L’elaborazione da parte della dottrina tedesca di un “diritto penale del nemico” sembra suscettibile di presentare in realtà i suoi risvolti più significativi sul terreno processuale. Lo starebbe anche a confermare sotto il profilo storico la ricorrente tentazione di impiegare il processo penale, e i pervasivi poteri che vi sono connessi, come strumento di lotta contro i nemici del potere costituito, o, in visione moderna, della collettività, eclissandone il ruolo che dovrebbe essergli connaturato di asettico mezzo di accertamento dei fatti e delle responsabilità. Partendo da questa premessa, l’A. pone in luce come, soprattutto nella legislazione dell’emergenza, siano ravvisabili forme di uso “ostile” del processo in rapporto alle moderne espressioni di delitto politico, rappresentate dalla criminalità organizzata, da quella mafiosa e da quella terroristica, avvertendo peraltro come sempre più l’azione di contrasto in questi settori avvenga non solo con le armi della repressione, cioè del processo, ma attraverso un intreccio di strumenti repressivi e preventivi, in cui la prevenzione guadagna spazi sempre maggiori. Un fenomeno in evidente espansione. Ma la prevenzione si fonda sui parametri della pericolosità e del sospetto, entrambe incompatibili con il principio di stretta legalità. E’ il regno delle valutazioni opinabili e incontrollabili. Si tratta – rileva l’autore – di una “amministrativizzazione del penale”, che attribuisce al potere amministrativo/esecutivo/politico la forza e la violenza tipiche dello strumento penale, senza associarvi però le garanzie che devono circondarne l’esercizio nell’ambito del processo. Ed è domandandosi fino a che punto può spingersi “questo” tipo di lotta nel contesto della forte ventata neoautoritaria seguita agli eventi dell’11 settembre 2001 nella legislazione antiterrorismo di molti Stati occidentali, dove si è registrato un gigantismo della prevenzione, che l’A. critica fortemente le tesi di Jakobs, che distingue un “diritto penale del cittadino”, diretto a coloro che, pur delinquendo, non contestano i fondamenti del sistema da un “diritto penale del nemico”, riservato a coloro che si pongano in radicale contrasto con lo Stato e i suoi principi. Una teorica secondo la quale questi ultimi andrebbero trattati come “non persone” e privati di ogni garanzia processuale, potendo anche essere soggetti a tortura “legale”. Si tratta di un’impostazione che l’A. ritiene paradossale, in quanto vorrebbe mantenere le forme del diritto (sia pure del nemico) a qualcosa che in realtà nega le regole minime proprie di uno stato di diritto modernamente inteso, rivestendo di legalità le espressioni di meri atti di forza di natura politica. L’A. conclude rilevando come una logica di questo tipo– che pure ha recentemente ispirato la legislazione nordamericana del PATRIOT ACT - è fortunatamente estranea alle misure approvate da noi sull’onda dell’attentato alle Torri Gemelle, anche se si coglie in esse con chiarezza un passaggio di poteri dagli organi giudiziari a quelli dell’esecutivo, e anche se sotto l’egida della lotta al terrorismo vi sono contenute norme restrittive in realtà di applicazione generale, e si sono fatte scelte talora poco razionali, ispirate a visioni strategiche di corto raggio, come quella di non creare un coordinamento investigativo centralizzato, sul modello della procura nazionale antimafia, che sarebbe stato funzionale anche nella prospettiva della cooperazione giudiziaria internazionale.

Processo penale, delitto politico e "diritto penale del nemico".

KOSTORIS, ROBERTO
2007

Abstract

L’elaborazione da parte della dottrina tedesca di un “diritto penale del nemico” sembra suscettibile di presentare in realtà i suoi risvolti più significativi sul terreno processuale. Lo starebbe anche a confermare sotto il profilo storico la ricorrente tentazione di impiegare il processo penale, e i pervasivi poteri che vi sono connessi, come strumento di lotta contro i nemici del potere costituito, o, in visione moderna, della collettività, eclissandone il ruolo che dovrebbe essergli connaturato di asettico mezzo di accertamento dei fatti e delle responsabilità. Partendo da questa premessa, l’A. pone in luce come, soprattutto nella legislazione dell’emergenza, siano ravvisabili forme di uso “ostile” del processo in rapporto alle moderne espressioni di delitto politico, rappresentate dalla criminalità organizzata, da quella mafiosa e da quella terroristica, avvertendo peraltro come sempre più l’azione di contrasto in questi settori avvenga non solo con le armi della repressione, cioè del processo, ma attraverso un intreccio di strumenti repressivi e preventivi, in cui la prevenzione guadagna spazi sempre maggiori. Un fenomeno in evidente espansione. Ma la prevenzione si fonda sui parametri della pericolosità e del sospetto, entrambe incompatibili con il principio di stretta legalità. E’ il regno delle valutazioni opinabili e incontrollabili. Si tratta – rileva l’autore – di una “amministrativizzazione del penale”, che attribuisce al potere amministrativo/esecutivo/politico la forza e la violenza tipiche dello strumento penale, senza associarvi però le garanzie che devono circondarne l’esercizio nell’ambito del processo. Ed è domandandosi fino a che punto può spingersi “questo” tipo di lotta nel contesto della forte ventata neoautoritaria seguita agli eventi dell’11 settembre 2001 nella legislazione antiterrorismo di molti Stati occidentali, dove si è registrato un gigantismo della prevenzione, che l’A. critica fortemente le tesi di Jakobs, che distingue un “diritto penale del cittadino”, diretto a coloro che, pur delinquendo, non contestano i fondamenti del sistema da un “diritto penale del nemico”, riservato a coloro che si pongano in radicale contrasto con lo Stato e i suoi principi. Una teorica secondo la quale questi ultimi andrebbero trattati come “non persone” e privati di ogni garanzia processuale, potendo anche essere soggetti a tortura “legale”. Si tratta di un’impostazione che l’A. ritiene paradossale, in quanto vorrebbe mantenere le forme del diritto (sia pure del nemico) a qualcosa che in realtà nega le regole minime proprie di uno stato di diritto modernamente inteso, rivestendo di legalità le espressioni di meri atti di forza di natura politica. L’A. conclude rilevando come una logica di questo tipo– che pure ha recentemente ispirato la legislazione nordamericana del PATRIOT ACT - è fortunatamente estranea alle misure approvate da noi sull’onda dell’attentato alle Torri Gemelle, anche se si coglie in esse con chiarezza un passaggio di poteri dagli organi giudiziari a quelli dell’esecutivo, e anche se sotto l’egida della lotta al terrorismo vi sono contenute norme restrittive in realtà di applicazione generale, e si sono fatte scelte talora poco razionali, ispirate a visioni strategiche di corto raggio, come quella di non creare un coordinamento investigativo centralizzato, sul modello della procura nazionale antimafia, che sarebbe stato funzionale anche nella prospettiva della cooperazione giudiziaria internazionale.
2007
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.
Pubblicazioni consigliate

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/1774161
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact