La giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di presunzione di spartizione occulta tra i soci degli utili non dichiarati da società di capitali a ristretta base partecipativa si è sviluppata in varie ramificazioni che vanno oltre la casistica delle prove contrarie idonee o meno a contrastarla. Alcuni indirizzi, pur non univoci, sostengono che il reddito societario definitivamente accertato non sia contestabile dai soci e che agli utili di cui si presume il riparto non si applichino le regole sostanziali sul concorso parziale al loro reddito o sulla soggezione a ritenuta a titolo di imposta, considerandole riservate ai dividendi distribuiti in base a delibera assembleare. Queste costruzioni pretorie sembrano però in contrasto con i dati normativi. Un giudicato nei confronti della società non può impedire ad un socio che non abbia partecipato al processo in cui esso si è formato di difendersi contro la pretesa fiscale nei propri confronti dimostrando l’erroneità del reddito societario in esso determinato (e ciò anche in base ai limiti generali dell’efficacia riflessa delle sentenze affermati in giurisprudenza). Se si tratti di dividendi soggetti a ritenuta a titolo d’imposta, il giudicato nei confronti della società quale sostituto, ai sensi dell’art. 1306 c.c., non vincola i soci in quanto obbligati in solido ma può essere da essi invocato contro l’Amministrazione finanziaria. Sul piano del trattamento sostanziale, mi pare inopportuno indicare come “trasparenza per presunzione” l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale gli utili di cui è presunto l’incasso concorrono per intero al reddito dei soci, viste le differenze rispetto ai regimi di trasparenza fiscale previsti dalla normativa ed il rischio di offrire una giustificazione sistematica alle deviazioni dai dati normativi. Ciò vale anche per l’indirizzo che imputa ai soci come dividendi il maggior reddito societario derivante da costi effettivi ma fiscalmente indeducibili, non emergendo da tali recuperi delle somme distribuibili. Questi indirizzi giurisprudenziali vanno dunque rimeditati, onde ricondurre l’azione dell’Amministrazione finanziaria al fondamento di essa, cioè una presunzione semplice di distribuzione tra i soci di somme conseguite dalla società ma delle quali non risulti un altro impiego. L’occasione può essere offerta già dalle nuove regole sulla prova dell’art. 7, comma 5-bis, d.lgs. n. 546 del 1992, in attesa che siano introdotti i limiti a detta presunzione previsti dall’art. 15 del disegno di legge “Delega al Governo per la riforma fiscale” AC 1038 del 23 marzo 2023
La giurisprudenza sulla distribuzione presunta di utili nelle società di capitali a base ristretta si allontana sempre più dai dati normativi
roberto schiavolin
2023
Abstract
La giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di presunzione di spartizione occulta tra i soci degli utili non dichiarati da società di capitali a ristretta base partecipativa si è sviluppata in varie ramificazioni che vanno oltre la casistica delle prove contrarie idonee o meno a contrastarla. Alcuni indirizzi, pur non univoci, sostengono che il reddito societario definitivamente accertato non sia contestabile dai soci e che agli utili di cui si presume il riparto non si applichino le regole sostanziali sul concorso parziale al loro reddito o sulla soggezione a ritenuta a titolo di imposta, considerandole riservate ai dividendi distribuiti in base a delibera assembleare. Queste costruzioni pretorie sembrano però in contrasto con i dati normativi. Un giudicato nei confronti della società non può impedire ad un socio che non abbia partecipato al processo in cui esso si è formato di difendersi contro la pretesa fiscale nei propri confronti dimostrando l’erroneità del reddito societario in esso determinato (e ciò anche in base ai limiti generali dell’efficacia riflessa delle sentenze affermati in giurisprudenza). Se si tratti di dividendi soggetti a ritenuta a titolo d’imposta, il giudicato nei confronti della società quale sostituto, ai sensi dell’art. 1306 c.c., non vincola i soci in quanto obbligati in solido ma può essere da essi invocato contro l’Amministrazione finanziaria. Sul piano del trattamento sostanziale, mi pare inopportuno indicare come “trasparenza per presunzione” l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale gli utili di cui è presunto l’incasso concorrono per intero al reddito dei soci, viste le differenze rispetto ai regimi di trasparenza fiscale previsti dalla normativa ed il rischio di offrire una giustificazione sistematica alle deviazioni dai dati normativi. Ciò vale anche per l’indirizzo che imputa ai soci come dividendi il maggior reddito societario derivante da costi effettivi ma fiscalmente indeducibili, non emergendo da tali recuperi delle somme distribuibili. Questi indirizzi giurisprudenziali vanno dunque rimeditati, onde ricondurre l’azione dell’Amministrazione finanziaria al fondamento di essa, cioè una presunzione semplice di distribuzione tra i soci di somme conseguite dalla società ma delle quali non risulti un altro impiego. L’occasione può essere offerta già dalle nuove regole sulla prova dell’art. 7, comma 5-bis, d.lgs. n. 546 del 1992, in attesa che siano introdotti i limiti a detta presunzione previsti dall’art. 15 del disegno di legge “Delega al Governo per la riforma fiscale” AC 1038 del 23 marzo 2023| File | Dimensione | Formato | |
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