La L. n. 134 di questo agosto vuole alleggerire il nostro sistema delle impugnazioni, reputato un lusso garantistico che nuoce alla ragionevole durata. Questo assunto, esatto solo in parte, sconta la difficoltà di risolvere sul piano procedurale (qui con il filtro dell'appello e la restrizione delle censure deducibili in Cassazione) un gap culturale e organizzativo, senza neppure lambirne le radici (cosa che non si può fare con tratti dirigistici di penna normativa). Il rischio che si corre è invece quello di una parziale" dissoluzione" della funzione rimediale che tradizionalmente, da noi, le impugnazioni hanno garantito, almeno fino a qualche anno fa. Più che l'accesso al pieno giudizio di appello (già dosabile con il rifiuto della inibitoria e la passerella al merito), bisognose di rivisitazione sono le Corti di appello stesse, le cui decisioni sui fatti non possono allo stato ambire a codesta nuova insindacabilità. Pesa negativamente anche un uso strumentale e comodo della comparazione con altri ordinamenti, che vorrebbe dimenticare le nette, anzi ancora abissali, peculiarità del nostro e, senza affrontarle, rischia di far perdere alcune sue qualità (di mitezza ed accettabilità) che solo l'aumento sproporzionato del numero di avvocati, del tasso stocastico di complicazioni e delle novelle legislative ha "girato in guasti". Una "short way", verso una minore disarmonia sociale della giustizia civile e delle professioni legali, non è data. Da questo Governo, per il suo valore, è lecito attendersi più attenzione alla "big picture", non solo quanto alle circoscrizioni.

Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul processo civile: le impugnazioni a rischio di ''svaporamento".

CONSOLO, CLAUDIO
2012

Abstract

La L. n. 134 di questo agosto vuole alleggerire il nostro sistema delle impugnazioni, reputato un lusso garantistico che nuoce alla ragionevole durata. Questo assunto, esatto solo in parte, sconta la difficoltà di risolvere sul piano procedurale (qui con il filtro dell'appello e la restrizione delle censure deducibili in Cassazione) un gap culturale e organizzativo, senza neppure lambirne le radici (cosa che non si può fare con tratti dirigistici di penna normativa). Il rischio che si corre è invece quello di una parziale" dissoluzione" della funzione rimediale che tradizionalmente, da noi, le impugnazioni hanno garantito, almeno fino a qualche anno fa. Più che l'accesso al pieno giudizio di appello (già dosabile con il rifiuto della inibitoria e la passerella al merito), bisognose di rivisitazione sono le Corti di appello stesse, le cui decisioni sui fatti non possono allo stato ambire a codesta nuova insindacabilità. Pesa negativamente anche un uso strumentale e comodo della comparazione con altri ordinamenti, che vorrebbe dimenticare le nette, anzi ancora abissali, peculiarità del nostro e, senza affrontarle, rischia di far perdere alcune sue qualità (di mitezza ed accettabilità) che solo l'aumento sproporzionato del numero di avvocati, del tasso stocastico di complicazioni e delle novelle legislative ha "girato in guasti". Una "short way", verso una minore disarmonia sociale della giustizia civile e delle professioni legali, non è data. Da questo Governo, per il suo valore, è lecito attendersi più attenzione alla "big picture", non solo quanto alle circoscrizioni.
2012
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