno e con gli attori esterni (clienti, fornitori, concorrenti, finanziatori, partner, istituzioni di ricerca). Tali relazioni si trasformano in una forma di capitale nel momento in cui non si limitano a compensare temporaneamente la mancanza di risorse, ma diventano un mezzo per sostenere la formazione di conoscenza collettiva, in una logica di apprendimento reciproco. Il capitale strutturale, infine, identifica l’infrastruttura tecnica e organizzativa, che ha un effetto leva sul capitale umano, permettendogli di esprimere tutto il suo potenziale, e svolge un ruolo indispensabile nella creazione dei meccanismi per trasformare il network di relazioni in vero e proprio capitale relazionale. Concretamente, nel capitale strutturale si ritrovano i brevetti di proprietà, le architetture informatiche e i contenuti informativi (software, databases, manuali), le routine organizzative e le pratiche manageriali. Pur essendo concettualmente distinte, è dall’interazione tra le tre componenti che scaturisce il valore. I tre casi presentati (SIT Group, Galvene e Visionest) permettono di mettere a fuoco la reciproca influenza tra capitale umano, relazionale e strutturale e di individuare gli indicatori per stimare l’impatto qualitativo che essa ha sul valore. Sotto questo ombrello generale, di seguito vengono approfonditi tre fenomeni, che collegano il capitale intellettuale alla gestione delle risorse umane e alla strategia d’impresa.
2006
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