Per un popolo antico come quello italiano centocinquant’anni di unità politica non sono molti. Abbiamo certamente una storia unitaria che travalica decine di secoli: quando pensiamo alla nostra storia includiamo l’antica Roma, le invasioni barbariche, l’età dei comuni, il Rinascimento e tutto quanto ha portato le popolazioni che hanno abitato la Penisola a considerare l’unità politica poco importante rispetto al “sentirsi” italiani. Fin dal tempo di Roma tali abitanti hanno avuto la coscienza di abitare in Italia e di possedere lo status di “italiani” riconosciuto anche dai conquistatori . La novità dell’Italia unita sta nell’aggiungere, alla coscienza culturale di “essere italiani”, anche quella politica e nazionale. Si può dire che alla fine del XX secolo tale coscienza è stata condivisa da tutte le classi sociali. E’ la storia che indica le cause della situazione italiana. “Nel contesto lasciato dal passaggio degli invasori (V secolo d.C.) mantennero la loro sede nella città di Roma e nel territorio della penisola due grandi tradizioni culturali che, diffondendosi nel continente caratterizzarono in larga parte non solo la storia d’Italia, ma anche quella di tutte le nazioni europee che si formarono nei secoli successivi: quella religiosa, impersonata da vescovo di Roma e quella costituita dalla cultura classica greco-latina, conservata e preservata dalla distruzione grazie all’opera delle istituzioni monastiche”. Gli italiani, in generale, sembrano avere una buona autostima come singoli, ma bassa come collettività. Pensare per dicotomie è una caratteristica delle scienze sociali e talvolta nella tradizione sociologica è successo che alcune dicotomie concettuali (comunità-società; particolarismo-universalismo) si siano trasformate da strumenti euristici, adatti per conoscere tratti salienti di fenomeni e processi sociali concreti, in forme a priori dell’esperienza sociale, aggiungendo all’uso descrittivo anche quello valutativo. La percezione della realtà della situazione italiana già a partire da Machiavelli fino a Mosca ha indagato prevalentemente lo stato più della società. L’ordine sociale è visto come “una derivazione, o come l’area in cui gli individui e i gruppi lottano per il dominio e per il potere statale. La nozione di uomo sociale è estranea a questa tradizione”. Normalmente si definiscono gli altri in base ad aspettative di comportamento, a etichette o stereotipi che portano a generalizzazioni anche false, ma non neutre, perché condizionando la nostra conoscenza della realtà condizionano i nostri comportamenti. Secondo Cipriani non esiste un’unica cultura, un’unica identità ma piuttosto una identità “frattalica” molto frastagliata con una successione irregolare di solchi ed aree, che non indeboliscono il tessuto socio culturale, anzi, paradossalmente ne aumenta la capacità di resistenza. Sembra che l’italiano realizzi un’“appartenenza liquida”, in linea con i tratti della postmodernità: “L’individuo e la libertà sono regolati in maniera talmente universale, da essere sganciati dalle strutture della nazione e dalle regole sociali”. Mi piace finire con una frase di Stendhal che è molto attuale: “Il suo stato politico non è affatto da invidiare, però è dal complesso della sua civiltà cha abbiamo visto nascere grandi artisti (…). I difetti stessi di quegli strani governi, sotto ai quali soffre l’Italia, servono alle belle arti (…) lasciano libero l’individuo. Il governo aborrito e disprezzato da tempi memorabili non è alla testa di nessuna opinione, di nessuna influenza; è di traverso alla società, ma non è il punto centrale della società”.

150 anni di unità: l’identificazione nazionale dei giovani italiani

TESSAROLO, MARISELDA
2011

Abstract

Per un popolo antico come quello italiano centocinquant’anni di unità politica non sono molti. Abbiamo certamente una storia unitaria che travalica decine di secoli: quando pensiamo alla nostra storia includiamo l’antica Roma, le invasioni barbariche, l’età dei comuni, il Rinascimento e tutto quanto ha portato le popolazioni che hanno abitato la Penisola a considerare l’unità politica poco importante rispetto al “sentirsi” italiani. Fin dal tempo di Roma tali abitanti hanno avuto la coscienza di abitare in Italia e di possedere lo status di “italiani” riconosciuto anche dai conquistatori . La novità dell’Italia unita sta nell’aggiungere, alla coscienza culturale di “essere italiani”, anche quella politica e nazionale. Si può dire che alla fine del XX secolo tale coscienza è stata condivisa da tutte le classi sociali. E’ la storia che indica le cause della situazione italiana. “Nel contesto lasciato dal passaggio degli invasori (V secolo d.C.) mantennero la loro sede nella città di Roma e nel territorio della penisola due grandi tradizioni culturali che, diffondendosi nel continente caratterizzarono in larga parte non solo la storia d’Italia, ma anche quella di tutte le nazioni europee che si formarono nei secoli successivi: quella religiosa, impersonata da vescovo di Roma e quella costituita dalla cultura classica greco-latina, conservata e preservata dalla distruzione grazie all’opera delle istituzioni monastiche”. Gli italiani, in generale, sembrano avere una buona autostima come singoli, ma bassa come collettività. Pensare per dicotomie è una caratteristica delle scienze sociali e talvolta nella tradizione sociologica è successo che alcune dicotomie concettuali (comunità-società; particolarismo-universalismo) si siano trasformate da strumenti euristici, adatti per conoscere tratti salienti di fenomeni e processi sociali concreti, in forme a priori dell’esperienza sociale, aggiungendo all’uso descrittivo anche quello valutativo. La percezione della realtà della situazione italiana già a partire da Machiavelli fino a Mosca ha indagato prevalentemente lo stato più della società. L’ordine sociale è visto come “una derivazione, o come l’area in cui gli individui e i gruppi lottano per il dominio e per il potere statale. La nozione di uomo sociale è estranea a questa tradizione”. Normalmente si definiscono gli altri in base ad aspettative di comportamento, a etichette o stereotipi che portano a generalizzazioni anche false, ma non neutre, perché condizionando la nostra conoscenza della realtà condizionano i nostri comportamenti. Secondo Cipriani non esiste un’unica cultura, un’unica identità ma piuttosto una identità “frattalica” molto frastagliata con una successione irregolare di solchi ed aree, che non indeboliscono il tessuto socio culturale, anzi, paradossalmente ne aumenta la capacità di resistenza. Sembra che l’italiano realizzi un’“appartenenza liquida”, in linea con i tratti della postmodernità: “L’individuo e la libertà sono regolati in maniera talmente universale, da essere sganciati dalle strutture della nazione e dalle regole sociali”. Mi piace finire con una frase di Stendhal che è molto attuale: “Il suo stato politico non è affatto da invidiare, però è dal complesso della sua civiltà cha abbiamo visto nascere grandi artisti (…). I difetti stessi di quegli strani governi, sotto ai quali soffre l’Italia, servono alle belle arti (…) lasciano libero l’individuo. Il governo aborrito e disprezzato da tempi memorabili non è alla testa di nessuna opinione, di nessuna influenza; è di traverso alla società, ma non è il punto centrale della società”.
2011
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/2577699
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