Sul finire del Trecento, negli anni decisivi della costruzione degli stati regionali, repubbliche, regni e ducati escogitano le prime soluzioni per contrastare lo strapotere contrattuale dei mercenari e l’aumento incontrollato della spesa di guerra. Sono gli inizi di un processo decennale che porterà alla razionalizzazione dell’amministrazione militare di tutti i principali potentati italiani, attraverso la creazione di istituzioni – più o meno formalizzate, più o meno stabili – dedite all’organizzazione delle forze armate ed al controllo di territori ormai vasti ed articolati. L’intervento ripercorre le tappe della formazione di questi «offici», evidenziandone la diversità delle premesse politiche e la varietà degli esiti istituzionali, sulla scia di quelle ricerche d’archivio che, negli ultimi trent’anni, hanno di molto sminuito la nostalgia machiavelliana per le «armi proprie», dimostrando allo stesso tempo quanto siano stati originali e variegati i percorsi di affermazione degli eserciti permanenti e di contenimento dei particolarismi armati. Bilanci, contratti e corrispondenze continuano ancora oggi a rivelare differenze e similitudini nella gestione delle milizie, nell’imposizione di obblighi militari ai contadi, nelle scelte di politica economica riguardanti lo sviluppo delle manifatture belliche, nell’utilizzo delle condotte come elemento di raccordo fra le oligarchie delle capitali e le società locali, nella fortificazione dei confini, e soprattutto nella scelta degli «officiali», funzionari di una burocrazia centralizzata, capaci di contribuire al mantenimento del dominio anche attraverso la loro mediazione fra sudditi, principi e soldati. Un tema complesso, quello del «militare», affrontato dai contemporanei con consapevolezza, e mai con superficialità. D’altronde, come ironicamente suggeriva un osservatore contemporaneo, «chi ha cervelliera di vetro non vada a battaglia di sassi».

Oltre i signori, dopo i mercenari. Per una rilettura del rapporto tra istituzioni militari e stato rinascimentale

Ansani Fabrizio Antonio
2021

Abstract

Sul finire del Trecento, negli anni decisivi della costruzione degli stati regionali, repubbliche, regni e ducati escogitano le prime soluzioni per contrastare lo strapotere contrattuale dei mercenari e l’aumento incontrollato della spesa di guerra. Sono gli inizi di un processo decennale che porterà alla razionalizzazione dell’amministrazione militare di tutti i principali potentati italiani, attraverso la creazione di istituzioni – più o meno formalizzate, più o meno stabili – dedite all’organizzazione delle forze armate ed al controllo di territori ormai vasti ed articolati. L’intervento ripercorre le tappe della formazione di questi «offici», evidenziandone la diversità delle premesse politiche e la varietà degli esiti istituzionali, sulla scia di quelle ricerche d’archivio che, negli ultimi trent’anni, hanno di molto sminuito la nostalgia machiavelliana per le «armi proprie», dimostrando allo stesso tempo quanto siano stati originali e variegati i percorsi di affermazione degli eserciti permanenti e di contenimento dei particolarismi armati. Bilanci, contratti e corrispondenze continuano ancora oggi a rivelare differenze e similitudini nella gestione delle milizie, nell’imposizione di obblighi militari ai contadi, nelle scelte di politica economica riguardanti lo sviluppo delle manifatture belliche, nell’utilizzo delle condotte come elemento di raccordo fra le oligarchie delle capitali e le società locali, nella fortificazione dei confini, e soprattutto nella scelta degli «officiali», funzionari di una burocrazia centralizzata, capaci di contribuire al mantenimento del dominio anche attraverso la loro mediazione fra sudditi, principi e soldati. Un tema complesso, quello del «militare», affrontato dai contemporanei con consapevolezza, e mai con superficialità. D’altronde, come ironicamente suggeriva un osservatore contemporaneo, «chi ha cervelliera di vetro non vada a battaglia di sassi».
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