Il principio di obbligatorietà dell’azione penale rappresenta senza dubbio uno dei nodi irrisolti del nostro sistema, in ragione della sua concreta ineffettività e delle tante discrezionalità occulte di cui si alimenta nella sua applicazione quotidiana. Conviene mantenerlo, attenuandone però la rigidità, in modo da renderlo più effettivo e credibile, o non resta che abbandonarlo apertamente (evidentemente anche con un superamento della sua formulazione costituzionale) adottando forme di discrezionalità, sia pur controllata? E’ il quesito di fondo che l’A. si pone, iniziando a rilevare che, anche se l’alternativa sembrerebbe destinata a ridimensionarsi alla luce dell’esperienza comparativa, che registra sempre più una sorta di convergenza al centro tra i sistemi ispirati all’obbligatorietà (via via aperti a crescenti spazi di discrezionalità in ragioni di ineliminabili esigenze di deflazione) e i sistemi caratterizzati dalla facoltatività (sempre più inclini a imbrigliare e controllare le scelte del pubblico ministero in funzione di crescenti istanze di legalità), il modello base prescelto resta tutt’altro che indifferente, rappresentando il parametro di "accettabilità" e quindi di negoziabilità di possibili concessioni e attenuazioni. Optando, in questa prospettiva, per il principio di obbligatorietà, in quanto strumentale alla tutela di valori di rilievo costituzionale, come l’uguaglianza dei cittadini , la legalità del procedere, complemento necessario di quella sostanziale, e l’indipendenza esterna del pubblico ministero, l’A. avverte che qualsiasi temperamento o attenuazione ipotizzabile per dare credibilità ed effettività al principio non potrebbe porsi in contrasto con nessuno di quei tre valori, sui quali appunto si regge la sua stessa ragion d’essere. Ciò premesso, se l’ostacolo di fondo che incombe sul principio di obbligatorietà è rappresentato dall’immenso carico giudiziario, che non consente di prendere in considerazione tutte le notizie di reato, non andrebbero considerate appaganti – contrariamente a quanto molti sostengono - soluzioni imperniate su "criteri di priorità": questi, infatti, non presentano alcuna funzione deflattiva, valendo solo a razionalizzare le risorse, e, per di più, presuppongono delicate scelte di politica criminale. Ora, se queste ultime venissero affidate al Parlamento, esso si troverebbe, nella sostanza, a rimodellare la sfera di ampiezza della repressione penale, con sostanziale disapplicazione di alcune norme incriminatrici, che però non verrebbero formalmente abrogate; se ne venisse invece demandata l’individuazione ai singoli uffici di procura, ne risulterebbe pregiudicato il principio di uguaglianza, ed, inoltre, scelte di politica criminale verrebbero affidate a soggetti politicamente irresponsabili. Sarebbe preferibile per rendere più effettivo il principio di obbligatorietà e ottenere concreti risultati deflattivi far leva, oltre che su una più incisiva opera di depenalizzazione e su un ampliamento della perseguibilità a querela, sull’estensione al processo ordinario dell’istituto della particolare tenuità del fatto. Intendendola come condizione di procedibilità, si potrebbe evitare il processo per i fatti di minima entità, che rappresentano una non trascurabile fetta del carico pendente.

Per un'obbligatorietà temperata dell'azione penale

KOSTORIS, ROBERTO
2007

Abstract

Il principio di obbligatorietà dell’azione penale rappresenta senza dubbio uno dei nodi irrisolti del nostro sistema, in ragione della sua concreta ineffettività e delle tante discrezionalità occulte di cui si alimenta nella sua applicazione quotidiana. Conviene mantenerlo, attenuandone però la rigidità, in modo da renderlo più effettivo e credibile, o non resta che abbandonarlo apertamente (evidentemente anche con un superamento della sua formulazione costituzionale) adottando forme di discrezionalità, sia pur controllata? E’ il quesito di fondo che l’A. si pone, iniziando a rilevare che, anche se l’alternativa sembrerebbe destinata a ridimensionarsi alla luce dell’esperienza comparativa, che registra sempre più una sorta di convergenza al centro tra i sistemi ispirati all’obbligatorietà (via via aperti a crescenti spazi di discrezionalità in ragioni di ineliminabili esigenze di deflazione) e i sistemi caratterizzati dalla facoltatività (sempre più inclini a imbrigliare e controllare le scelte del pubblico ministero in funzione di crescenti istanze di legalità), il modello base prescelto resta tutt’altro che indifferente, rappresentando il parametro di "accettabilità" e quindi di negoziabilità di possibili concessioni e attenuazioni. Optando, in questa prospettiva, per il principio di obbligatorietà, in quanto strumentale alla tutela di valori di rilievo costituzionale, come l’uguaglianza dei cittadini , la legalità del procedere, complemento necessario di quella sostanziale, e l’indipendenza esterna del pubblico ministero, l’A. avverte che qualsiasi temperamento o attenuazione ipotizzabile per dare credibilità ed effettività al principio non potrebbe porsi in contrasto con nessuno di quei tre valori, sui quali appunto si regge la sua stessa ragion d’essere. Ciò premesso, se l’ostacolo di fondo che incombe sul principio di obbligatorietà è rappresentato dall’immenso carico giudiziario, che non consente di prendere in considerazione tutte le notizie di reato, non andrebbero considerate appaganti – contrariamente a quanto molti sostengono - soluzioni imperniate su "criteri di priorità": questi, infatti, non presentano alcuna funzione deflattiva, valendo solo a razionalizzare le risorse, e, per di più, presuppongono delicate scelte di politica criminale. Ora, se queste ultime venissero affidate al Parlamento, esso si troverebbe, nella sostanza, a rimodellare la sfera di ampiezza della repressione penale, con sostanziale disapplicazione di alcune norme incriminatrici, che però non verrebbero formalmente abrogate; se ne venisse invece demandata l’individuazione ai singoli uffici di procura, ne risulterebbe pregiudicato il principio di uguaglianza, ed, inoltre, scelte di politica criminale verrebbero affidate a soggetti politicamente irresponsabili. Sarebbe preferibile per rendere più effettivo il principio di obbligatorietà e ottenere concreti risultati deflattivi far leva, oltre che su una più incisiva opera di depenalizzazione e su un ampliamento della perseguibilità a querela, sull’estensione al processo ordinario dell’istituto della particolare tenuità del fatto. Intendendola come condizione di procedibilità, si potrebbe evitare il processo per i fatti di minima entità, che rappresentano una non trascurabile fetta del carico pendente.
2007
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/2438042
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