Uno dei paradigmi sui quali si fonda l’ordinamento bancario italiano prevede la separatezza fra l’attività bancaria e l’attività industriale. Tale disciplina tende «ad evitare che i soci degli enti creditizi che abbiano interessi imprenditoriali in settori non finanziari possano imporre indirizzi di gestione degli enti stessi non in linea con le esigenze di corretta allocazione del credito». Successivamente, il Testo Unico bancario, pur ridimensionando buona parte dei precedenti ostacoli istituzionali fra settore bancario e settore industriale, ha regolato la materia mantenendo inalterato il paradigma. Negli ultimi quindici anni i comparti bancario, finanziario e industriale sono stati attraversati da notevoli cambiamenti: le banche, ad esempio, possono allargare la loro attività di credito mobiliare fino alla detenzione di partecipazioni industriali dirette, affiancando così quelle indirette, detenute per il tramite di società finanziarie. In sostanza, si può dire che si va configurando una banca universale organizzata quale gruppo: imprese di credito, imprese che esercitano attività ad esse strumentali ed imprese tout court. In Italia, tuttavia, rimane ancora pregnante uno dei punti di debolezza della banca universale e cioè la constatazione che non appare facile procedere alla trasferibilità delle posizioni. L’evoluzione delle convenienze economico-finanziarie delle banche e dell’ordinamento, oltre che recenti vicende relative ai legami fra grandi imprese e grandi banche hanno riacceso il dibattito iintorno a diverse difficili tematiche (la vigilanza sulle banche e sulle società quotate, la tutela dei risparmiatori, ecc.), fino a giungere nuovamente alla questione della «separatezza fra banca e industria». Questo lavoro si propone di analizzare empiricamente uno degli aspetti del problema della separatezza: l’esame delle relazioni esistenti fra le due categorie di imprese realizzate attraverso la presenza, nel capitale delle banche, di «soci che abbiano interessi imprenditoriali in settori non finanziari». Le fonti di pubblico dominio utilizzate sono prevalentemente i bilanci di fine esercizio delle banche italiane capogruppo, quotate presso Borsa Italiana SpA, negli anni 1999-2003. Tuttavia, dato che le relazioni in questione potrebbero realizzarsi, anche attraverso finanziamenti, oltre che mediante le partecipazioni industriali detenute dalle banche, l’indagine ha esaminato sia gli assetti proprietari delle banche, sia il deterioramento della qualità del credito, sia le partecipazioni non finanziarie detenute dalle banche.

Il paradigma della separatezza e il rapporto tra banca e industria: analisi empirica su alcune banche italiane

BALDAN, CINZIA
2005

Abstract

Uno dei paradigmi sui quali si fonda l’ordinamento bancario italiano prevede la separatezza fra l’attività bancaria e l’attività industriale. Tale disciplina tende «ad evitare che i soci degli enti creditizi che abbiano interessi imprenditoriali in settori non finanziari possano imporre indirizzi di gestione degli enti stessi non in linea con le esigenze di corretta allocazione del credito». Successivamente, il Testo Unico bancario, pur ridimensionando buona parte dei precedenti ostacoli istituzionali fra settore bancario e settore industriale, ha regolato la materia mantenendo inalterato il paradigma. Negli ultimi quindici anni i comparti bancario, finanziario e industriale sono stati attraversati da notevoli cambiamenti: le banche, ad esempio, possono allargare la loro attività di credito mobiliare fino alla detenzione di partecipazioni industriali dirette, affiancando così quelle indirette, detenute per il tramite di società finanziarie. In sostanza, si può dire che si va configurando una banca universale organizzata quale gruppo: imprese di credito, imprese che esercitano attività ad esse strumentali ed imprese tout court. In Italia, tuttavia, rimane ancora pregnante uno dei punti di debolezza della banca universale e cioè la constatazione che non appare facile procedere alla trasferibilità delle posizioni. L’evoluzione delle convenienze economico-finanziarie delle banche e dell’ordinamento, oltre che recenti vicende relative ai legami fra grandi imprese e grandi banche hanno riacceso il dibattito iintorno a diverse difficili tematiche (la vigilanza sulle banche e sulle società quotate, la tutela dei risparmiatori, ecc.), fino a giungere nuovamente alla questione della «separatezza fra banca e industria». Questo lavoro si propone di analizzare empiricamente uno degli aspetti del problema della separatezza: l’esame delle relazioni esistenti fra le due categorie di imprese realizzate attraverso la presenza, nel capitale delle banche, di «soci che abbiano interessi imprenditoriali in settori non finanziari». Le fonti di pubblico dominio utilizzate sono prevalentemente i bilanci di fine esercizio delle banche italiane capogruppo, quotate presso Borsa Italiana SpA, negli anni 1999-2003. Tuttavia, dato che le relazioni in questione potrebbero realizzarsi, anche attraverso finanziamenti, oltre che mediante le partecipazioni industriali detenute dalle banche, l’indagine ha esaminato sia gli assetti proprietari delle banche, sia il deterioramento della qualità del credito, sia le partecipazioni non finanziarie detenute dalle banche.
2005
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