Il tema della restituzione dei beni spoliati agli ebrei durante la persecuzione nazifascista, e dei beni d’arte in particolare, si pone in un contesto normativo complesso, che supera necessariamente l’orizzonte del singolo sistema normativo statuale. Per apprezzare almeno in parte quel contesto normativo nel suo insieme, è bene anzitutto muovere dal diritto internazionale. È nel diritto internazionale, infatti, che si trova la chiave di lettura unificante che deve presiedere alla lettura delle singole soluzioni nazionali. Oltre la dimensione del diritto internazionale (c.d. pubblico), lo studio del fenomeno comporta peraltro necessariamente anche la considerazione della pluralità degli ordinamenti giuridici statali potenzialmente coinvolti nella soluzione di una singola controversia in materia di restituzione, e la pluralità in essi degli approcci a numerose questioni giuridiche rilevanti per questo tema, ivi compreso in materia di diritto internazionale privato. Giungendo infine alla valutazione di una determinata questione all’interno di un singolo ordinamento giuridico nazionale, si pone il tema del coordinamento tra le norme e i principi generali del diritto civile e l’eventuale presenza di norme speciali, siano esse espressamente adottate dal legislatore, siano esse l’esito di procedimenti di adattamento a obblighi derivanti in materia dal diritto internazionale. Muovendo dunque dal diritto internazionale, si deve anzitutto partire da una qualificazione giuridica di massima dell’opera di spoliazione compiuta ai danni degli ebrei, nell’ambito di due macrosettori normativi vicini, ma non corrispondenti, anche per il loro sviluppo storico: il diritto internazionale dei conflitti armati, direttamente applicabile all’epoca dei fatti a una parte delle situazioni qui rilevanti, e la proibizione del genocidio e dei crimini contro l’umanità. In secondo luogo, si devono valutare le previsioni specificamente contenute nel Trattato di Pace tra le potenze alleate e associate e l'Italia. In terzo luogo, si deve considerare la international soft law che si è sviluppata in materia, in primis i Washington Principles. Passando al diritto interno, si analizzeranno anzitutto le misure adottate per privare di efficacia gli atti delle autorità collaborazioniste di Salò, per poi passare all’esame delle misure che, in vario modo, si sono fatte carico di costruire un regime di restituzione a beneficio dei diretti interessati o, quantomeno, delle comunità ebraiche. Tra questi, gioca un ruolo chiave il decreto legislativo luogotenenziale 601/1946. Di questo si sottolinea il carattere di strumento privilegiato di attuazione degli obblighi internazionali in materia di responsabilità per gravi illeciti e degli artt. 78 e 79 del Trattato di Pace, con conseguente rinforzo della sua posizione nella gerarchia delle fonti interne, in relazione tanto all'art. 10 quanto all'art. 211 della Costituzione, cosicché la sua abrogazione, nel 2007, tramite uno degli interventi di "semplificazione legislativa", deve senz'altro dirsi incostituzionale. Quel decreto, con l’esclusione del regime di diritto comune relativo all’acquisto della proprietà o di altro titolo, compresa in particolare l’esclusione del rilievo della buona fede, mira a mantenere vivo l’obbligo di consegna dei beni in esso considerati, da chiunque detenuti, e consente la restituzione delle opere di interesse artistico ai legittimi proprietari cui siano state sottratte nell’ambito della persecuzione fascista prima e nazifascista poi. Le norme così poste, sia per la loro formulazione sia per la sistematica, devono intendersi come norme di applicazione necessaria, o autolimitata, ai fini del diritto internazionale privato. Ciò vale in particolare per l’esclusione del rilievo dell’acquisto della proprietà o di altro titolo su tali beni, che si fosse verificato secondo la normativa straniera altrimenti applicabile. È fondamentale tuttavia interrogarsi su quali siano i criteri speciali di autolimitazione della valenza del regime così introdotto, dal punto di vista dei suoi ambiti personale, spaziale e temporale di applicazione. A ciò si procede nella parte finale del lavoro, giungendosi ad affermare che, in relazione alle spoliazioni di beni d’arte ai danni degli ebrei (o di chi fosse considerato tale dal criminale meccanismo nazifascista), si può ben opinare per un’autolimitazione temporale delle previsioni contenute agli art. 1 e 4 del decreto che comporti l’inefficacia di ‘ogni’ successivo atto o fatto giuridico, ovunque e in qualsiasi momento compiuto, che abbia avuto ad oggetto la disposizione o la creazione di diritti su quei beni a favore di terzi, diversi dai legittimi proprietari spoliati e dai loro aventi diritto. Sempre quanto agli e etti del decorso del tempo, si propone che anche in relazione al regime speciale italiano si accolga una soluzione coerente con quella fatta propria dalla Cour d’appel de Paris nel caso Gentili di Giuseppe c. Louvre. In base a tale approccio, la prescrizione o la decadenza non possono decorrere, per le persone che furono oggetto della persecuzione antisemita nazifascista, se non dal momento in cui, terminate quelle condizioni estreme, esse abbiano potuto concretamente conoscere la situazione delle opere; inoltre, la semplice richiesta effettuata al detentore deve considerarsi elemento sufficiente per congelare l’operare del limite temporale. In conclusione, si può tentare di delineare una valutazione specifica della posizione dello Stato italiano, in relazione ai beni spoliati che si trovino, per qualunque causa, nella disponibilità delle sue articolazioni organiche, intese nel senso ampio accolto dal diritto internazionale. Per tutte le entità che siano riconducibili alla struttura organica dello Stato e delle sue articolazioni periferiche, ma anche per tutti quegli enti che, a prescindere dalla loro forma giuridica di diritto interno, siano, oggettivamente, sotto il controllo dello Stato, si deve ritenere direttamente invocabile l’obbligo di restituzione previsto dall’art. 78, par. 2, in connessione con l’art. 79, paragrafo 9, del Trattato di Pace. Al tempo stesso, nel valutare la questione della restituzione di quei beni spoliati che si trovino, per qualunque causa, nella disponibilità delle articolazioni organiche dello Stato, appare evidente che, quando un’opera depredata sia entrata a far parte delle collezioni aperte al pubblico di un’istituzione museale pubblica, quell’opera può avere assunto un particolare valore per la collettività. In tal caso, i principi di soft law internazionale rilevanti in materia appaiono espressione di un approccio di restorative justice, di particolare importanza nel contesto di un genocidio e di gross violations dei diritti umani. Nel quadro di una soluzione negoziata tra le parti – ed accettata, in particolare, dall’avente diritto alla restituzione – può sembrare allora auspicabile che l’opera d’arte depredata rimanga nella disponibilità dell’istituzione museale pubblica in cui essa si trova, a fronte però del riconoscimento della proprietà alle vittime o ai loro eredi, del pagamento ad essi di un indennizzo equivalente al valore di quell’opera e di un’ulteriore, essenziale prestazione riparativa: l’utilizzazione dell’opera per la costituzione di una memoria condivisa.

LA RESTITUZIONE DEI BENI D’ARTE SPOLIATI AGLI EBREI NELLA PERSECUZIONE NAZIFASCISTA, TRA DIRITTO INTERNAZIONALE E DIRITTO INTERNO

Bernardo Cortese
2019

Abstract

Il tema della restituzione dei beni spoliati agli ebrei durante la persecuzione nazifascista, e dei beni d’arte in particolare, si pone in un contesto normativo complesso, che supera necessariamente l’orizzonte del singolo sistema normativo statuale. Per apprezzare almeno in parte quel contesto normativo nel suo insieme, è bene anzitutto muovere dal diritto internazionale. È nel diritto internazionale, infatti, che si trova la chiave di lettura unificante che deve presiedere alla lettura delle singole soluzioni nazionali. Oltre la dimensione del diritto internazionale (c.d. pubblico), lo studio del fenomeno comporta peraltro necessariamente anche la considerazione della pluralità degli ordinamenti giuridici statali potenzialmente coinvolti nella soluzione di una singola controversia in materia di restituzione, e la pluralità in essi degli approcci a numerose questioni giuridiche rilevanti per questo tema, ivi compreso in materia di diritto internazionale privato. Giungendo infine alla valutazione di una determinata questione all’interno di un singolo ordinamento giuridico nazionale, si pone il tema del coordinamento tra le norme e i principi generali del diritto civile e l’eventuale presenza di norme speciali, siano esse espressamente adottate dal legislatore, siano esse l’esito di procedimenti di adattamento a obblighi derivanti in materia dal diritto internazionale. Muovendo dunque dal diritto internazionale, si deve anzitutto partire da una qualificazione giuridica di massima dell’opera di spoliazione compiuta ai danni degli ebrei, nell’ambito di due macrosettori normativi vicini, ma non corrispondenti, anche per il loro sviluppo storico: il diritto internazionale dei conflitti armati, direttamente applicabile all’epoca dei fatti a una parte delle situazioni qui rilevanti, e la proibizione del genocidio e dei crimini contro l’umanità. In secondo luogo, si devono valutare le previsioni specificamente contenute nel Trattato di Pace tra le potenze alleate e associate e l'Italia. In terzo luogo, si deve considerare la international soft law che si è sviluppata in materia, in primis i Washington Principles. Passando al diritto interno, si analizzeranno anzitutto le misure adottate per privare di efficacia gli atti delle autorità collaborazioniste di Salò, per poi passare all’esame delle misure che, in vario modo, si sono fatte carico di costruire un regime di restituzione a beneficio dei diretti interessati o, quantomeno, delle comunità ebraiche. Tra questi, gioca un ruolo chiave il decreto legislativo luogotenenziale 601/1946. Di questo si sottolinea il carattere di strumento privilegiato di attuazione degli obblighi internazionali in materia di responsabilità per gravi illeciti e degli artt. 78 e 79 del Trattato di Pace, con conseguente rinforzo della sua posizione nella gerarchia delle fonti interne, in relazione tanto all'art. 10 quanto all'art. 211 della Costituzione, cosicché la sua abrogazione, nel 2007, tramite uno degli interventi di "semplificazione legislativa", deve senz'altro dirsi incostituzionale. Quel decreto, con l’esclusione del regime di diritto comune relativo all’acquisto della proprietà o di altro titolo, compresa in particolare l’esclusione del rilievo della buona fede, mira a mantenere vivo l’obbligo di consegna dei beni in esso considerati, da chiunque detenuti, e consente la restituzione delle opere di interesse artistico ai legittimi proprietari cui siano state sottratte nell’ambito della persecuzione fascista prima e nazifascista poi. Le norme così poste, sia per la loro formulazione sia per la sistematica, devono intendersi come norme di applicazione necessaria, o autolimitata, ai fini del diritto internazionale privato. Ciò vale in particolare per l’esclusione del rilievo dell’acquisto della proprietà o di altro titolo su tali beni, che si fosse verificato secondo la normativa straniera altrimenti applicabile. È fondamentale tuttavia interrogarsi su quali siano i criteri speciali di autolimitazione della valenza del regime così introdotto, dal punto di vista dei suoi ambiti personale, spaziale e temporale di applicazione. A ciò si procede nella parte finale del lavoro, giungendosi ad affermare che, in relazione alle spoliazioni di beni d’arte ai danni degli ebrei (o di chi fosse considerato tale dal criminale meccanismo nazifascista), si può ben opinare per un’autolimitazione temporale delle previsioni contenute agli art. 1 e 4 del decreto che comporti l’inefficacia di ‘ogni’ successivo atto o fatto giuridico, ovunque e in qualsiasi momento compiuto, che abbia avuto ad oggetto la disposizione o la creazione di diritti su quei beni a favore di terzi, diversi dai legittimi proprietari spoliati e dai loro aventi diritto. Sempre quanto agli e etti del decorso del tempo, si propone che anche in relazione al regime speciale italiano si accolga una soluzione coerente con quella fatta propria dalla Cour d’appel de Paris nel caso Gentili di Giuseppe c. Louvre. In base a tale approccio, la prescrizione o la decadenza non possono decorrere, per le persone che furono oggetto della persecuzione antisemita nazifascista, se non dal momento in cui, terminate quelle condizioni estreme, esse abbiano potuto concretamente conoscere la situazione delle opere; inoltre, la semplice richiesta effettuata al detentore deve considerarsi elemento sufficiente per congelare l’operare del limite temporale. In conclusione, si può tentare di delineare una valutazione specifica della posizione dello Stato italiano, in relazione ai beni spoliati che si trovino, per qualunque causa, nella disponibilità delle sue articolazioni organiche, intese nel senso ampio accolto dal diritto internazionale. Per tutte le entità che siano riconducibili alla struttura organica dello Stato e delle sue articolazioni periferiche, ma anche per tutti quegli enti che, a prescindere dalla loro forma giuridica di diritto interno, siano, oggettivamente, sotto il controllo dello Stato, si deve ritenere direttamente invocabile l’obbligo di restituzione previsto dall’art. 78, par. 2, in connessione con l’art. 79, paragrafo 9, del Trattato di Pace. Al tempo stesso, nel valutare la questione della restituzione di quei beni spoliati che si trovino, per qualunque causa, nella disponibilità delle articolazioni organiche dello Stato, appare evidente che, quando un’opera depredata sia entrata a far parte delle collezioni aperte al pubblico di un’istituzione museale pubblica, quell’opera può avere assunto un particolare valore per la collettività. In tal caso, i principi di soft law internazionale rilevanti in materia appaiono espressione di un approccio di restorative justice, di particolare importanza nel contesto di un genocidio e di gross violations dei diritti umani. Nel quadro di una soluzione negoziata tra le parti – ed accettata, in particolare, dall’avente diritto alla restituzione – può sembrare allora auspicabile che l’opera d’arte depredata rimanga nella disponibilità dell’istituzione museale pubblica in cui essa si trova, a fronte però del riconoscimento della proprietà alle vittime o ai loro eredi, del pagamento ad essi di un indennizzo equivalente al valore di quell’opera e di un’ulteriore, essenziale prestazione riparativa: l’utilizzazione dell’opera per la costituzione di una memoria condivisa.
2019
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/3309148
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