La sentenza in commento statuisce che l’art. 533, comma 1 c.p.p., nel prescrivere che la colpevolezza dell’imputato deve essere provata al di là di ogni ragionevole dubbio, ha recepito un canone di giudizio tipico degli ordinamenti di common law, e, tuttavia, ormai già diffuso da tempo nell’Europa continentale, secondo il quale non ogni dubbio che possa affacciarsi alla mente del giudicante è tale da impedire la condanna dell’imputato, ma soltanto il dubbio che si qualifichi come ragionevole; diversamente nessuna condanna potrebbe essere mai pronunciata, potendo sempre essere adombrato il dubbio cartesiano sulla stessa esistenza della realtà o, comunque, logico sulla prospettabilità di una diversa ricostruzione dei fatti. Si tratta di un’interpretazione condivisibile. La regola dell’al di là di ogni ragionevole dubbio appare di grande portata nel suo significato connotativo-retorico. Se si tenta, però, di definirne in modo preciso la portata, ci si trova di fronte ad una formula dal carattere ambiguo e sfuggente, perché è grandemente ambiguo e sfuggente il concetto che ne sta alla base, ossia la “ragionevolezza”. Non appare soddisfacente una delimitazione di tipo quantitativo dell’espressione “ragionevole dubbio”. Neppure sembra risolutivo sostenere che la regola dell’al di là di ogni ragionevole dubbio imporrebbe l’impiego nel processo penale dei criteri di accertamento che caratterizzano la ricerca scientifica. La regola in questione non ha una portata rivoluzionaria. essa si limita a ribadire che il giudice deve applicare i canoni della logica induttiva: una logica in base alla quale nel processo il grado di probabilità di una determinata ipotesi ricostruttiva degli eventi coincide con la capacità delle prove acquisite di confermare l’ipotesi, consentendo di eliminare ogni altra spiegazione alternativa.

Una prima applicazione giurisprudenziale della regola dell'al di là  di ogni ragionevole dubbio

DANIELE, MARCELLO
2007

Abstract

La sentenza in commento statuisce che l’art. 533, comma 1 c.p.p., nel prescrivere che la colpevolezza dell’imputato deve essere provata al di là di ogni ragionevole dubbio, ha recepito un canone di giudizio tipico degli ordinamenti di common law, e, tuttavia, ormai già diffuso da tempo nell’Europa continentale, secondo il quale non ogni dubbio che possa affacciarsi alla mente del giudicante è tale da impedire la condanna dell’imputato, ma soltanto il dubbio che si qualifichi come ragionevole; diversamente nessuna condanna potrebbe essere mai pronunciata, potendo sempre essere adombrato il dubbio cartesiano sulla stessa esistenza della realtà o, comunque, logico sulla prospettabilità di una diversa ricostruzione dei fatti. Si tratta di un’interpretazione condivisibile. La regola dell’al di là di ogni ragionevole dubbio appare di grande portata nel suo significato connotativo-retorico. Se si tenta, però, di definirne in modo preciso la portata, ci si trova di fronte ad una formula dal carattere ambiguo e sfuggente, perché è grandemente ambiguo e sfuggente il concetto che ne sta alla base, ossia la “ragionevolezza”. Non appare soddisfacente una delimitazione di tipo quantitativo dell’espressione “ragionevole dubbio”. Neppure sembra risolutivo sostenere che la regola dell’al di là di ogni ragionevole dubbio imporrebbe l’impiego nel processo penale dei criteri di accertamento che caratterizzano la ricerca scientifica. La regola in questione non ha una portata rivoluzionaria. essa si limita a ribadire che il giudice deve applicare i canoni della logica induttiva: una logica in base alla quale nel processo il grado di probabilità di una determinata ipotesi ricostruttiva degli eventi coincide con la capacità delle prove acquisite di confermare l’ipotesi, consentendo di eliminare ogni altra spiegazione alternativa.
2007
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