Il libro di esordio dell’ormai dimenticato Silvio Micheli, Pane duro (Torino 1946), vincitore del Premio Viareggio appena risorto dopo la guerra, è un genuino affresco neorealista che descrive la «vita pratica» di «gente sconsiderata, sperduta nel vortice della vita, gente sfruttata, oppressa, dilaniata» nel periodo compreso tra la fine degli anni Trenta e la Resistenza. L’anonimo protagonista, impiegato in una fabbrica, proiezione autobiografica dello scrittore, si fa rappresentante di una collettività oppressa da un «sistema» sociale, politico ed economico cui non riesce a ribellarsi. Una folla anch’essa anonima perché alienata dalle barbare condizioni di vita, alla quale l’uomo prova a dare voce attraverso un romanzo che matura durante l’esperienza bellica, significativamente intitolato Diario mio e di tutti, a suggellare quell’identità tra destino individuale e storia universale, testimonianza di un mondo che soffre i soprusi, le ingiustizie, la guerra. La coralità si enuclea grazie alla particolare condizione del protagonista, un superstite che ha vissuto al limite tra la condizione del “salvato” e del “sommerso” e che proprio per questo è in grado di assurgere a voce particolare di un’esperienza collettiva. Testimonia questo sforzo anche la tessitura linguistica, che tenta una mimesi della realtà con un impasto di stile sublime e stile umile, spia dell’intenzione di inserire l’oggettiva riproduzione dei fatti in una tradizione linguistico-letteraria consolidata.
«Diario mio e di tutti». Pane duro di Silvio Micheli
Antonio D'Ambrosio
2021
Abstract
Il libro di esordio dell’ormai dimenticato Silvio Micheli, Pane duro (Torino 1946), vincitore del Premio Viareggio appena risorto dopo la guerra, è un genuino affresco neorealista che descrive la «vita pratica» di «gente sconsiderata, sperduta nel vortice della vita, gente sfruttata, oppressa, dilaniata» nel periodo compreso tra la fine degli anni Trenta e la Resistenza. L’anonimo protagonista, impiegato in una fabbrica, proiezione autobiografica dello scrittore, si fa rappresentante di una collettività oppressa da un «sistema» sociale, politico ed economico cui non riesce a ribellarsi. Una folla anch’essa anonima perché alienata dalle barbare condizioni di vita, alla quale l’uomo prova a dare voce attraverso un romanzo che matura durante l’esperienza bellica, significativamente intitolato Diario mio e di tutti, a suggellare quell’identità tra destino individuale e storia universale, testimonianza di un mondo che soffre i soprusi, le ingiustizie, la guerra. La coralità si enuclea grazie alla particolare condizione del protagonista, un superstite che ha vissuto al limite tra la condizione del “salvato” e del “sommerso” e che proprio per questo è in grado di assurgere a voce particolare di un’esperienza collettiva. Testimonia questo sforzo anche la tessitura linguistica, che tenta una mimesi della realtà con un impasto di stile sublime e stile umile, spia dell’intenzione di inserire l’oggettiva riproduzione dei fatti in una tradizione linguistico-letteraria consolidata.Pubblicazioni consigliate
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