Quando leggiamo un testo dello scrittore mozambicano Mia Couto, ci imbattiamo spesso in diverse difficoltà interpretative. La ragione è da ricercarsi innanzitutto nel contesto letterario in cui la sua letteratura si colloca, quello del Mozambico postcoloniale, e poi nella natura spesso ibrida dei suoi testi, difficilmente inquadrabili tout court nei generi tradizionali sia per la forma con cui si presentano sia per contenuti e le tematiche che espongono. La conseguenza principale di queste due caratteristiche dell’opera miacoutiana è la tendenza, a volte, a sovrainterpretare i suoi testi, caricandoli di significati che non hanno, o che non era nelle intenzioni dell’autore attribuire loro, applicando quindi alla lettura chiavi interpretative che, pur possibili – «ogni testo ha indubbie possibilità di suscitare infinite o indefinite interpretazioni» –, rispondono tuttavia poco all’intentio auctoris e meno ancora all’intentio operis. In altre parole, riprendendo un concetto caro a Umberto Eco, perseguendo delle domande che il testo non pone, o che non incoraggia a porsi, invece di farsi le domande e trovare le risposte su cui il testo insiste, «con l’obiettivo di ricostruire l’intenzione del testo stesso». L’orientamento è quindi quello di un monologo con il testo più che di un vero e proprio dialogo con esso. Senza voler entrare in modo approfondito nella questione su quanto il dialogo ermeneutico, la lettura del testo e del mondo che questo mette in scena lascino spazio al libero interpretare e quindi fino a che punto la complessità del lettore e quella del testo possano incontrarsi liberamente, nella nostra riflessione su O gato e escuro di Mia Couto facciamo nostre alcune considerazioni sui concetti di interpretazione e sovrainterpretazione a cui Umberto Eco ha dedicato alcuni importanti studi , intendendo con quest’ultima quell’interpretazione eccessiva «che produce un dispendio di energie ermeneutiche che il testo non conforta»; quell’ipotesi interpretativa eccedente che supera i limiti rappresentati dai diritti e dalle proprietà del testo e che non legge il testo nel modo in cui è stato progettato per essere letto, facendone, nella formula spiritosa di Tzvetan Todorov, quasi una specie di «picnic dove l’autore porta le parole e il lettore porta il senso».

Interpretazione e sovrainterpretazione ne O gato e o escuro di Mia Couto

B. Gori
2023

Abstract

Quando leggiamo un testo dello scrittore mozambicano Mia Couto, ci imbattiamo spesso in diverse difficoltà interpretative. La ragione è da ricercarsi innanzitutto nel contesto letterario in cui la sua letteratura si colloca, quello del Mozambico postcoloniale, e poi nella natura spesso ibrida dei suoi testi, difficilmente inquadrabili tout court nei generi tradizionali sia per la forma con cui si presentano sia per contenuti e le tematiche che espongono. La conseguenza principale di queste due caratteristiche dell’opera miacoutiana è la tendenza, a volte, a sovrainterpretare i suoi testi, caricandoli di significati che non hanno, o che non era nelle intenzioni dell’autore attribuire loro, applicando quindi alla lettura chiavi interpretative che, pur possibili – «ogni testo ha indubbie possibilità di suscitare infinite o indefinite interpretazioni» –, rispondono tuttavia poco all’intentio auctoris e meno ancora all’intentio operis. In altre parole, riprendendo un concetto caro a Umberto Eco, perseguendo delle domande che il testo non pone, o che non incoraggia a porsi, invece di farsi le domande e trovare le risposte su cui il testo insiste, «con l’obiettivo di ricostruire l’intenzione del testo stesso». L’orientamento è quindi quello di un monologo con il testo più che di un vero e proprio dialogo con esso. Senza voler entrare in modo approfondito nella questione su quanto il dialogo ermeneutico, la lettura del testo e del mondo che questo mette in scena lascino spazio al libero interpretare e quindi fino a che punto la complessità del lettore e quella del testo possano incontrarsi liberamente, nella nostra riflessione su O gato e escuro di Mia Couto facciamo nostre alcune considerazioni sui concetti di interpretazione e sovrainterpretazione a cui Umberto Eco ha dedicato alcuni importanti studi , intendendo con quest’ultima quell’interpretazione eccessiva «che produce un dispendio di energie ermeneutiche che il testo non conforta»; quell’ipotesi interpretativa eccedente che supera i limiti rappresentati dai diritti e dalle proprietà del testo e che non legge il testo nel modo in cui è stato progettato per essere letto, facendone, nella formula spiritosa di Tzvetan Todorov, quasi una specie di «picnic dove l’autore porta le parole e il lettore porta il senso».
2023
Il testo e le sue dinamiche nelle culture di lingua portoghese
978-88-3613-396-3
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