.Recently cardiac magnetic resonance (CMR) has been proposed as a comprehensive tool for AMI evaluation, since it provides data about regional myocardial wall motion, viability, perfusion and direct visualization of myocardial necrosis. In this respect, the aims of this study performed in AMI patients treated with primary angioplasty (PCI), were: 1.to clarify the impact of reperfusion time on pregression of myocardial damage; 2.to assess the predictive value of CMR features on ventricular post-AMI remodelling; 3.to investigate, with contrast-CMR, the pathological basis of the persistence of ST-segment elevation after AMI; 4.to evaluate the effects of current therapy on CMR detection of necrosis and microvascular injury; 5.to evaluate the correlation between angiographic indexes of myocardial perfusion after primary PCI, and anatomical features on CMR and in particular the correlation between the staining phenomenon and the presence of severe microvascular damage (SMD); 6.to investigate the possibility to detect intramyocardial hemorrhage after AMI by T2-weighted image on CMR, to establish its contribution to the delayed hypoenhanced core, traditionally referred only to microvascular obstruction. We also aimed to correlate radiolagical findings of myocardial hemorrhage with hystological features ex vivo in two died patients. In AMI patients with impaired coronary perfusion undergoing PCI, the risk of transmural necrosis (TN) and SMD seems to increase with the duration of the ischemic time. Also, the amount of TN results as a major determinant of LV remodeling and function, with significant additional predictive value to infarct size and SMD. The evaluation of effects of current therapy with Abciximab demonstrated that SMD seems related to TN without any influence of antiplatelet therapy. In addition, presence of SMD seems the most powerful determinant of persistent ST-segment elevation on ECG. In our experience the angiographic assessment of lack of myocardial perfusion correlates with microvascular damage and extent of infarct

I pazienti inclusi nello studio dal dicembre 2005 all’ottobre 2008 sono stati 300. Per ogni paziente sono stati raccolti i dati di MRI insieme a dati clinici, ecocardiografici, elettrocardiografici ed agiografici. 1.Il primo studio, condotto su una serie di pazienti selezionati in base ad un flusso TIMI preprocedurale inferiore a 3, ha dimostrato che la durata dell’ischemia miocardica rappresenta il maggior determinante della transmuralità di necrosi e della presenza di danno microvascolare. In particolare nei 64 pazienti analizzati, con un tempo medio di ischemia di 190±110 min; l’analisi multivariata ha confermato che il ritardo nel trattamento riperfusivo era correlato sia con la transmuralità di necrosi (odds ratio per 30 min, 1.37, p = 0.032), sia con la presenza di severo danno microvascolare (odds ratio per 30 min, 1.21; p = 0.021), entrambi valutati mediate MRI. 2.Nei primi 76 pazienti è stata inoltre valutata l’influenza della transmuralità di necrosi, dell’infarct size e della presenza di zone di ostruzione microvascolare sul rimodellamento ventricolare: analizzando tutti questi parametri è emerso in questa prima serie di pazienti che la transmuralità di necrosi è il maggior determinante del remodeling; l’infarct size e l’ostruzione microvascolare alla MRI presentavano un valore predittivo aggiunto rispetto alla transmuralità stessa. In questa esperienza preliminare i volumi ventricolari sono stati valutati mediante follow-up ecocardiografico con una media di 6±1 mesi dall’evento acuto. In particolare all’analisi univariata la necrosi transmurale, la severa ostruzione microvascolare, l’infarct size ed I livelli di troponina I (valori di picco) risultavano direttamente correlati con il rimodellamento ventricolare ed inversamente associati alla frazione d’eiezione al follow-up (p <0.001). All’analisi mutlivariata, solo la necrosi transmurale ed i livelli di troponina I emergevano come predittori indipendenti di rimodellamento ventricolare. Inoltre la necrosi transmurale si dimostrava un più potente predittore di rimodellamento, sia in termini di volumi ventricolari (R2 = 0.19), sia di funzione sistolica (R2 = 0.16). 3.Raccogliendo i dati clinici dei pazienti anche durante il follow-up è stato possibile anche raccogliere i dati inerenti gli eventi maggiori, in particolare il decesso per cause cardiache: due dei soggetti seguiti nel follow-up sono stati oggetto di una analisi comparativa delle immagini alla MRI nel post-AMI con i reperti autoptici ed istologici, nonché con i dati derivati dalle MRI eseguite ex-vivo in questi stessi pazienti. Dall’analisi delle immagini T1 e T2 pesate è emerso che le aree ipointense identificate come core ipointenso nell’ambito dell’area di necrosi ed attribuite fino ad allora solo a fenomeni di no-reflow intravascolare, in realtà corrispondevano a zone di vera emorragia intramiocardica. In particolare le aree a basso segnale osservate nelle sequenze T2 ex-vivo, correlavano fortemente con l’emorragia quantificata all’istologia (R = 0.93, p = 0.0007). 4.Un analisi successiva si è proposta di valutare il peso delle nuove terapie antiaggreganti sulla genesi di tale fenomeno. I nostri dati indicano come la presenza di aree ipointense dopo gadolinio siano più legate alla presenza di necrosi transmurale piuttosto che all’impiego di farmaci antiaggreganti per via infusiva come l’Abciximab. In particolare suddividendo i pazienti in due gruppi in base all’impiego di Abciximab, i pazienti in cui tale strategia terapeutica è stata messa in atto presentavano una transmuralità di necrosi pari a 3.03±2.8 segmenti rispetto ai 3.09±2.9 (p=0,9) del gruppo controllo; analogamente la presenza di severa ostruzione microvascolare non si associava ad una terapia specifica impiegata (1.05±1.5 versus 1.06±1.8 segmenti). All’analisi multivariata la severa ostruzione microvascolare risultava correlata esclusivamente con la transmuralità di necrosi (O.R. 1.5; p<0,001) e l’età (O.R. 1.1; p=0.02), ma non alla somministrazione di Abciximab. 5.Un successivo sviluppo è stato quindi quello di valutare in vivo l’incidenza, a partire dalle osservazioni desunte dai due casi autoptici, dell’infarto emorragico definito come stria mesoventricolare ipointensa in T2 ed in T1 (all’interno dell’hyperenhancement tardivo della cicatrice post-infartuale): nella nostra casisistica, analizzando solo i casi di AMI transmurale, è emerso che circa il 37% degli IMA presentava fenomeni di emorragia intramiocardica. 6.Infine abbiamo confrontato, indipendentemente dall’estensione della necrosi, i tradizionali parametri angiografici di mancata perfusione miocardica dopo PTCA ( flusso TIMI e Mycardial Blush Grade MBG) con la presenza alla MRI di aree di no- reflow (identificate come aree di hypoenhancment tardivo). E’ emersa una significativa correlazione (p< 0.001) tra scarsa o assente riperfusione all’angiografia e presenza alla MRI di zone di ostruzione del microcircolo. Inoltre all’interno dei pazienti con MBG. pari a 0 è stato possibile identificare i casi con staining angiografico, indicativo di “spandimento” di mezzo di contrasto nel muscolo cardiaco: tale reperto risultava strettamente associato, anche da un punto di vista topografico, con la presenza di hypoenhancement tardivo, e quindi con segni MRI di emorragia intramiocardica. Conclusioni Il nostro lavoro ha permesso di identificare mediante uno studio prospettico, consecutivo, tutti i dati inerenti la caratterizzazione tissutale mediante MRI del miocardio dopo AMI. Successivi studi di follow-up già in corso in una casistica così numerosa forniranno il reale significato prognostico di queste osservazioni.

Magnetic resonance imaging of acute myocardial infarction: an insight into pathophysiology / Cacciavillani, Luisa. - (2008).

Magnetic resonance imaging of acute myocardial infarction: an insight into pathophysiology

Cacciavillani, Luisa
2008

Abstract

I pazienti inclusi nello studio dal dicembre 2005 all’ottobre 2008 sono stati 300. Per ogni paziente sono stati raccolti i dati di MRI insieme a dati clinici, ecocardiografici, elettrocardiografici ed agiografici. 1.Il primo studio, condotto su una serie di pazienti selezionati in base ad un flusso TIMI preprocedurale inferiore a 3, ha dimostrato che la durata dell’ischemia miocardica rappresenta il maggior determinante della transmuralità di necrosi e della presenza di danno microvascolare. In particolare nei 64 pazienti analizzati, con un tempo medio di ischemia di 190±110 min; l’analisi multivariata ha confermato che il ritardo nel trattamento riperfusivo era correlato sia con la transmuralità di necrosi (odds ratio per 30 min, 1.37, p = 0.032), sia con la presenza di severo danno microvascolare (odds ratio per 30 min, 1.21; p = 0.021), entrambi valutati mediate MRI. 2.Nei primi 76 pazienti è stata inoltre valutata l’influenza della transmuralità di necrosi, dell’infarct size e della presenza di zone di ostruzione microvascolare sul rimodellamento ventricolare: analizzando tutti questi parametri è emerso in questa prima serie di pazienti che la transmuralità di necrosi è il maggior determinante del remodeling; l’infarct size e l’ostruzione microvascolare alla MRI presentavano un valore predittivo aggiunto rispetto alla transmuralità stessa. In questa esperienza preliminare i volumi ventricolari sono stati valutati mediante follow-up ecocardiografico con una media di 6±1 mesi dall’evento acuto. In particolare all’analisi univariata la necrosi transmurale, la severa ostruzione microvascolare, l’infarct size ed I livelli di troponina I (valori di picco) risultavano direttamente correlati con il rimodellamento ventricolare ed inversamente associati alla frazione d’eiezione al follow-up (p <0.001). All’analisi mutlivariata, solo la necrosi transmurale ed i livelli di troponina I emergevano come predittori indipendenti di rimodellamento ventricolare. Inoltre la necrosi transmurale si dimostrava un più potente predittore di rimodellamento, sia in termini di volumi ventricolari (R2 = 0.19), sia di funzione sistolica (R2 = 0.16). 3.Raccogliendo i dati clinici dei pazienti anche durante il follow-up è stato possibile anche raccogliere i dati inerenti gli eventi maggiori, in particolare il decesso per cause cardiache: due dei soggetti seguiti nel follow-up sono stati oggetto di una analisi comparativa delle immagini alla MRI nel post-AMI con i reperti autoptici ed istologici, nonché con i dati derivati dalle MRI eseguite ex-vivo in questi stessi pazienti. Dall’analisi delle immagini T1 e T2 pesate è emerso che le aree ipointense identificate come core ipointenso nell’ambito dell’area di necrosi ed attribuite fino ad allora solo a fenomeni di no-reflow intravascolare, in realtà corrispondevano a zone di vera emorragia intramiocardica. In particolare le aree a basso segnale osservate nelle sequenze T2 ex-vivo, correlavano fortemente con l’emorragia quantificata all’istologia (R = 0.93, p = 0.0007). 4.Un analisi successiva si è proposta di valutare il peso delle nuove terapie antiaggreganti sulla genesi di tale fenomeno. I nostri dati indicano come la presenza di aree ipointense dopo gadolinio siano più legate alla presenza di necrosi transmurale piuttosto che all’impiego di farmaci antiaggreganti per via infusiva come l’Abciximab. In particolare suddividendo i pazienti in due gruppi in base all’impiego di Abciximab, i pazienti in cui tale strategia terapeutica è stata messa in atto presentavano una transmuralità di necrosi pari a 3.03±2.8 segmenti rispetto ai 3.09±2.9 (p=0,9) del gruppo controllo; analogamente la presenza di severa ostruzione microvascolare non si associava ad una terapia specifica impiegata (1.05±1.5 versus 1.06±1.8 segmenti). All’analisi multivariata la severa ostruzione microvascolare risultava correlata esclusivamente con la transmuralità di necrosi (O.R. 1.5; p<0,001) e l’età (O.R. 1.1; p=0.02), ma non alla somministrazione di Abciximab. 5.Un successivo sviluppo è stato quindi quello di valutare in vivo l’incidenza, a partire dalle osservazioni desunte dai due casi autoptici, dell’infarto emorragico definito come stria mesoventricolare ipointensa in T2 ed in T1 (all’interno dell’hyperenhancement tardivo della cicatrice post-infartuale): nella nostra casisistica, analizzando solo i casi di AMI transmurale, è emerso che circa il 37% degli IMA presentava fenomeni di emorragia intramiocardica. 6.Infine abbiamo confrontato, indipendentemente dall’estensione della necrosi, i tradizionali parametri angiografici di mancata perfusione miocardica dopo PTCA ( flusso TIMI e Mycardial Blush Grade MBG) con la presenza alla MRI di aree di no- reflow (identificate come aree di hypoenhancment tardivo). E’ emersa una significativa correlazione (p< 0.001) tra scarsa o assente riperfusione all’angiografia e presenza alla MRI di zone di ostruzione del microcircolo. Inoltre all’interno dei pazienti con MBG. pari a 0 è stato possibile identificare i casi con staining angiografico, indicativo di “spandimento” di mezzo di contrasto nel muscolo cardiaco: tale reperto risultava strettamente associato, anche da un punto di vista topografico, con la presenza di hypoenhancement tardivo, e quindi con segni MRI di emorragia intramiocardica. Conclusioni Il nostro lavoro ha permesso di identificare mediante uno studio prospettico, consecutivo, tutti i dati inerenti la caratterizzazione tissutale mediante MRI del miocardio dopo AMI. Successivi studi di follow-up già in corso in una casistica così numerosa forniranno il reale significato prognostico di queste osservazioni.
2008
.Recently cardiac magnetic resonance (CMR) has been proposed as a comprehensive tool for AMI evaluation, since it provides data about regional myocardial wall motion, viability, perfusion and direct visualization of myocardial necrosis. In this respect, the aims of this study performed in AMI patients treated with primary angioplasty (PCI), were: 1.to clarify the impact of reperfusion time on pregression of myocardial damage; 2.to assess the predictive value of CMR features on ventricular post-AMI remodelling; 3.to investigate, with contrast-CMR, the pathological basis of the persistence of ST-segment elevation after AMI; 4.to evaluate the effects of current therapy on CMR detection of necrosis and microvascular injury; 5.to evaluate the correlation between angiographic indexes of myocardial perfusion after primary PCI, and anatomical features on CMR and in particular the correlation between the staining phenomenon and the presence of severe microvascular damage (SMD); 6.to investigate the possibility to detect intramyocardial hemorrhage after AMI by T2-weighted image on CMR, to establish its contribution to the delayed hypoenhanced core, traditionally referred only to microvascular obstruction. We also aimed to correlate radiolagical findings of myocardial hemorrhage with hystological features ex vivo in two died patients. In AMI patients with impaired coronary perfusion undergoing PCI, the risk of transmural necrosis (TN) and SMD seems to increase with the duration of the ischemic time. Also, the amount of TN results as a major determinant of LV remodeling and function, with significant additional predictive value to infarct size and SMD. The evaluation of effects of current therapy with Abciximab demonstrated that SMD seems related to TN without any influence of antiplatelet therapy. In addition, presence of SMD seems the most powerful determinant of persistent ST-segment elevation on ECG. In our experience the angiographic assessment of lack of myocardial perfusion correlates with microvascular damage and extent of infarct
infarto miocardico, risonanza magnetica cardiaca
Magnetic resonance imaging of acute myocardial infarction: an insight into pathophysiology / Cacciavillani, Luisa. - (2008).
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