I turbolenti secoli successivi all'espansione araba in Medio Oriente portarono a una straordinaria proliferazione di testi a carattere apocalittico ed escatologico, redatti nelle varie tradizioni religiose e culturali dell'area. In particolare, a destare il vivo sentore dell'imminente fine dei tempi erano i continui rovesciamenti militari, che furono soventemente interpretati in senso escatologico da parte dei cristiani assoggettati, ma anche dai nuovi venuti musulmani, incapaci di assestare il colpo mortale al nemico bizantino e insicuri della possibilità di mantenere il controllo delle aree da poco conquistate. In questo clima il discorso apocalittico ricoprì il fondamentale ruolo di de-potenziamento della minaccia rappresentata dal nemico, relativizzandola all'interno di una storia futura positivamente orientata, talvolta attraverso l'identificazione dell'avversario stesso con le figure anti-messianiche proprie della tradizione apocalittica precedente (l’Anticristo e il Dajjāl, la Bestia e la Dābba, i popoli di Gog e Magog). Tale reinterpretazione del nemico attraverso lo spettro escatologico era inoltre finalizzata a minarne alla base le pretese universali: le vittorie degli avversari erano in tal modo relegate al rango di temporanee tribolazioni o punizioni divine prima della vittoria finale del bene; in ciò è evidente lo scopo consolatorio di tali tradizioni, solitamente redatte in momenti di forte scoraggiamento successivi a una sconfitta, oppure prima di una campagna di attacco che si sperava decisiva per le sorti del conflitto. L'intervento si concentrerà sulla produzione musulmana, a partire dall'analisi delle tradizioni contenute nel Kitāb al-Fitan (Libro delle tribolazioni) di Nu'aym b. Ḥammād (m. 842) e confronterà la descrizione e la produzione dell'alterità religiosa qui contenute con quelle dei testi apocalittici cristiani coevi. In particolare ci si soffermerà sulla mutua rappresentazione di cristiani e musulmani, ma anche sul ruolo assegnato agli ebrei, sulle paure di scismi e tradimenti interni alla comunità e sull'interpretazione escatologica della venuta di popoli invasori (soprattutto i Turchi, ma anche nel caso bizantino gli Slavi e in quello musulmano gli Etiopi). Lo studio di questi testi si propone in definitiva di meglio focalizzare alcuni aspetti del processo di destorificazione religiosa assolto dal discorso escatologico-apocalittico, atto a sublimare le paure delle diverse comunità religiose in conflitto.

L'altro alla fine del mondo: rappresentazione e inclusione dell'alterità religiosa nei drammi escatologici musulmani e cristiani (VII-IX sec.)

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Abstract

I turbolenti secoli successivi all'espansione araba in Medio Oriente portarono a una straordinaria proliferazione di testi a carattere apocalittico ed escatologico, redatti nelle varie tradizioni religiose e culturali dell'area. In particolare, a destare il vivo sentore dell'imminente fine dei tempi erano i continui rovesciamenti militari, che furono soventemente interpretati in senso escatologico da parte dei cristiani assoggettati, ma anche dai nuovi venuti musulmani, incapaci di assestare il colpo mortale al nemico bizantino e insicuri della possibilità di mantenere il controllo delle aree da poco conquistate. In questo clima il discorso apocalittico ricoprì il fondamentale ruolo di de-potenziamento della minaccia rappresentata dal nemico, relativizzandola all'interno di una storia futura positivamente orientata, talvolta attraverso l'identificazione dell'avversario stesso con le figure anti-messianiche proprie della tradizione apocalittica precedente (l’Anticristo e il Dajjāl, la Bestia e la Dābba, i popoli di Gog e Magog). Tale reinterpretazione del nemico attraverso lo spettro escatologico era inoltre finalizzata a minarne alla base le pretese universali: le vittorie degli avversari erano in tal modo relegate al rango di temporanee tribolazioni o punizioni divine prima della vittoria finale del bene; in ciò è evidente lo scopo consolatorio di tali tradizioni, solitamente redatte in momenti di forte scoraggiamento successivi a una sconfitta, oppure prima di una campagna di attacco che si sperava decisiva per le sorti del conflitto. L'intervento si concentrerà sulla produzione musulmana, a partire dall'analisi delle tradizioni contenute nel Kitāb al-Fitan (Libro delle tribolazioni) di Nu'aym b. Ḥammād (m. 842) e confronterà la descrizione e la produzione dell'alterità religiosa qui contenute con quelle dei testi apocalittici cristiani coevi. In particolare ci si soffermerà sulla mutua rappresentazione di cristiani e musulmani, ma anche sul ruolo assegnato agli ebrei, sulle paure di scismi e tradimenti interni alla comunità e sull'interpretazione escatologica della venuta di popoli invasori (soprattutto i Turchi, ma anche nel caso bizantino gli Slavi e in quello musulmano gli Etiopi). Lo studio di questi testi si propone in definitiva di meglio focalizzare alcuni aspetti del processo di destorificazione religiosa assolto dal discorso escatologico-apocalittico, atto a sublimare le paure delle diverse comunità religiose in conflitto.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/3218675
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