Giunge all’ottavo volume il prezioso lavoro di edizione dei Registres du Consistoire de Genève, nella Collana di Droz che aveva diretto il compianto Robert M. Kingdon e che dirige ora, con immutate attenzioni, Lee Palmer Wandel. Sono qui contenuti i documenti di un anno tristemente celebre, dal punto di vista dell’ortodossia riformata, il 1553/54, quasi l’annus horribilis dei tempi di Calvino: Serveto vi è arrestato (il 13 agosto 1553), processato (agosto-ottobre), condannato, messo al rogo (il 27 ottobre), per aver contestato la Trinità, il battesimo dei fanciulli, l’immortalità dell’anima… ovvero per eresia. Anche se l’organo di competenza del processo Serveto non è certo il Concistoro (ma il Consiglio), gli editori di questo volume introducono giustamente nel loro commento critico gli elementi essenziali della polemica che seguì al caso Serveto. Ricordano la posizione di Castellion che, nel suo attacco Contra libellum Calvini in quo ostendere conatur Hæreticos jure gladii coercendos esse, sosterrà di lì a poco che «Hominem occidere, non est doctrinam tueri, sed hominem occidere. Cum Genevenses Servetum occiderunt, non doctrinam defenderunt, sed hominem occiderunt. Doctrinam tueri non est Magistratibus (quid gladio cum Doctrina?), sed doctoris» (s.l., 1612, f. E[1]v°, qui citato in traduzione francese dall’edizione di Étienne Barilier, Contre le libelle de Calvin: après la mort de Michel Servet, Carouge, Éditions Zoé, 1998: cfr. l’introduzione di Jeffrey R. Watt, p. XVII). E precisano altrettanto giustamente che numerose questioni riguardanti idee, frasi, propositi non ortodossi, pronunciati da abitanti di Ginevra in presenza di qualche testimone, vengono fatte oggetto del controllo esercitato dal Concistoro: come nel caso del tornitore Robert Le Moine, già in passato (nel 1552) un po’ grezzamente contrario – ma contrario! – alla predestinazione, ora più esplicitamente ribelle (cfr. p. 37, nota 235) e convinto, per esempio, «qu[’il] n’y avoit point de dyable que nous».

Recensione a: Registres du Consistoire de Genève au temps de Calvin. Tome VIII (25 mars 1553-1er février 1554). Publiés par Isabella M. WATT et Jeffrey R. WATT, avec la collaboration de Wallace MCDONALD, sous la direction de Lee PALMER WANDEL. Genève, Droz, 2014 («Travaux d’Humanisme et Renaissance», 578), pp. XXXVIII-292.

BETTONI, ANNA
2015

Abstract

Giunge all’ottavo volume il prezioso lavoro di edizione dei Registres du Consistoire de Genève, nella Collana di Droz che aveva diretto il compianto Robert M. Kingdon e che dirige ora, con immutate attenzioni, Lee Palmer Wandel. Sono qui contenuti i documenti di un anno tristemente celebre, dal punto di vista dell’ortodossia riformata, il 1553/54, quasi l’annus horribilis dei tempi di Calvino: Serveto vi è arrestato (il 13 agosto 1553), processato (agosto-ottobre), condannato, messo al rogo (il 27 ottobre), per aver contestato la Trinità, il battesimo dei fanciulli, l’immortalità dell’anima… ovvero per eresia. Anche se l’organo di competenza del processo Serveto non è certo il Concistoro (ma il Consiglio), gli editori di questo volume introducono giustamente nel loro commento critico gli elementi essenziali della polemica che seguì al caso Serveto. Ricordano la posizione di Castellion che, nel suo attacco Contra libellum Calvini in quo ostendere conatur Hæreticos jure gladii coercendos esse, sosterrà di lì a poco che «Hominem occidere, non est doctrinam tueri, sed hominem occidere. Cum Genevenses Servetum occiderunt, non doctrinam defenderunt, sed hominem occiderunt. Doctrinam tueri non est Magistratibus (quid gladio cum Doctrina?), sed doctoris» (s.l., 1612, f. E[1]v°, qui citato in traduzione francese dall’edizione di Étienne Barilier, Contre le libelle de Calvin: après la mort de Michel Servet, Carouge, Éditions Zoé, 1998: cfr. l’introduzione di Jeffrey R. Watt, p. XVII). E precisano altrettanto giustamente che numerose questioni riguardanti idee, frasi, propositi non ortodossi, pronunciati da abitanti di Ginevra in presenza di qualche testimone, vengono fatte oggetto del controllo esercitato dal Concistoro: come nel caso del tornitore Robert Le Moine, già in passato (nel 1552) un po’ grezzamente contrario – ma contrario! – alla predestinazione, ora più esplicitamente ribelle (cfr. p. 37, nota 235) e convinto, per esempio, «qu[’il] n’y avoit point de dyable que nous».
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