Per chi condivide l’assunto che il dovere della geografia sia quello di «liberare le parole e le idee dalla prigione dei luoghi comuni; di farle interagire con le cose, traslando il loro significato da un contesto a un altro, generando rivolgimenti e contrasti» (Dematteis, 2021, p. 10), la cartografia è certamente il terreno più indicato per attuare degli sprigionamenti complessi e avvincenti. L’immagine cartografica è, infatti, il risultato di una tensione tra logica e poetica, tra il desiderio – e spesso la necessità pratica – di imprigionare e controllare il territorio per poter agire su di esso e l’impulso contrario a scompaginarlo per far sì che questo possa accomodare spazialità complesse e mutevoli. Le due anime, matematica e umanistica, astratta e vissuta, classificatoria e narrativa si rincorrono, si sovrappongono e collidono continuamente nella storia della geografia e, di riflesso, della cartografia. All’interno del pensiero cartografico, tale coesistenza potrebbe ravvisarsi persino nell’ uso “antropologico” di due dei suoi termini più caratteristici: mappa e carta geografica. Tali nomenclature, aldilà di una distinzione in termini di scala di riduzione, ben concretizzano le suddette pulsioni: ci riferiamo, quasi inconsciamente, alle mappe per evocare una dimensione locale, materiale, multisensoriale, intima e visionaria dello spazio, mentre ci affidiamo alle carte per costruire uno spazio geometrico, operativo, oggettivo e informativo. Inevitabile, dunque, che un progetto che ambisca a sprigionare i sensi molteplici delle immagini cartografiche debba anche sconfinare in ogni possibile direzione: spaziale, temporale e disciplinare. Il progetto a cui si fa qui riferimento, e che sarà oggetto delle seguenti riflessioni, è Treviso Contemporanea, una piattaforma espositiva nata dal sodalizio tra la Fondazione Benetton Studi Ricerche e la Fondazione Imago Mundi.
Sprigionare le mappe: s/confinamenti cartografici nell’esperienza di Treviso Contemporanea
Laura Lo Presti
2022
Abstract
Per chi condivide l’assunto che il dovere della geografia sia quello di «liberare le parole e le idee dalla prigione dei luoghi comuni; di farle interagire con le cose, traslando il loro significato da un contesto a un altro, generando rivolgimenti e contrasti» (Dematteis, 2021, p. 10), la cartografia è certamente il terreno più indicato per attuare degli sprigionamenti complessi e avvincenti. L’immagine cartografica è, infatti, il risultato di una tensione tra logica e poetica, tra il desiderio – e spesso la necessità pratica – di imprigionare e controllare il territorio per poter agire su di esso e l’impulso contrario a scompaginarlo per far sì che questo possa accomodare spazialità complesse e mutevoli. Le due anime, matematica e umanistica, astratta e vissuta, classificatoria e narrativa si rincorrono, si sovrappongono e collidono continuamente nella storia della geografia e, di riflesso, della cartografia. All’interno del pensiero cartografico, tale coesistenza potrebbe ravvisarsi persino nell’ uso “antropologico” di due dei suoi termini più caratteristici: mappa e carta geografica. Tali nomenclature, aldilà di una distinzione in termini di scala di riduzione, ben concretizzano le suddette pulsioni: ci riferiamo, quasi inconsciamente, alle mappe per evocare una dimensione locale, materiale, multisensoriale, intima e visionaria dello spazio, mentre ci affidiamo alle carte per costruire uno spazio geometrico, operativo, oggettivo e informativo. Inevitabile, dunque, che un progetto che ambisca a sprigionare i sensi molteplici delle immagini cartografiche debba anche sconfinare in ogni possibile direzione: spaziale, temporale e disciplinare. Il progetto a cui si fa qui riferimento, e che sarà oggetto delle seguenti riflessioni, è Treviso Contemporanea, una piattaforma espositiva nata dal sodalizio tra la Fondazione Benetton Studi Ricerche e la Fondazione Imago Mundi.File | Dimensione | Formato | |
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